Giovanni Solimine: la biblioteca interruttore per accendere la curiosità e il senso critico

Quando si parla del rapporto tra lettura e biblioteca si sottolinea spesso come la biblioteca sia uno spazio di mediazione culturale e inclusione sociale del tutto speciale e diverso. Diverso perché in biblioteca si ha la possibilità di accedere liberamente alla conoscenza e alla cultura; diverso perché la biblioteca garantisce l’accesso gratuito a una vastità di risorse informative, dalle pubblicazioni mainstream a quelle meno note, favorendo la scoperta di nuovi autori, idee e prospettive inusuali; diverso perché come spazio neutrale a differenza di altri contesti culturali, la biblioteca non impone consumi né specifiche scelte; diverso perché valorizza la bibliodiversità. È davvero così? La domanda è legittima e verrebbe da pensare che se sì allora in biblioteca si legge effettivamente in modo diverso.

Il libro “Leggere in biblioteca” di Giovanni Solimine, pubblicato da poche settimane da Editrice Bibliografica, entra nel merito di tutto questo e finalmente fornisce più di una risposta consentendo di uscire da qualche luogo comune.

Nel volume Solimine torna al vecchio amore della fenomenologia bibliotecaria “basata sull’evidenza dei dati accompagnata da un tentativo di andare a fondo nelle problematiche considerate” (p. 9) riprendendo un approccio allo studio delle biblioteche che l’Autore stesso ha “inventato” – uso questa parola non a caso – attraverso alcuni contributi che nei primi anni ’90 hanno dato un impulso assolutamente inedito allo studio sul valore delle biblioteche [1].

La lettura in biblioteca viene analizzata in questo libro attraverso l’approfondimento di quattro fenomeni: gli acquisti ovvero la costruzione delle collezioni; la lettura socializzata dei gruppi di lettura bibliotecari; i prestiti nella loro dimensione analogica e, infine, quella digitale. Alla fine di ogni capitolo l’autore inserisce un paragrafo dal titolo Per concludere in cui delinea la lezione appresa e propone qualche soluzione a partire dai dati analizzati. La prima questione che ho posto all’Autore è questa: «nel secondo capitolo del libro, dopo la nota metodologica, entri nel vivo di uno dei temi più interessanti e spinosi per chi si occupa di biblioteche – la bibliodiversità lato sviluppo delle collezioni o politica degli acquisti – collegandolo a un tema poco affrontato, ovvero la formazione dei bibliotecari rispetto alla conoscenza del panorama editoriale».

«Sul concetto di bibliodiversità – risponde Giovanni Solimine – bisogna intendersi. C’è una certa diversità dell’offerta bibliotecaria rispetto a quella dei canali commerciali (librerie di catena o indipendenti, piattaforme e-commerce), dovuta a ragioni strutturali – un ritardo nelle classifiche dei prestiti rispetto a quelle di vendita, a causa della scarsa disponibilità di copie – o a motivazioni dei frequentatori a volte meno interessati alle novità, che invece coprono gran parte degli acquisti effettuati da chi frequenta le librerie. Se invece pensiamo a una varietà di offerta, intesa come una intrinseca diversità delle biblioteche – e mi riferisco ovviamente non alle biblioteche storiche, dove le collezioni si sono stratificate nel tempo e possono aver assunto caratteristiche peculiari, ma alle biblioteche pubbliche di base, orientate a soddisfare i bisogni correnti del pubblico e legate alla contemporaneità – rischiamo di restare delusi. Dalla mia indagine emerge che il servizio pubblico non costituisce un universo parallelo, distante da ciò che accade nel resto del mondo della lettura. Analizzando gli acquisti effettuati dalle biblioteche e i prestiti richiesti dagli utenti, non possiamo parlare di una vera e propria bibliodiversità: più della metà dei prestiti riguarda libri pubblicati dai grandi gruppi editoriali, e ai primi posti nella graduatoria dei titoli più prestati troviamo L’amica geniale tra i libri per adulti e il Diario di una schiappa tra quelli per ragazzi. Ma non dobbiamo dimenticare che se gli acquisti e i prestiti delle biblioteche ricalcano in buona misura l’andamento del mercato librario, ciò dipende dal fatto che la bibliodiversità è un lusso che di solito le biblioteche non possono permettersi: dobbiamo essere consapevoli che la bibliodiversità ha un costo, perché non è sostitutiva ma aggiuntiva rispetto a un’offerta “basica”. Infatti, non si può rinunciare all’essenziale, a ciò che non può mancare, a ciò che l’utenza reale richiede, per cui l’ampliamento e la diversificazione del ventaglio di offerta può avvenire solo dopo aver soddisfatto i livelli minimi di servizio. In secondo luogo, questa diversificazione presuppone una elevata qualificazione professionale dei bibliotecari, che dovrebbero conoscere più a fondo la produzione editoriale e avere uno “sguardo bibliografico” per cogliere dagli eventi quotidiani e dalla realtà che li circonda gli spunti da tradurre in acquisti non mainstream e la capacità di suggerire agli utenti non solo letture convenzionali. Gioverebbe anche un partenariato costruttivo con fornitori capaci di assicurare un assortimento che includa anche i prodotti di quella editoria minore o di nicchia che fa fatica a farsi notare sul mercato librario».

