La democrazia e la sua crisi. Le ragioni della Pace e il futuro dell’Occidente

L'approfondimento di Valerio Saldutti

Mi piace iniziare questa piccola riflessione con le parole di Leo Tolstoy “Quando mi dicono che dello scoppio di una qualche guerra è colpevole in maniere esclusiva una delle due parti, non posso mai trovarmi d’accordo con una simile opinione. Si può ammettere che una delle parti agisca con maggiore cattiveria, ma stabilire quale delle due si comporta peggio non aiuta a chiarire neanche solo la più immediate delle cause per cui si verifica un fenomeno così terribile, crudele e disumano quale è la guerra.

Si parla troppo e con troppa superficialità della guerra dalle nostre parti. Come se stessimo giocando a Call of Duty dimenticandoci che la guerra, quella vera, lascia migliaia di morti per le strade. Non è un caso che in un’epoca come la nostra, fatta di tanto populismo e di poche idee, si parli con disinvoltura di qualcosa che è solo distruzione e devastazione.

Alcuni hanno già provveduto ad attribuirgli il titolo di Guerra Giusta, rivestendola di tutta la necessaria sacralità. Noi, noi fortunati che non abbiamo vissuto la devastazione della Seconda guerra mondiale ma che, viaggiando nel continente, possiamo ancora percepirne la scelleratezza che fu, dobbiamo dirci contrari al conflitto e dobbiamo sostenere le ragioni della PACE, del cessate il fuoco. Invece, con una disinvoltura di altri tempi, soffiamo benzina sul fuoco ucraino, come se questo non generasse conseguenze. Da cosa deriva tutta questa superficialità? È pur vero che siamo l’epoca del non pensiero, l’epoca della crisi delle democrazie e delle istituzioni, è pur vero che siamo un mondo proiettato nel nichilismo e nell’assenza di valori sociali ma la guerra, la guerra dovrebbe farci paura a prescindere, senza se e senza ma. Siamo così disinvolti da paventare una nuova crociata contro il nuovo nemico straniero, il russo e tutto ciò che ha a che fare con il mondo russofono, anche con la sua cultura, con i suoi atleti, con i suoi musicisti e fotografi. Siamo così convinti di essere i paladini della democrazia da avallare le liste di proscrizione di Riotta e di De Benedetti, da accettare silenziosamente il pestaggio di un ragazzo, a Brescia, che ha avuto una sola colpa, quella di essere stato generato da madre di origine russa. Siamo così convinti delle nostre poche e striminzite idee che accettiamo in silenzio la cancellazione di corsi universitari su Dostoevskij o la sospensione di un docente che ha espresso le proprie idee in un programma televisivo. Ha espresso delle idee, non ha sparato a nessuno.

La censura, siamo arrivati a giustificare la censura in un paese democratico perché siamo così, maledettamente, assuefatti da non distinguere più la vera democrazia dal conformismo, confondendola con la voce dei mass media o dei politichetti. Siamo così assenti verso la cosa pubblica che non ci interessiamo a come verranno spesi i soldi del PNRR ma amiamo definirci democratici e cittadini attivi.

Siamo al paradosso della democrazia, una democrazia che ha trasvalutato tutti i suoi principi in qualcosa che è altro da sé. Non è democrazia la cosa che si identifica nella voce della maggioranza e che non accetta l’esistenza di una o più minoranze, non è democrazia il bavaglio sulle opinioni, non è democrazia la sistematica violenza punitiva verso chi viene identificato come nemico, non è democrazia la creazione del soggetto stesso del “nemico”. Non è democratico credere che la guerra possa essere fermata con le armi, ci eravamo arrivati a capire che la violenza genera solo altra violenza e che la cesura genera intolleranza.

Ma la narrativa italiana e le parole dei nostri ministri sembrano sempre più spingerci verso il baratro di un nuovo conflitto mondiale e dell’omologazione delle coscienze. Non è un caso che una crisi così complessa venga letta tramite la semplice categorizzazione binaria dei buoni contro i cattivi. Non è un caso che la ferocia di Putin e delle sue scelte venga minimizzata tramite la categoria psichiatrica della pazzia. Tutto viene depoliticizzato, tutto viene banalizzato ma così facendo si svilisce ogni cosa e si perde, per l’ennesima volta, la possibilità di comprendere quello che ci sembra solo irrazionale ma irrazionale non è.

