In Campania la politica non esiste

Maria Fioretti - www.orticalab.it

La partecipazione politica in Italia continua a segnare un arretramento. Secondo il rapporto Istat, tra il 2003 e il 2024 si è osservato un calo generalizzato della cosiddetta “partecipazione invisibile”, ossia l’abitudine a informarsi e discutere di politica. Un tempo radicata nella vita quotidiana, questa pratica coinvolge oggi meno della metà della popolazione: si è passati dal 57,1% del 2003 al 48,2% del 2024.

Il calo riguarda sia gli uomini che le donne, anche se con intensità diverse. Gli uomini che si informano regolarmente sono scesi dal 66,7% al 54,1%, le donne dal 48,2% al 42,5%. La distanza di genere si è ridotta (da 18,5 a 11,6 punti percentuali), ma resta significativa, soprattutto sull’informazione quotidiana: il 27,6% degli uomini segue la politica ogni giorno contro appena il 19% delle donne.

La forbice si ritrova anche nello scambio di opinioni: a parlare di politica almeno una volta a settimana è il 34,7% degli uomini contro il 23,6% delle donne. In generale, più di un quarto della popolazione (29,4%) non si informa mai di politica e oltre un terzo (36,9%) non ne parla mai, con quote più elevate tra le donne.

A pesare è anche l’età. I giovanissimi risultano i più distanti: soltanto il 16,3% dei ragazzi tra i 14 e i 17 anni e il 34,6% dei 18-24enni si informa settimanalmente, mentre a non farlo mai sono rispettivamente il 60,2% e il 35,4%. La partecipazione cresce con l’età fino a raggiungere i valori più alti tra i 65 e i 74 anni, per poi calare nuovamente.

Il livello di istruzione si conferma un fattore decisivo. Tra i laureati il 68,4% si informa regolarmente, contro il 51,8% dei diplomati e appena il 36,7% di chi possiede al massimo la licenza media. Non a caso, tra chi ha un titolo di studio basso la quota di persone che non si informa mai raggiunge il 41,2%, quasi quattro volte quella dei laureati. Analogo l’effetto della condizione economica: poco più di un terzo di chi vive in famiglie povere o molto povere segue la politica con regolarità, contro i due terzi di chi vive in famiglie benestanti.

Sul fronte dei canali, la televisione resta la principale fonte di informazione politica (84,7%), ma rispetto al 2003 perde quasi dieci punti. Ancora più drastico il calo dei quotidiani, passati dal 50,3% al 25,4%. Cresce invece il ricorso a Internet: nel 2024 quasi la metà di chi si informa di politica (47,9%) utilizza la rete, con percentuali che superano il 60% tra i 18-44enni. Due terzi di questi si affidano ai quotidiani online, mentre quasi la metà (47,5%) utilizza i social network, con una prevalenza femminile.

Il disinteresse è comunque la motivazione più diffusa tra chi non si informa mai (63%), seguito dalla sfiducia nella politica (22,8%). In 4 milioni 679mila famiglie nessun componente si informa o parla di politica: un fenomeno che riguarda in particolare Calabria e Sicilia, dove circa un terzo delle famiglie è completamente estraneo al tema.

La partecipazione attiva appare residuale. Nel 2024 solo il 2,5% ha preso parte a un comizio e il 3,3% a un corteo, valori quasi dimezzati rispetto al 2003. Resiste invece, in crescita, la partecipazione online: oltre 10 milioni e mezzo di cittadini hanno espresso opinioni politiche o sociali sui social media, quasi il doppio rispetto al 2014. Ancora poco diffusa, invece, la partecipazione a consultazioni o votazioni online (11,2%).

Sul piano territoriale, il divario resta marcato. Nel Centro-Nord più della metà della popolazione si informa settimanalmente di politica (tra il 52 e il 54%), nel Mezzogiorno appena il 40%. Nel Sud e nelle Isole la quota di chi non si informa mai tocca il 37,3% (contro il 25% del Nord) e quasi la metà delle donne non segue affatto la politica.