La seconda sollecitazione che ho proposto a Solimine ha a che vedere con una riflessione che lascia emergere rispetto all’analisi dei gruppi di lettura, a mio avviso interessantissima: «i gruppi di lettura sono troppo spesso “un corpo separato” dalla biblioteca e invece potrebbero essere coinvolti più direttamente nella progettazione delle collezioni o delle attività culturali. A cosa ti riferisci?»

«I gruppi di lettura – sostiene Giovanni Solimine – sono una ricchezza a mio avviso sottoutilizzata. Di fatto, le biblioteche si limitano a ospitarli e forse abbiamo dimenticato il senso di espressioni come “pubblica lettura”. In cosa consiste la condivisione della lettura praticata nelle biblioteche? Forse per il fatto di essere formati per lo più da lettori forti, alla ricerca di esperienze nuove e libere da condizionamenti commerciali, i gruppi praticano davvero la bibliodiversità. Ma se tutto ciò si traduce solo nelle scelte sofisticate di un’élite, il loro impatto è pressoché nullo. Penso che i gruppi di lettura potrebbero essere maggiormente coinvolti nella progettazione delle collezioni, chiedendo loro suggerimenti per gli acquisti, recensioni e schede di presentazione dei libri, organizzando incontri periodici con librai, editori e altri utenti per una migliore conoscenza dei filoni più originali e interessanti della produzione corrente.  In questo modo i gruppi potrebbero disseminare in modo più esteso i risultati della loro attività e comunicare la loro passione».

In questo libro Giovanni Solimine analizza una quantità imponente di dati e da cui trae numerose considerazioni, ad esempio relativamente alla connessione tra uso delle raccolte e attività culturali. Gli ho quindi chiesto che tipo di scollamento hanno mostrato i dati.

«Il lavoro si basa sull’analisi di oltre trenta milioni di prestiti registrati dalle biblioteche. Venendo alla tua domanda – afferma l’Autore – non c’era bisogno di questa ricerca per notare un fenomeno che è sotto gli occhi di tutti i bibliotecari, che riferiscono di una incomunicabilità tra il pubblico dei frequentatori degli incontri e delle altre attività culturali promosse dalle biblioteche, da un lato, e, dall’altro, gli utilizzatori dei servizi di lettura e prestito. Non si riesce quasi mai a scalfire questa discrasia, forse perché manca una visione unitaria. Credo che le attività culturali andrebbero concepite come una naturale estensione della politica delle collezioni, volta a offrire occasioni di discussione strettamente collegate all’offerta libraria e alla divulgazione del posseduto, in dialogo o in dialettica con il posseduto.  Rientra in questa strategia anche un avvicinamento delle proposte di lettura ad altre forme di narrazione, come quelle praticate attraverso i film e le serie televisive, cercando un equilibrio tra l’interesse per i temi più scottanti della contemporaneità e la riflessione sulle mille questioni che agitano le nostre esistenze».

Infine non potevo non sollecitare l’Autore con la “domanda delle domande” che lui stesso dichiara sia sottotraccia alle riflessioni di questo libro: «le biblioteche intendono offrire al pubblico letture di intrattenimento come fossero tranquillanti oppure vogliono essere un interruttore che accenda la curiosità, che metta in moto il senso critico e la consapevolezza? Credo di conoscere la sua risposta rispetto alla urgenza di essere un interruttore ma come fare? Quali sono gli ingredienti?»

«Confesso di non sapere come si fa. So soltanto che non dobbiamo perdere il senso del lavoro di biblioteca e non dobbiamo neppure accontentarci di erogare migliaia di prestiti né di riempire le sale quando viene a trovarci un grande scrittore. Chiediamoci a cosa servono le biblioteche. Le letture che proponiamo possono essere intese come pillole per dormire, un’evasione, un passatempo per rilassarsi dallo stress quotidiano. Ma possono anche costituire uno stimolo, un’occasione per incuriosire e sorprendere, per fare scoperte del tutto inattese. Se non ci svegliamo noi per primi, resteremo ai margini della vita delle comunità che dobbiamo servire».

Giovanni Solimine è uno dei maggiori esperti italiani di biblioteconomia, editoria, lettura e cultura del libro. Professore emerito alla Sapienza Università di Roma, dal 2017 presiede la Fondazione Bellonci, che si occupa di valorizzazione della letteratura contemporanea e organizza il Premio Strega. I suoi ultimi libri sono: La cultura orizzontale (con Giorgio Zanchini, 2020) e Cervelli anfibi, orecchie e digitale. Esercizi di lettura futura (2023).

NOTE

[1] Penso per esempio a Quanto valgono le biblioteche pubbliche? Analisi della struttura e dei servizi delle biblioteche di base in Italia. Rapporto finale della ricerca Efficienza e qualità dei servizi nelle biblioteche di base, condotta dalla Commissione nazionale AIB “Biblioteche pubbliche” e dal Gruppo di lavoro “Gestione e valutazione”. Coordinamento del Gruppo e direzione della ricerca: Giovanni Solimine. Gruppo di lavoro: Sergio Conti, Dario D’Alessandro, Raffaele De Magistris, Pasquale Mascia, Vincenzo Santoro. Roma, Associazione italiana biblioteche, 1994. ii, 81 p. ISSN 1121-1482.

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