Il senso di comunità e di appartenenza

Rubrica di Giovanni Nigro

C’è chi dice…

che abbiamo bisogno di ritrovare quel senso di comunità ormai perso da troppi anni. Sicuramente questo è uno dei recuperi da fare in un piccolo paese come il nostro, che vive ogni giorno crisi, ammutinamenti, problemi veri e falsi che siano. Questo senso di comunità, come il sentimento di appartenenza, sono frutti di una crisi, prima fatta di persone e di soggetti, poi inevitabilmente dobbiamo attribuire una colpa alla politica locale.

Oggi appartenere a qualcosa è veramente difficile, anzi è quasi impossibile. Però il sud ed i paesini del sud si sono sempre distinti negli anni per la forza di appartenenza. Il legame, quasi come il cordone ombelicale di una madre con il proprio figlio, era indistruttibile. Ogni occasione era ed è buona per portare con sé un pacco, fatto all’apparenza solo di mangiare, ma non è solo quello. In quel pacco si vedono le fatiche di una famiglia per far stare bene i propri cari. Questo senso di appartenenza a volte faceva portare via anche l’aria. Quell’aria che in vari film di napoletana memoria si vendeva sulle bancarelle e che i turisti acquistavano, ma alla fine erano barattoli vuoti. Vuoti soprattutto per loro, ma pieni per chi viveva in quel luogo.

Oggi anche la scelta di una università spazza via il senso di appartenenza, sicuramente per i pochi servizi e per l’inettitudine dei paesini del sud a dire “qui non ci sta niente”. Vero, anzi verissimo. Però non può essere di norma che i ragazzi che scelgono una università la scelgano anche in base al fatto che poi in quella città vorranno viverci. Anche se lo stesso identico lavoro lo si può fare a Napoli o Avellino. Questo è il problema fondamentale, vedere il tuo posto un posto troppo piccolo, non solo per i servizi carenti ed a volte inesistenti, ma proprio perché “qui non ci voglio stare”.

Ci sono poi anche dinamiche sconce per cui anche la scuola superiore del tuo paese resta l’ultimo posto da scegliere in giovane età in cui formarti, dove ancora oggi si lotta per concludere i programmi e per portarli a termine con un numero di studenti ridotto al minimo.

Non si educa più alla cultura del luogo da cui si proviene, non si conoscono più le strade e le bellezze del proprio paesello, questo bene o male porterebbe ad un sentimento di appartenenza reale e lungimirante. Non si difende nemmeno ciò che abbiamo di più caro e cosa più sconvolgente non ci si interessa nemmeno del futuro, sconosciuto ed innanzitutto per alcuni, inutile. La scuola del territorio, quella dei piccoli paesi, resta la cosa più vicina al futuro, oltre al lavoro che insomma ha i suoi mali già e dovrebbe essere protetta.

Ci siamo spesso riempiti la bocca con la parola spopolamento, che prima non ci apparteneva, anzi ci meravigliavamo a sentirla nei piccoli borghi irpini. Oggi è di estrema attualità. Quando anche un briciolo di speranza porta qualche ragazzo a ritornare dopo gli studi, deve attenersi alla regola: “qui non si fa niente, ma che ci fai qui?”.

Bene qui è il posto che rispecchia più di tutti la parola casa, prima isola felicissima, ora un po’ meno, ma sempre casa è. Diciamocela tutta non siamo inclini a mostrare benevolenza per la nostra comunità e per il nostro territorio, ormai da molti anni. Da quando il nostro umore è cambiato anche nei confronti di un luogo del cuore come il Laceno, dapprima fulcro della nostra economia, perché checché se ne dica quella è stata la nostra forza economica, innanzitutto.

Ma poi ce ne siamo dimenticati, iniziando quasi ad odiare quello che c’era e quando abbiamo avuto l’occasione di parlare, magari in piazza passeggiando, abbiamo sempre detto che può anche chiudere tutto. Ignari del fatto che dopo il “Ponte delle Tavole” ci sono persone che ci tengono, anzi vogliono sapere ogni giorno cosa succede e come si andrà avanti. Sono persone che non provengono da Bagnoli, ma che ormai si sentono parte integrante del Laceno, che da anni lo vivono a giorni alterni. Ci tengono anche a specificare che: se ci dovesse essere bisogno di una battaglia per il Laceno sarebbero in prima linea. Loro. Chi invece potrebbe congedarsi da questa battaglia siamo noi abitanti, continuando a passeggiare e a, magari, sorseggiare un bel drink.

Ci sono stati momenti di vero splendore che forse non ritorneranno più per questa comunità che ha combattuto sempre, ma adesso rimane ferma a guardare, sempre per la politica dell’orticello, del proprio orticello. Non esiste nemmeno più il campanilismo in questo paese, sentimento che te lo faceva difendere da tutto e tutti anche a costo di sembrare stupido.

Niente. Non possiamo andare avanti così. Se il paese non ci piace, se la gente del nostro paese non ci piace, se la scuola del paese non ci piace, il Laceno non ci piace, come non ci piace il turismo, siamo ad un punto di non ritorno. Continuando così questo potrebbe essere ancora peggio della psicosi da Coronavirus, ci porterà ad odiare anche il cibo, forse unica cosa ancora sana e benevola che ci resta.

Quindi che volgiamo fare: mettiamo già la mascherina e ce ne laviamo le mani di questo posto?

Giovanni Nigro

(da Fuori dalla Rete, Marzo 2020, anno XIV, n. 1)

(Foto: Torre dell’Orologio – di Giuseppe Polvere)

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