“Saluti da Bagnoli”, quando i messaggi si mandavano in cartolina

di Giulio Tammaro

Scatti, ingialliti dal tempo, restituiscono alla memoria, come se fossero dei veri e propri flashback, stralci di vita di Bagnoli mostrando allo stesso tempo come è cambiato il paese nel corso degli anni.

Sono le cartoline, che un tempo erano quasi un “must”, una sorta di status symbol, un indicatore del livello “sociale” di una persona, tra amici era obbligatorio dirsi, prima della partenza: “Mi raccomando, scrivimi una cartolina”. Oggi invece si fa fatica a trovarle, nei luoghi di villeggiatura i tabaccai, le edicole e i negozi di oggettistica continuano ad esporle, ma sono ormai piegate e avvizzite. La comunicazione globale, la socializzazione e  condivisione a tutti i costi, i gruppi whatsapp e le chat on line le rendono fuori moda.

Nei giorni scorsi, casualmente, questi oggetti ormai vintage, mi sono capitati sotto gli occhi, ma dovrei dire tra le mani. Non una, bensì pacchi interi di caroline di Bagnoli.

“Sono vent’anni che non si vende più una cartolina, mi a confidato Caterina del bar La Lucciola, a quei pochi che ancora le chiedono preferisco regalargliele”, e così dicendo mi porge una busta con quattro pacchi di cartoline, ancora imballate, con la promessa di esporle nel Centro polifunzionale del Laceno.

Quattro diverse illustrazioni, scorci di Bagnoli: il castello prima del restauro, un’immagine della piazza con i due mastodontici pini innevati, i vicoli del centro storico, la fontana del Gavitone, un primo piano della Giudecca innevata. A prima vista alcune sembrano semplici fotografie ma basta girarle sul retro per rendersi conto che sono cartoline. In piccolo una dicitura recita: Ed. G. Di Capua – Hotel La Lucciola, foto Frasca – Gatta.   Sulle altre invece c’è scritto “Saluti da Bagnoli (AV) 654 mt.” e “Bagnoli Irpino (AV) 654 mt. – Centro Storico”.

Per caso, a distanza di pochi giorni, ecco un altro pacco di cartoline, anche queste ancora imballate. Il soggetto della foto questa volta è la Chiesa Madre: ci sono i banchi in castagno, la balaustra a circondare l’altare maggiore, dove però manca mensa centrale, segno che la foto è antecedente al Concilio Vaticano II, che istituiva la celebrazione della messa in italiano e introduceva una nuova posizione del sacerdote durante la messa, rivolto verso i partecipanti anziché verso l’altare, di spalle ai fedeli. Sul retro la dicitura: Foto Franco. Le ho consegnate a don Stefano che sicuramente saprà farne buon uso.

All’apparenza questo insignificante pezzo di cartoncino, oggi dimenticato e sconosciuto alle nuove generazioni, ha rappresentato un formidabile mezzo di comunicazione globale, un suggello di una grande amicizia o, forse, di qualcosa di più.

Giulio Tammaro

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