Anno 1614 – Il ferraiolo, il cappello e la giumenta. Mayorca il potente feudatario di Bagnoli

di Giovanni Marino

 “IL FERRAIOLO, IL CAPPELLO E UNA GIUMENTA”.


Nell’agosto del 1614 ci fu l’“exequatur” (riconoscimento del Re) della nomina del papa Paolo V a Vescovo della Diocesi di Nusco di Michele Resti. Questi era nato a Ragusa, oggi Dubrovnik in Croazia, ed era divenuto vescovo di Ston. Di temperamento bellicoso, poco dopo l’insediamento in una Diocesi da anni litigiosa, si scontrò prima con i canonici di Bagnoli e di Montella e poi con i potenti feudatari di Nusco (Gian Vincenzo Imperiale) di Bagnoli (Mayorca) e di Montella (Grimaldi).

Dovette subito guardarsi alle spalle: nel 1632 denunciò al Re il Governatore generale di Sant’Angelo Oreggia perché aveva cercato di farlo assassinare e comunicava che per difendersi aveva assoldato alcuni giovani montellesi “per guardia e per i suoi servizi”: Jacovo Marano, Vito Bonavitacola e Donato Pizza che avevano anche dovuto subire l’oltraggio di essere “con arbitrio carcerati e poi liberati”.

Ma ciò che lo rese impopolare furono certe pretese: voler imporre che nei giorni festivi non si potevano né vendere né comprare cose da mangiare o aver aperto un forno personale a danno dell’Università. Tentò invano di limitare gli usi civici della “Tenuta di Fondigliano”: il governatore giunto sul posto fu salutato dai bagnolesi con una fitta e prolungata serie di archibugiate.

Lo scontro decisivo – da cui il vescovo ne uscì con le ossa rotte – avvenne con il Duca di Bagnoli che aveva inviato un’ennesima “ortatoria” al Re. Forse solo allora Michele Resti comprese che lottare contro i Mayorca era impresa impossibile.

Ma cosa denunciava il potente duca? Il 18 ottobre del 1637 era avvenuto un litigio in piazza a Bagnoli. Un certo Vincenzo Castellano – benestante – era venuto alle mani con un chierico. Dopo qualche giorno, pentitosi, il “laico” era salito a Nusco per chiedere perdono al Vescovo. Questi per tutta risposta, ordinò ai suoi “famigli” di arrestarlo ed incarcerarlo. Mentre i “cursori” lo scortavano a Bagnoli, il Castellano per la discesa di Nusco riuscì a fuggire, lasciando sul terreno “il ferraiolo (sorta di mantello), il cappello e la giumenta”. Il Vescovo se ne impossessò e fece affiggere i “cedoloni della scomunica” contro il malcapitato.

Il Duca di Mayorca chiedeva il ritiro della scomunica e la restituzione delle cose sequestrate, aggiungendovi il carico da undici: accusava il Vescovo di creare chierici figlioli che non avevano l’età, e altri che non potevano essere sacerdoti”, gente che faceva rumore e dava scandalo senza essere punita” al solo scopo di “frodare le gabelle della terra”.

Non sappiamo come sia andato a finire per lo scomunicato, ma sappiamo che il Vescovo Resti, logorato, chiese nel 1639 al Papa di essere trasferito. Morì ad Ascoli Satriano nove anni dopo.

Bisogna anche riconoscergli che restaurò il frontespizio della cattedrale ed fece erigere, valorizzando, la “pietra di Nusco” nella pubblica piazza una bella croce su basamento e colonna collocata oggi in via Santa Croce. Purtroppo per lui, l’impressione che lasciò fu quella di un vescovo avaro e prepotente tanto che nel nostro dialetto si usa “hai la faccia di un raguseo” per indicare una persona incline a fare del male. Prima passano i Vescovi e poi le pietre.

di GIovanni Martino (Tratto da “La storia di Nusco di Giovanni Marino”)

(da Fuori dalla Rete, Novembre 2020, anno XIV, n. 5)


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