La Campania si colloca tra le regioni con i livelli più bassi. Qui solo il 39,2% della popolazione si informa regolarmente, mentre il 44,7% non lo fa mai. Anche sul fronte del dibattito politico i dati sono poco incoraggianti: appena il 26% parla di politica almeno una volta a settimana, mentre il 45,4% non ne parla mai. Le differenze di genere sono nette: oltre il 52% delle donne campane dichiara di non discutere mai di politica, contro il 37,6% degli uomini.

Secondo l’Istat, le ragioni del disinteresse sono soprattutto legate a una mancanza di fiducia e a un senso di inutilità: quasi due terzi di chi non si informa mai parla apertamente di disinteresse, mentre più di un quinto cita la sfiducia nella politica.

Dati così impietosi impongono una riflessione sul significato profondo di questa deriva e sulle sue radici culturali. Forse vale la pena tornare alle origini del concetto stesso di politica per capire cosa stiamo perdendo. Politikḗ significa “che attiene alla pόlis”, quella comunità di individui e famiglie tenute assieme da molteplici legami, un modello che fu proprio dell’organizzazione politica greca in età classica.

Il vero nodo della questione sta qui: come si può stimolare un pensiero personale e critico quando la politica stessa sembra aver smarrito la sua funzione aggregante? Il problema potrebbe anche essere chi si occupa di politica, ma certamente lo è di più chi pensa che la politica non sia un problema suo, né si espone, né prende posizione. Si lamenta e basta.

Su questo aspetto è illuminante la riflessione della professoressa Letizia Carrera, associata di Sociologia generale all’Università di Bari: «Quelli che mancano nella politica sono giovani, donne e meridionali, cioè le categorie più vulnerate dal nostro modello culturale. Non vulnerabili ma vulnerati, perché non si tratta di una condizione genetica che allontana dalla politica, ma sono condizioni sociali. Il paradosso è che proprio le categorie più marginalizzate e che avrebbero più interesse a una vocalità politica forte, a offrire una sorta di contronarrazione di ciò che occorre fare, di una nuova progettazione sociale, proprio quelle persone mancano», spiega in un articolo sulla Gazzetta del Mezzogiorno firmato da Marisa Ingrosso.

Ancor di più mancano spazi fisici capaci di essere punti di riferimento, soprattutto al Sud, soprattutto nelle province interne. Laboratori di partecipazione in cui far crescere il confronto, realtà vive, luoghi in cui esprimere quel noi collettivo, la volontà condivisa di rivoluzionare le cose. Partiti, sindacati, associazioni, istituzioni religiose, circoli, centri sociali: si sono svuotati di persone e di senso. Ovviamente nessuna struttura le ha sostituite, allargando il vuoto.

Perché non ci si domanda che fare e come farlo? Probabilmente perché intorno ci sono solo faide per le candidature, tifoserie, buffonate, slogan, rancore e argomentazioni tanto ridicole da diventare tragiche. Nessuna idea di cambiamento, nessuna passione, nessuno slancio, nessuna immaginazione, nessun contenuto o racconto, nemmeno un tentativo di riconquistare la fiducia, nuovi orizzonti non se ne vedono.

Legittimo chiedersi – a questo punto – quale sia lo scopo della partecipazione politica, dentro e fuori dalle urne. Generare energia collettiva? Per valore simbolico? Per creare un sano conflitto? Per smettere di subire? Come antidoto alla noia? Per senso civico? Per discutere meglio seduti ai tavolini del bar?

Data l’incapacità di affermare la natura rappresentativa della politica e trovandoci di fronte all’assenza di una proposta di futuro, il distacco e la frammentazione paiono scontati. Infatti eccoli serviti.

E magari è da qui che si potrebbe ripartire, proprio ora che per la Campania si apre un periodo di campagna elettorale destinato a essere sempre più feroce e sempre meno argomentato: visioni chiare, una politica che torni a interrogarsi sui bisogni concreti e sui desideri autentici di chi è chiamata a rappresentare. Perché senza questa connessione con il territorio e le sue comunità, senza la capacità di restituire valore e prospettiva alla partecipazione, i numeri continueranno inesorabilmente a peggiorare.

Maria Fioretti – www.orticalab.it

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