Bagnoli, il Principe Umberto e le Grandi Manovre del 1932

di Cesare Carpenito (Il Quotidiano del Sud)

Dall’accoglienza del PNF ai contrasti tra i Savoia e il Duce.


Sebbene si tenda spesso a ricordare in ottica irpina, la magniloquenza delle Grandi Manovre del 1936, è doveroso riportare alla memoria anche gli eventi relativi alle Grandi Manovre del 1932 che, seppur svoltesi essenzialmente al Nord, videro anche l’Irpinia protagonista. Si trattò, senza dubbio, di un evento di minor portata a livello propagandistico e parabellico, ma rappresentò uno dei primi, sintomatici, tentativi del regime fascista di “mostrare i muscoli” al consesso internazionale e verificare le basi della propria sedicente potenza militare. Ciò che risulta interessante, in tal contesto, è analizzare come lo scenario delle manovre irpine si fonda ad una problematica ben più ampia e, spesso, minimizzata dalla storia: la complessità dei rapporti intercorsi fra casa Savoia e il regime mussoliniano. Vittorio Emanuele III, con la decisione di cedere innanzi alla celeberrima “marcia”, aveva segnato indelebilmente la storia di una casata che, a dire il vero, nelle pagine della storia risorgimentale aveva già lasciato molti interrogativi irrisolti ad un’Italia finalmente unificata. Voler analizzare i rapporti intercorrenti fra i due poteri presenti nell’Italia del ventennio, tuttavia, appare operazione storiograficamente di estrema difficoltà. A una devozione monarchica di facciata da parte del PNF, infatti, fa da contraltare una malcelata volontà di offuscare, in ogni occasione pubblica, il lustro dei reali. Dal canto loro, invece, era proprio in queste apparizioni pubbliche che i Sabaudi cercavano di verificare il grado di fedeltà nei loro riguardi da parte del popolo italiano.

Tracciate tali premesse, dunque possiamo ben comprendere il contesto in cui si svolgono le Grandi Manovre del 1932 e, in particolare, il quadro sociopolitico che fa da substrato alla visita in Irpinia del principe Umberto. Il futuro “Re di maggio”, in qualità di delfino di casa reale, presenziò spesso a grandi manifestazioni di popolo, proprio al fine di mantenere vivo il rapporto fra la monarchia e gli italiani: del resto, a ben voler analizzare il quadro complessivo, il suo operato di erede al trono si ridusse quasi esclusivamente a ciò, come se il padre-re cercasse sistematicamente di sottrarlo agli effettivi compiti di comando (per quanto di effettivo comando si potesse poi parlare durante il ventennio). Questo rappresenta certamente un problema da scandagliare nell’ottica di una lettura, e rilettura, quanto più possibile complessiva dei rapporti intercorrenti fra corona e fascio littorio. Ma, prima, torniamo al 1932, torniamo in Irpinia e, più precisamente a Bagnoli…

Era la mattina del 7 agosto quando, ospite della nostra provincia per presiedere alle Grandi Manovre, il principe Umberto giunse a Bagnoli per recarsi a messa presso la collegiata dell’Assunta. I giornali dell’epoca, con i loro toni autarchicamente austeri, riportarono ali di folla festante all’arrivo del Reale, in un tripudio di “Savoia! Savoia!” ma, tuttavia, analizzando le fonti e la memoria storica ancora viva, in realtà l’accoglienza preparata dal PNF locale fu ben diversa. La propaganda, come ben noto, ha sempre rappresentato per il fascio un punto di forza, un elemento della propria leadership politico-culturale da curare in maniera scientifica, mirata, capillare. Fu così che, a far da contraltare ad un certo entusiasmo popolare, sicuramente schietto, sincero, vi fu la gestione della “cartellonistica” da parte della sezione locale del Partito Fascista, capeggiato all’epoca dal Podestà Cucci coadiuvato dal segretario politico Meloro. Tutto il paese – come riporta anche il sempre attento Camuso- fu tappezzato di manifesti riportanti “Viva il Duce!” e particolare cura fu dedicata alla Collegiata, anch’essa riccamente ricoperta di propaganda fascista, con un solo “Viva il Principe Umberto” alla porta del vano sottoscala. L’erede di casa Savoia, tuttavia non dovette essere troppo colpito da questa accoglienza: il vento che spirava era già abbastanza chiaro… ma non era che l’inizio di un escalation di tensione.

I rapporti tesi tra i Savoia – specie nella figura di Umberto- e il PNF non sono un segreto per gli storici: agli ambigui progetti del Duce relativi alla gestione della successione (si pensi alla clausola votata dal Gran Consiglio nel 1928 e che portò alla celeberrima irruzione di Maria Josè a Palazzo Venezia) si sommò, da parte del principe, una mai celata avversione al Nazismo.

In una dialettica già così complessa, poi, sopraggiunse, nel 1938, la creazione del grado di primo maresciallo dell’Impero, un grado che sarebbe stato ricoperto in maniera paritetica da Re e Duce. Vittorio Emanuele, sulle prime, si rifiutò di firmare ma, alla fine, ancora una volta cedette.

Risale al settembre di quello stesso anno il misterioso progetto di golpe da parte del principe: in base a quanto leggiamo nel documento del Foreign Office inglese ritrovato da D.B. Cecchi – e pubblicato per la prima volta nel 1986- Umberto avrebbe abdicato il 26 del mese in favore del figlio con un atto da consegnare a un ignoto avvocato di Milano  (variamente identificato on protagonisti della scena politica pre-fascista); Mari Josè, avrebbe costretto il re in carica ad abdicare, divenendo di fatto reggente, mentre Badoglio avrebbe avuto pieni poteri sulla gestione dell’ordine pubblico, coadiuvato da Graziani alla guida dell’esercito, e il suddetto avvocato milanese avrebbe ricevuto il compito di formare il nuovo governo. Anche questa volta, però, l’intento del reale si risolse in un nulla di fatto: il pomeriggio del 25, infatti, Hitler emanò l’ultimatum alla Cecoslovacchia e, in uno scenario tanto teso, il principe preferì annullare il progetto golpista.

Ma da dove nascevano i continui tentennamenti del principe e i palesi tentativi del re di tenerlo “in disparte”, quasi a volerlo sottrarlo dalle manovre più oscure di Mussolini? Forse è possibile trovare una risposta nel lavoro dello storico francese Pierre Milza, il quale ci informa su cosa fu ritrovato nelle tasche del Duce quando il suo cadavere fu esposto a Piazzale Loreto: parte della sua corrispondenza con Churchill (all’interno della quale brillavano due lettere particolarmente compromettenti per lo statista britannico) e documenti attestanti l’omosessualità del principe Umberto. In un’epoca caratterizzata da un clima culturale in cui l’omosessualità era ben più che un tabù, sembra che il regime si fosse impegnato da anni a costruire un dossier sulla presunta “Omofili” dell’erede al trono: un arma terribile per tenere in scacco Vittorio Emanuele e su cui, eventualmente, porre le basi della delegittimazione del potere sovrano in Italia.

di Cesare Carpenito (Il Quotidiano del Sud del 21.10.2019)


 

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