Cambiamenti climatici: alcune considerazioni sul tema

Dott. Antonio Cortese

A margine della conferenza tematica “Uno sguardo al cielo con un occhio al futuro”.


Le preoccupazioni e le premure sui cambiamenti climatici cominciano una ventina di anni fa, quando cioè il surriscaldamento globale ha fatto accorgere su scala internazionale, con repentini scioglimenti di secolari e millenari giacimenti glaciali e allo sfoltirsi della protezione di ozono, dell’importanza della cura ambientale.

Pochi gradi di innalzamento della temperatura, come sostiene un detto secondo cui è possibile che un battito di ali di farfalla in Giappone provoca un uragano in Amazzonia, aggravano il sostentamento delle strutture e delle costruzioni dell’uomo in ogni nazione. Nonostante tale presa di coscienza però, la responsabilità delle istituzioni si sta dimostrando lenta ad intevenire, rimandando di cinque, dieci, venti anni di volta in volta, decisioni da farsi drastiche per diminuire gli impatti inquinanti. La paura delle multinazionali che producono lavoro ed economia con i su detti agenti inquinanti va trasformata quindi con il ripensamento e la trasformazione, appunto, delle loro competenze materiali in altrettante, come ad esempio e prime fra tutte quelle petrolifere e carbonifere, in produzione di plastiche che vadano a migliorare e facilitare la vita sul pianeta invece che fermarsi ad un’ottica di riciclo che sta diventando, per usare una metafora, un cane che si morde la coda.

Parlare di energie alternative sta diventando una cosa al limite del pedante anche oramai a chi le propone da trent’anni, tanto da passare quasi di “moda” anche perché inglobate in una sorta di colpevolezza del business a tutti i costi come secondo ultimo fine. L’ottusa mentalità della burocrazia non sa chiudere un occhio quando deve e quando può, dove dovrebbe e potrebbe altrimenti, ma essendo questo un trattamento su scala generale è inutile recriminare; anche perché è stata la logica recriminatoria a fermare lavori ben intenzionati come quelli di Al Gore negli stati uniti d’America, nei prematuri e caoticamente visionari anni ’90, facendo si che proprio la bandiera simbolo del progresso non avesse ratificato il protocollo di Kyoto, deficiente pertanto di quelle stelle e strisce che ci condizionano, più nel bene che nel male, bisogna ammetterlo, dal dopoguerra armato del secolo passato. Ora di quale evento sensazionale l’umanità abbisogna per dare ai governi un richiamo di primaria risposta alle vere urgenze umanitarie? Purtroppo nessuna, perché la natura lavora lentamente con tempi che non sono stabiliti dai nostri orologi né calendari per quanto la metafisica e le menti eccelse soprattutto in religione hanno saputo produrre a norma di legge. La buona volontà di poche nazioni trainanti nel settore ecologico che si sono distaccate da queste logiche arcaiche non riesce da sola a fermare la corda e si corre il rischio di svegliarsi come il barbagianni romantico, quando cioè il crepuscolo è innescato, per usare un’atra metafora filosofica. Sta succedendo così che ognuno si chiude a riccio, egoisticamente ma anche prudentemente, ma per che cosa? Per assistere al declino con la coscienza quanto più pulita possibile? No, perché anche quando saremo riusciti a puntare il dito ne avremmo altri cento contro l’indomani. Allora, avendo ancora bar lumi di tecnologia che ci aiutano, diamoci da fare per non aggravare la corda lanciataci dai grilli parlanti del terzo millennio. Come può un grillo trainare un toro che non è mai domo di sbuffare nelle Borse di un capitalismo dagli occhi rossi? La risposta sta proprio nel titolo di questo convegno: rivolgere cioè uno sguardo camaleontico anche fuori dal seminato.

Fortunatamente le cosiddette tigri asiatiche con la loro prevalente cultura del terzo occhio a queste conclusioni ci sono da molto con basi solide ma non hanno capito ancora che è un altro senso quello da potenziare a noi occidentali: quello sonoro uditivo. Questo è il senso che va perfezionato con politiche ultradiplomatiche; e queste capacità a loro non mancano. Noi intanto , nel nostro piccolo, non possiamo fare altro che aumentare il tasso educativo con pedagogie over 50, ad esempio, impegnandoci in logiche interdisciplinari e linguistiche, affidando a chiunque compiti ma soprattutto motivazioni, partendo da quel minimo di sapere che ogni uomo, donna o bambino dispone, perché poi la dignità di ognuno di noi non venga mai messa in discussione.

