L’uomo nuovo

di Alejandro Di Giovanni

La democrazia è il luogo della mediocrità dove alla fine trionfano sempre populismo e demagogia. Lo sosteneva Socrate, ben più di 2400 anni fa. Se la democrazia è l’esercizio dei mediocri, allora come dovrebbe essere stabilito il governo della comunità, come deve essere organizzata la politica se le masse sono e saranno sempre più incapaci di decidere per il proprio bene e per quello della collettività, in definitiva, di decidere per la propria autotutela?

La direzione intrapresa di aprire al popolo, di una democrazia dal basso orizzontale, va proprio nella direzione più estrema della mediocrità democratica populista e demagoga prospettata e avversata da Socrate, di inetti soggiogati da illusioni di promesse di rivalsa sociale ed economica, dell’idea stolta di un potere egoistico e illogico da poter attuare, di quell’uno vale uno che è l’aberrazione di un’umanità che progredisce, merita, studia, conosce, produce. Uno non vale uno, ciascuno vale quanto vale, in alcuni casi e campi molto, in altri casi e campi poco o nulla. Se siamo arrivati al punto in cui ognuno vale quanto un altro e ne sa quanto un altro in ogni ambito, se crede di poter stabilire verità e competenze attraverso ricerche su Google o post letti sui social, e solo per questo ergersi al pari di persone competenti in materia che provengono da un lungo corso di studi accademici, allora siamo tornati al punto iniziale del progresso e dell’evoluzione, simile all’inizio del viaggio dell’umanità che nel film “2001: Odissea nello spazio”  vede le scimmie  scontrarsi tra di loro per sopravvivere, mosse dall’istinto solo di conservazione, in branchi indifferenziati di bestie che hanno ancora poca dimestichezza con la tecnica (l’utilizzo di un osso come arma a doppio taglio): dopo un viaggio durato milioni di anni, siamo tornati al punto di partenza, scimmie “connesse” prive di ragione che cercano solo di prevalere le une sulle altre, col pretesto democratico dell’uno vale uno  pretendono di sapere tutto pur non sapendo niente.

E’ la democrazia del sapere: non so, ma pretendo di saperne pur non sapendone. Socrate, che era sapiente proprio perché sapeva di non sapere, e per questo voleva sapere, per il suo pensiero anticonformista e costantemente alla ricerca della verità attraverso la ragione e quindi la conoscenza, mise in discussione un impianto tradizionale del sapere con tutti i suoi dei. Fu condannato a morte per le sue idee durante il regime democratico (399 a.C.), e non precedentemente, durante il regime oligarchico dei Trenta tiranni.

La democrazia, semplicemente, è stata sopravvalutata. Socrate concepiva il governo come arte e competenza da affidare a poche persone preparate in materia, praticamente lo scenario più lontano possibile dal nostro e attuale, che vede per esempio tra elettori ed eletti, sempre più numerosi, antagonisti del pensiero scientifico e gente che “sa di sapere”.

Anche il suo allievo Platone, riconosce il carattere elitario della politica: essa non è destinata a tutti, ma solo alla parte “aurea” della città. Alla politica delle opinioni, dovremmo rispondere con la politica della scienza, della verità, la conoscenza vera e razionale: “la ragione al potere e i filosofi al governo”. Un sistema democratico popolare “dal basso”, per sua natura e inclinazione, porterà ad una conoscenza sensibile, affidata ai sensi, quindi ingannevole, mutevole e soggettiva, retta da congetture e credenze.

I politici, in questo pensiero platonico ideale di governanti, ovviamente non devono essere scelti dalla massa (“incapace di riflettere filosoficamente”), ma eletti e formati da un sistema educativo. Nell’Accademia platonica, dopo aver studiato a fondo le discipline propedeutiche, gli studenti fra i trenta e i trentacinque anni ritenuti migliori passeranno a studiare la filosofia. Fra i trentacinque e i cinquanta, sempre i più brillanti e meritevoli, affronteranno un tirocinio pratico nelle cariche più importanti della società. Solo a cinquant’anni, superate tutte le prove, le eccellenze potranno meritare di governare lo Stato.

Adesso, se torniamo ai giorni nostri in un viaggio del tempo di oltre 2000 anni dopo, ci rendiamo conto dell’estremo scarto tra il nostro metodo di reclutamento e quello ideato dai padri fondatori del pensiero classico dell’antichità: dimostrazione non di merito, ma di devozione incondizionata per l’arruolamento nei tradizionali partiti politici; nei nuovi movimenti partitici, invece, solito giuramento di fedeltà e raccolta di voti sotto forma di giudizio popolare dal basso in click su piattaforme private virtuali frequentate non certo dai più giudiziosi e sapienti. Chi sceglie non è in grado, che sia in alto, che di solito agisce secondo il proprio piano di reclutamento attraverso la demagogia per conseguire obbiettivi di tornaconto di potere e successo dei pochi, e che sia dal basso, il popolo in balìa della propria inettitudine, delle scelte operate senza la minima conoscenza necessaria delle cose, vittima delle proprie opinioni pilotate dai demagoghi imbonitori di turno.

Il popolo, lo sapeva bene il populista Hitler durante la propria ascesa democratica iniziale, è mosso solo dalle emozioni e dall’odio, e su queste, e non sulla ragione, che va ricercato e costruito il consenso, ed è ciò che è successo con la vittoria di Trump e della Brexit, ciò che è successo anche con la vittoria delle due compagini populiste che hanno trionfato in Italia nelle ultime elezioni del 4 marzo (una parlando alla pancia con emozionanti e mirabolanti promesse elettorali e slogan ad effetto, l’altra istigando odio verso il diverso, ritenuto colpevole di tutte le disgrazie del paese).

L’uomo che deve occuparsi della politica, deve essere quindi un uomo nuovo. L’uomo politico di oggi, è l’uomo già vecchio e inadeguato della storia antica, l’uomo nuovo è l’uomo che non c’è, per questo motivo oggi tutti parlano di politica, fanno politica, insegnano politica, e votano. L’uomo nuovo è l’uomo che non verrà, quindi possiamo tranquillamente tornare a parlare di politica sotto l’egida di una degradante democrazia, e dei suoi pessimi elettori ed eletti. 

Un filo conduttore da Socrate conduce fino a Nanni Moretti, perché dopo millenni di sapere nulla si crea, nulla si distrugge, e tutto si trasforma in poltiglia: “Parlo mai di astrofisica, io? Parlo mai di biologia, io? Parlo mai di neuropsichiatria? Parlo mai di botanica? Parlo mai di algebra? Io non parlo di cose che non conosco! Parlo mai di epigrafia greca? Parlo mai di elettronica? Parlo mai delle dighe, dei ponti, delle autostrade? Io non parlo di cardiologia! Io non parlo di radiologia! Non parlo delle cose che non conosco! Non parlo di cose che non conosco.”

(Sogni d’oro, Nanni    Moretti, 1981).

 (da Fuori dalla Rete, Aprile 2018, anno XII, n. 2)

fonte Fuori dalla Rete, Aprile 2018, anno XII, n. 2
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