L’intolleranza e l’idea di democrazia (anche) ai tempi del Covid-19

Rassegna stampa

Homo homini virus

Si sentono cose, qui in caverna. A proposito del convincimento diffuso che la paura di morire ci avrebbe reso più buoni, ho appreso dei tre volontari della Croce Rossa Italiana invitati con tono brutale dai condomini a  parcheggiare il loro eroismo su altri pianerottoli, possibilmente non confinanti. Bazzecole, in confronto a quanto  accaduto a una trentina di pensionati andalusi, risultati positivi al Corona e perciò trasferiti, con corteo d’ambulanze, nella casa di riposo di una cittadina dal nome musicale: Línea de la Concepción. Una delegazione di persone del posto ha organizzato accoglienze trionfali: sassaiole, blocchi stradali, cassonetti infuocati.

Questo perché la si smetta di dire che i migranti vengono discriminati in quanto stranieri. La signora in tuta che nelle immagini si vede inveire dal balcone contro gli anziani suoi connazionali converrebbe con Hobbes che l’intolleranza non scruta il colore della pelle, ma il pericolo potenziale rappresentato da ogni intruso. «Homo homini virus». E oggi, al borsino della paura, un pensionato con la polmonite vale tre scafisti col raffreddore.

Funziona così fin dai tempi delle caverne,  quelle vere. Prima la mia tribù, nella tribù prima il mio villaggio, nel villaggio prima la mia famiglia, nella famiglia prima me. Qualcuno si era illuso che bastasse un’emergenza planetaria a far scattare l’interruttore dell’umanità. Ma il coronavirus non è mica un corso accelerato di illuminazione.

Massimo Gramellini (CorSera)


Il socio piromane

Sarà molto istruttivo, per capire se l’Europa ha un futuro, seguire gli sviluppi del caso Ungheria. Ovvero di un Paese che ha ufficialmente sospeso la democrazia, mettendo in pratica il sogno sovranista: un nazionalismo autoritario non più impicciato dall’equilibrio dei poteri, dall ‘habeas corpus, dai diritti dell’opposizione. Orban incarna qualcosa di molto vicino a ciò che abbiamo sempre chiamato fascismo, e di molto lontano da ciò che  abbiamo sempre chiamato democrazia.

E siccome la difesa della democrazia e il contenimento dei nazionalismi (causa di due guerre mondiali, tanto per fare un poco di memoria) è, o dovrebbe essere, la ragion d’essere dell’Ue, così come messo nero su bianco dai padri fondatori, ci si aspetta che l’Ungheria sia richiamata all’ordine, o severamente sanzionata, se non espulsa dall’Unione stessa: altrimenti sarebbe come fondare un club di pompieri e ammettere un socio piromane.

Certo, si immagina che l’accanito lavoro di contabilità dell’Ue tenga impegnati quasi tutti i suoi funzionari, e  assorba la quasi totalità dei suoi sforzi. Bisogna limare al centesimo i conti, se non si vuole che qualche ministro olandese o qualche revisore tedesco si risenta e rimandi indietro la scartoffia. Magari, però, dislocare piccola parte del personale al settore “democrazia e libertà”, per quanto secondario rispetto alla sacra cura dei quattrini, aiuterebbe l’Unione a disti’arsi un poco, Facendole riscoprire il brivido delle idee, quelle che perfino gli alti burocrati hanno coltivato nel corso della loro giovinezza dimenticata.

Michele Serra (La Repubblica)

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