“Tu non sai quanto è ingiusto questo paese …”

La rubrica di Giovanni Nigro

C’è chi dice…

…che lo spopolamento al Sud ci appartiene e ci rimane appiccicato forse per sempre addosso consapevoli che arriverà prima o poi un dato Istat o Svimez a titolare a quattro colonne “Il Sud è morto” oppure “Fuga dal Sud”. Lo aspettiamo con ansia questo titolone e lo facciamo anche perché abbiamo sempre visto altri luoghi come contenitori di vita, lavoro e non come contenitori di voglia di eccellere in tutto.

Siamo in un momento storico che ci fa pensare all’altrove come l’America lontana, speranza e crescita di una generazione e parlo di quella nata nel post terremoto del 1980. Una generazione che si trova in mezzo tra quelli che hanno sfruttato la rinascita dopo il sisma e quelli che non sanno ancora che fare da grande, perché molto piccoli e sicuri di non voler restare qui.

Ma come è nata questa voglia di partire? Come si è sviluppata negli anni la consapevolezza che una partenza risolve il problema? Beh le risposte non sono molto chiare, ma ci proviamo. Magari utilizzando un piccolo estratto di un intervento di Pino Aprile: meridionalista, giornalista e scrittore, che, giusto così per dire è stato fotografato in un ristorante con la maglia della Giovane Sinistra di Bagnoli Irpino, dopo l’incontro avvenuto a Cassano Irpino. Nel programma Nemo Pino Aprile, a conclusione di un intervento che spiegava come il Nord ha speculato sul Sud e come l’Italia ha diviso in maniera non equa le risorse ed i servizi tra Nord e Sud disse:

“L’erede di un beneventano scappato per disperazione nell’800 dalla sua città negli Stati Uniti mi ha raccontato che nella sua famiglia da quattro generazioni dell’Italia hanno presente solo una frase: ‘You don’t know how unjust is this country’ (“Tu non sai quanto è ingiusto questo paese”).

Ingiusto anche perché non abbiamo il benché minimo senso di responsabilità, tanto da far sempre approfittare chi è più in alto di noi, chi è più ricco di noi. Non siamo capaci di mostrare l’eccellenza o meglio non siamo uniti nell’eccellenza. Prendiamo come esempio l’Irpinia, terra che si sta svuotando e che rimane ancora saldamente con i piedi puntati al terremoto del 1980, senza fare un passo in avanti. Una terra che ha dimostrato negli anni di possedere menti eccelse e conoscenze innovative, ma noi non ce ne siamo mai accorti. Infatti, delle eccellenze irpine, ne sappiamo da altri non irpini, che riconoscono l’eccellenza e la sponsorizzano anche.

Queste stesse eccellenze, riconosciute, chissà perché partono, emigrano, magari al Nord e ci lasciano solo con un nome, convinti che siamo la terra del terremoto dell’80 e da questo concetto non si può scappare. Quindi non sono i servizi soltanto a far emigrare un giovane prossimo trentenne ad esempio, ma sono anche i riconoscimenti, gli investimenti e la stragrande maggioranza delle emigrazioni avvengono per i diritti, sul lavoro soprattutto. Non siamo capaci di trattenere, di elogiare e di sponsorizzare un nostro compaesano, riconosciuto come eccellente nel suo lavoro o nella sua “arte”.

Siamo così, soprattutto in un piccolo paese come il nostro, rimane la concezione che chi eccelle è stato aiutato, da un “contentino”, da un amico, parente o conoscente. Non si riesce a capire che servono in una comunità le professioni per permettere lo sviluppo del territorio, altrimenti la disoccupazione non è l’unico problema, ma diventerà il sintomo di una malattia ancora più grossa ed impegnativa, che è l’abbandono dei valori per un tozzo di pane. Questa è la conseguenza più grave, questo è il male peggiore per un piccolo paese. Non avere nessuna professionalità nella comunità oppure, meglio ancora, non riconoscere nessuna professionalità. Mostrando il livello più basso del menefreghismo: il chiacchiericcio condito di giudizio sintetico ed a priori.

È vero qui alcune opportunità non ci saranno nemmeno se si inverte la rotta, nemmeno se facciamo una inversione a U di pensiero, però quelle che abbiamo forse è il caso di preservarle ed amarle come nostre cose e non volendo quelle famose “case cadute”, di cui ho espressamente scritto da queste colonne, qualche tempo fa. Siamo capaci di far finire eventi, manifestazioni di interesse nazionale, siamo capaci di costringere il cervello a pensare male e siamo capaci anche di lasciar perdere le idee, perché tanto qua “è tutto finito”.

Prendo ad esempio lo Sponz Fest, il Verteglia Mater ed altri eventi vicini a noi che, secondo le ultime notizie, potrebbero scomparire dall’Irpinia. Come una neve di marzo e questa è la cosa più grave. Grave quanto il pensiero di non essere più comunità unita, ma solo un puzzle a cui manca un pezzo per essere completato.

Quindi oltre alle parole di Pino Aprile “Tu non sai quanto è ingiusto questo paese”, aggiungerei anche “Ma siamo anche noi a renderlo ingiusto” o no?

Giovanni Nigro

(da Fuori dalla Rete, Settembre 2019, anno XIII, n. 4)

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