Ciak si vota. Anatomia di una campagna elettorale già vista

di Alejandro Di Giovanni

Alle incondizionate dichiarazioni d’amore per il proprio paese io credo, è inverosimile non tenere al paese nel quale si abita, sarebbe come non amare la propria casa privata d’abitazione, e il proprio paese è come una casa, la nostra. Il fatto quindi non sta tanto nel dichiarare e ribadire questo sentimento banale e risaputo, quale candidato penserebbe di detestare Bagnoli e amare più Montella essendo bagnolese? Ci teniamo, lapalissiano.

Non è una gara di dimostrazione d’amore, perché la politica non è innamoramento o incantamento, la politica è talento, la politica è una dote non molto comune, assai rara da trovare. Io credo negli appelli degli incursori politici di turno sul trasporto sentimentale verso il proprio comune di residenza, altrimenti sarebbero oltremodo sciocchi; io non credo nella reale consapevolezza del candidato, soprattutto sindaco, di realizzare appieno i propri limiti e la reale dimensione nella quale si proietta, non credo nella sua comprensione dell’arte della politica nella concezione più ampia del termine e del campo.

Credo anche nell’elettore che vuole il bene del proprio paese, nemmeno lui è così tanto sciocco. Tutti vogliono stare meglio, è una attitudine istintiva che hanno anche le bestie, il punto è: sono capaci questi di capire come ottenere ciò? Ecco, qui si misura non più il sentimento o l’istinto, bensì la ragione, i ragionamenti. Volere il bene del proprio paese, quindi per ricaduta logica il proprio, e agire secondo la sconclusionata e illogica decisione di scelta elettorale del mio parente/amico/compare a prescindere dal suo talento, dalle sue capacità e qualità di politico, è un agire secondo sentimento, e in politica lo spazio per i sentimenti è deleterio, poiché solo con la ragione e le scelte logiche la politica può risultare efficace nella sua opera di efficienza per il bene e per il progresso di una comunità e collettività di persone.

Se un candidato da un lato non mette in discussione le proprie capacità e le proprie doti, e l’elettore dall’altra si lascia condizionare nelle scelte dagli affetti e dai sentimenti, ecco che l’agire politico diviene ogni volta una forma di folcloristica parata da un lato e di dimostrazione incondizionata di affetto da soap opera ad alto effetto emotivo. Fino a quando non si metteranno in campo dunque consapevolezza nella qualità dell’offerta e una risposta scevra da dipendenze emotive e affettive, la politica non potrà mai realizzarsi compiutamente, rimarrà confinata nella limitatezza dei suoi attori che mal recitano e degli spettatori incantati che applaudono ad ogni battuta senza capire.

La politica riflette e restituisce la condizione culturale reale del paese che la esprime, il palco è smascherato e messo a nudo, cade la scenografia e finiscono i copioni, il sipario si chiude e resta il silenzio della sala vuota, di un paese che ogni volta mette in scena lo spettacolo rumoroso di una tornata elettorale. Spento l’ultimo riflettore, lo spettatore-elettore ritorna al buio del lamento solito della sua insoddisfatta condizione da spettatore-cittadino sedotto e abbandonato, spettatore colpevole di questa condizione, colpevole del suo incantamento, dei suoi applausi inopportuni, della propria incapacità di discernimento e di comprensione della finzione scenica, vittima delle proprie irrefrenabili emozioni.

Godiamoci allora questa anatomia in corso, avremo poi cinque lunghi anni per pensare e per poi ritornare, puntualmente e come sempre, alle luci del varietà a perpetuare i nostri abbagli.

Alejandro Di Giovanni


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