Stiamo tutti per capire che finanche previsioni e programmi del tipo “entro il 2020 eccetera eccetera..o piano di rientro delle emissioni tossiche eccetera eccetera” sono delle bende sugli occhi per rimandarci alla mediocrità di un domani standardizzato, rassicurati da chi pensa per noi se facciamo i bravi cittadini. Siamo proprio sicuri che queste barzellette disegnate da chi sa a stento usare un personal computer, a differenza anche di un preadolescente che con una tastiera digitale farebbe miracoli concreti e con maggiore serietà e senso di responsabilità, vengano rispettate dalle energie di una natura che continua a sorprenderci? Una folata di vento o un temporale portano l’orologio nostro o degli scienziati del meteo? Un terremoto segue forse le fasi lunari, l’ora legale o quella solare? Se avessimo la lucidità per farci una semplice risata dopo esserci posti queste domande, faremmo tutti un seppur minimo passo avanti. Chi di noi conosce l’impatto delle ribellioni di un tifone che scoperchia violentemente l’amianto, o stiamo sempre lì a vedere come si strappa l’ombrello dell’anchorman in diretta tv per saziarci in attesa di altrettanti tsunami? Siamo umani o vogliamo rimanere bestie che si nutrono l’ego di show televisivi catastrofici magari di massa come in un pianeta di scimmie imbecilli in un futuro di cui non si vuole essere coscienti o almeno partecipi? Non bisogna nemmeno cadere nel qualunquismo della morale quando anche quest’ultima si renda patetica ma altresì bisogna essere obiettivi. Non dobbiamo vivere di speranze ma essere fattivi e materializzare l’ottimismo in un mondo stracolmo di spunti da cui partire o ripartire. La fantasia al potere auspicata dai sessantottini è possibile se non ci si rivolge a chi di loro si è incattivito raggiungendolo. La storia è affollata da inventori e ricercatori perseguitati dai difensori dello status quo e anche la piccola Bagnoli irpino ha offerto esempi di cotanti uomini: è giunta l’ora di scatenare un sano e positivo lassaiz faire a chi dimostra un minimo di buona volontà particolarmente nelle nuove generazioni, senza definirli più “giovani” con la retorica del vecchio e astuto cicero pro domo sua che a questi “giovani” li ha fatti diventare quasi settantenni, se a ben selezionare col telecomando scorriamo nel vedere i filmati dei reportage e dei documentari dal 1968 in poi. Da quando cioè il concetto di utopia, colorata perlopiù dai partiti della sinistra politica europea, si è incominciato ad intravedere possibile. Molti possibilisti di questa fortunata tipologia però non hanno saputo negli anni a seguire né unire né adattare azioni alle parole e proclami scritti dagli stessi loro padri costituzionalisti, adagiandosi in un benessere generale crescente divisosi in apparati burocratici e sindacali, facendosi sopraffare pian pianino da latenti mentalità fasciste non ancora purtroppo debellate nel modus vivendi italiano. Ma evitando di cadere in polemiche politiche, è meglio tornare al tema del clima ricordando che proprio in Italia, oltre ad organi istituzionali come il Cipe ed altri settori specializzati sono attive molte associazioni private anche internazionali, prime fra tutte Greenpeace, che operano anche a discapito delle propria incolumità e scavalcando sovente rigidità burocratiche appunto, che da una trentina di anni col loro lavoro straordinario, se non fatto grandi opere di recupero ambientale, hanno almeno inculcato ed alcune volte anche eroicamente nella popolazione, la cultura ecologica.

Questa cultura è rimbalzata ai piani alti con la produzione di centinaia di leggi e decreti che frenano l’inquinamento e la cecità dei cittadini soprattutto nel settore consumistico, con una politica definita in inglese “greenwashing” che ha costretto i comuni a fare raccolta differenziata dei rifiuti, ad obbligare le industrie a produrre entro limiti per quanto riguarda le emissioni all’inizio, fino a farle ripensare e ricontrollare l’intero processo di lavoro specialmente nel settore alimentare.

Dott. Antonio Cortese

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