Ius Soli: è ora

di Luciano Arciuolo

Amjed ha 12 anni, fa la seconda media e va bene a scuola; è nato in Italia, a Roma, da genitori sudanesi. Parla perfettamente l’italiano e il dialetto romanesco, è tifoso della “Magica” e il suo idolo è Dzeko. In classe ha difeso il suo amico Elia, italiano, quando tutti lo accusavano ingiustamente di un piccolo furto. Non riesce ad imparare l’arabo, come i suoi genitori vorrebbero, perché, come dice, “è troppo difficile”.

Amjed non ha la cittadinanza italiana.

Fosse nato in Germania, avrebbe la cittadinanza tedesca. Così come in Belgio, in Irlanda, in Inghilterra, in Francia o in Portogallo.

In quei paesi, infatti, vale lo “Ius Soli”, per il quale basta nascere in una nazione per averne la cittadinanza, qualunque sia l’origine dei genitori, purché questi siano residenti da un certo numero di anni.

In Italia no. In Italia devi essere figlio di un cittadino italiano, per avere la cittadinanza. Diversamente, devi aspettare diciotto anni e farne richiesta. In Italia, anche se sposi un italiano o una italiana, da qualche anno non hai più automaticamente la cittadinanza, ma devi sostenere un esame.

Anche un noto calciatore uruguaiano, per avere la cittadinanza italiana, ha dovuto sostenere un esame di lingua. Una vera farsa, perché il calciatore è stato promosso anche se, a differenza di Amjed, non sapeva una sola parola della nostra lingua. Una farsa all’italiana, che però ha avuto il merito di mettere a nudo una realtà fatta di miseria e di sotterfugi, dovuti alla insostenibilità dell’attuale regime di concessione della cittadinanza, da noi.

Bene: è ora di rendersi conto che lo “Ius Soli”, quello valido in tutta Europa o giù di lì, va approvato anche in Italia. Lo dobbiamo a più di un milione di ragazzi, come Amjed, che sono nati in Italia, che frequentano le nostre scuole, parlano i nostri dialetti e non riescono neppure ad immaginare il loro futuro fuori o lontano dall’Italia.  E’ una questione di civiltà, oltre che di giustizia. E serve ad evitare tanti problemi, non solo ai diretti interessati, ma alla nostra stessa società che dall’integrazione ha solo da guadagnarci, anche in termini puramente economici. Senza cittadinanza Amjed sarà per tutta la vita un cittadino di serie B, una persona senza diritti in qualunque posto viva, pronto ad ingrossare le fila della criminalità.

Qualcuno (l’Italia, si sa, è tra le altre cose il paese dei “benaltristi”) propone lo “ius culturae”, cioè la possibilità di concedere la cittadinanza a chi frequenta nel nostro paese un intero ciclo di studi o di formazione.  Va bene anche questo, purché se ne cominci a discutere in maniera seria.

Duemila anni fa, l’impero romano concedeva ai popoli vinti la cittadinanza romana. Fu una delle armi che gli consentì di durare così a lungo.

Noi invece continuiamo a far finta di niente, salvo poi scandalizzarci quando accadono fatti eclatanti, come quello citato di Suarez o di altri giovani campioni sportivi emergenti, ai quali viene sistematicamente negato il privilegio concesso al quasi-calciatore della Juventus.

Siamo seri: è ora di approvare una legge sullo “Ius Soli”, senza curarci troppo di chi dice che così si fa un favore alla destra (Salvini dice che l’Italia è già il paese europeo in cui si concede il maggior numero di cittadinanze agli stranieri, ma è una bugia, sia sul piano strettamente numerico che in rapporto alla popolazione. I dati statistici parlano chiaro. Ma si sa, i leghisti con i numeri…). Perché quello che è certo, invece, è che il favore a chi è contrario lo facciamo nel momento in cui continuiamo a discuterne sottovoce, senza avere il coraggio di prendere atto che, ormai da venti anni, siamo entrati nel ventunesimo secolo.

E a chi afferma che non è una priorità, diciamo che questa è una battaglia di civiltà e che, tra l’altro, serve a costruire il futuro di un paese che invecchia sempre di più (nel solo 2020 in Italia abbiamo avuto quasi mezzo milione di bambini e giovani in meno…). Un futuro anche migliore, insomma. Non è una priorità, questa?

Luciano Arciuolo

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