Lo sviluppo dell’Alta Irpinia passa dalle aree urbane

di Federico Lenzi

Il declino economico e lo spopolamento della nostra provincia costituiscono una triste realtà, ma queste dinamiche vengono ad assumere varie sfaccettature nelle diverse aree dell’Irpinia. Analizzare queste differenze alla luce dei nuovi sconvolgimenti causati dalla pandemia, ci permette d’immaginare quello che sarà un possibile futuro per queste terre. Pertanto, abbiamo deciso di studiare i dati delle dichiarazioni dei redditi dal 2000 al 2018 per ogni paese irpino.

Partendo dal numero totale di contribuenti, notiamo un tracollo totale nell’area orientale ed un’anemica crescita nella città di Avellino. Nonostante ciò, si nota uno spiccato incremento dei contribuenti nei paesi sull’asse viario tra Napoli, Avellino e Benevento/Ariano.

Questi paesi possono vantare la vicinanza alla campagna, ma restano ben collegati ai servizi e alle opportunità lavorative delle città. Non è un caso se la popolazione di paesi come Aiello del Sabato, Cesinali ed Ospedaletto d’Alpinolo sia in continua crescita. Anche nelle aree interne sono i paesi ben collegati e a vocazione commerciale/industriale a reggere meglio: Lioni e Grottaminarda hanno registrato un aumento tra il 15.2 ed il 21%, sorpassando anche Ariano Irpino fermo tra il 9.9% ed 15.2%.

Guardando all’ultimo anno disponibile (2018) appare evidente come Avellino e l’area urbana che si protrae verso l’Arianese vantino i redditi medi più alti. Tuttavia, guardando alla variazione percentuale rispetto al 2000, notiamo delle tendenze contrastanti. Il dichiarato totale è aumentato per lo più in queste aree urbanizzate, mentre il reddito medio ha registrato una flebile crescita (addirittura decrescita in alcuni paesi). Nonostante ciò, la dichiarazione media è cresciuta in maniera consistente nelle aree interne soggette allo spopolamento. Questo ci lascia intuire come non siano state solo le fasce più deboli a lasciare queste zone, ma anche quelle più dinamiche e produttive. Nel lungo termine questo rischia di aumentare le disuguaglianze economiche e la segregazione in quartieri nell’area urbana dell’avellinese.

La migrazione verso le aree suburbane ben collegate alle città sembra beneficiare degli effetti della pandemia. Da Londra a Milano, le grandi città hanno perso migliaia di abitanti a favore delle aree rurali nelle vicinanze. Invece, non si registra un simile boom immobiliare in Alta Irpinia. Gli ultimi dati del mercato parlano chiaro: la popolazione cerca maggiori spazi e meno inquinamento, ma non è disposta a rinunciare alle comodità della città.

Il lavoro da remoto sembra destinato a sostituire quello in ufficio per alcuni giorni al mese, ma non a rimpiazzarlo del tutto. Alcuni servizi sono profittevoli solo se erogati in maniera centralizzata dall’azienda (assistenza tecnica, fotocopiatrici, internet ed elettricità in quantità industriali, strumentazione ad alto contenuto tecnologico…). In aggiunta, nella formazione come nelle relazioni professionali/commerciali, il contatto umano resta determinante. Il lavoro e la scuola sono anche luoghi di socializzazione fondamentali per individui con simili retroterra culturali e routine. Non possiamo dimenticare come il successo delle grandi aree innovative (Silicon Valley, Londra, Tel Aviv, Milano) dipenda ampiamente dalla concentrazione e dall’interazione di un gran numero di talenti.

Le città sono sempre state il centro economico e culturale delle nostre civiltà. Non a caso, il ritorno alle campagne del Medioevo è coinciso con quelli che sono stati definiti i secoli bui dell’Occidente. Durante ogni pandemia abbiamo avuto svariati esodi verso le campagne, ma alla fine la popolazione è sempre rientrata nelle città. Ad oggi la tecnologia non ci permette di bloccare questo deflusso, ma rende possibile re-distribuire questa migrazione nelle aree suburbane ben collegate ai centri. Puntare sullo sviluppo delle aree urbane della Campania (Napoli-Caserta; l’asse Salerno, Avellino, Benevento) e ad una maggiore integrazione delle aree rurali può essere la chiave di svolta per ripopolare la nostra provincia. In altre parole, il recovery fund ci offre la possibilità di ricreare le stesse opportunità di Roma e Milano nella nostra stessa regione, integrando al meglio le aree periferiche dell’Irpinia. Non è un caso se la Valtellina e le campagne padane beneficino ampiamente della vivacità delle adiacenti aree metropolitane.

Storicamente i paesi irpini hanno sempre prosperato se ben integrati e collegati alle città. Il passato del nostro paese è legato a doppio filo alle vicende della capitale dell’impero: Napoli. Da Ambrogio Salvio a Leonardo Di Capua i cittadini illustri del paese sono stati sempre legati all’area urbana e da essa abbiamo ricevuto svariati introiti: turismo, mercarti per le produzioni locali, investimenti… Col tempo questo legame è venuto meno per via del declino socioeconomico delle città meridionali e dei costanti tagli ai trasporti pubblici. Le aree urbane e suburbane rappresentano sia un’opportunità di lavoro per le nostre comunità e sia mercati per turismo/prodotti tipici.

Puntare sullo sviluppo di un simile eco-sistema è un’impresa ardua, ma affidandosi all’euforia momentanea dello smart-working si rischia di cadere in una grande illusione. Infatti, è bene notare come questi individui abbiano pochi incentivi a restare al termine della pandemia. La flessibilità di questa forma di lavoro gli permette di migrare verso località turistiche/paesi con maggiori servizi, o di mutarsi in nomadi digitali. Come se non bastasse, le regioni in cui hanno sede le aziende avranno un forte incentivo a scoraggiare questa pratica attraverso la tassazione. Le soluzioni semplici, non si rilevano spesso le migliori. La Campania e l’Irpinia devono usare il recovery fund per creare una solida e prospera economia regionale, non per sognare di rubare qualche residente alle produttive regioni del Nord Italia.

Federico Lenzi

(da Fuori dalla Rete, Maggio 2021, anno XV, n. 2)


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