La guerra è una delle forme di linguaggio dell’uomo, è un modus operandi dell’uomo e non possiamo cancellarla semplicemente condannandola o dandole uno statuto non epistemologico e non riconoscendogli realtà. La Guerra è un prodotto umano e come tale va trattato, bisogna avere il coraggio di comprenderne le cause e prevederne gli effetti. Questo compito spettava alla politica e deve tornare ad essere una prerogativa della politica. Perché se siamo così fieri della democrazia dovremmo pretendere dai nostri leader la capacità di prevederle queste cose, di scongiurarle e disinnescarle. Non ci servono politici banchieri che gestiscono la cosa pubblica come se fosse una mera azienda, ci servono politici che abbiano una Visione, che prospettino un futuro e, perché no, smettano di finanziare i conflitti nel mondo. Il nostro paese democratico e pacifista è uno dei maggiori produttori di armi e tra i maggiori esportatori. Abbiamo venduto armi anche alla Russia, a quella stessa dittatura del folle dittatore Putin che oggi bombarda l’Ucraina e che condanniamo. Ci sono anche le nostre armi sulle strade dell’Ucraina.

Siamo talmente democratici che scegliamo di fare affari con tutti i dittatori del mondo purché tengano bloccati e chiusi i lori confini e limitino l’accesso dei migranti nella tollerante Europa. Quella stessa Europa che ha fagocitato e devastato la Grecia quando il nostro Draghi era il Governatore della BCE. Forse qualche responsabilità è anche nostra. Ci piace vivere nell’opulenza dei nostri aperitivi a tal punto che abbiamo dimenticato di guardarlo il mondo, quello vero e di osservarne i cambiamenti e le sofferenze. Siamo così democratici e tolleranti verso l’altro che vietiamo l’esportazione dei vaccini anti-Covid verso quei paesi che non si sono schierati contro la Russia nell’assemblea generale dell’Onu.

Diciamo che il nostro modello di democrazia non è poi così tollerante come si crede, come vogliamo credere. Perché non vogliamo assumerci responsabilità dell’agone politico e deleghiamo e delegando ci deresponsabilizziamo. Ed è per questo che abbiamo leader populisti e non politici, partiti che sono accozzaglie di interessi personalistici e privatistici con senatori che lavorano con e per aziende estere.

Incredibilmente tutto questo ci sembra normale, tutto ci sembra filare liscio come l’olio finché, la realtà, non si mostra in tutto la sua efferatezza. Le nostre democrazie sono in pericolo non solo a causa del conflitto di Putin, sono in pericolo perché abbiamo scelto di spezzare il circuito della responsabilità politica e perché abbiamo scelto di trasformare il campo della politica in un gioco d’azzardo dove ognuno di noi fa la propria puntata sperando di vincere qualcosa. Siamo ben oltre il particolarismo politico e la tendenza all’accaparramento di risorse o benefici pubblici da parte di una stretta élite, la nostra democrazia è diventata una sala Bingo o un grande Casinò delle illusioni, in cui la domanda politica è sempre più sganciata da valutazioni sul bene comune o sull’interesse collettivo e sempre più legata a logiche astrette e personalistiche. Non è un caso che, con la soppressione della responsabilità politica, sia venuta a mancare anche l’etica del discorso e l’etica professionale. Ascoltiamo bene le parole del nostro ministro degli esteri Di Maio, sono parole prive di responsabilità, sono parole catalogabili come “chiacchiere tra amici” ma non da ministro e non dicibili da qualcuno che riveste un ruolo di RESPONSABILITÀ durante una crisi internazionale.

Non è responsabile aizzare l’odio verso un popolo, quello russo, che non ha scelto questa guerra perché o Putin è un dittatore, come sosteniamo tutti, o non lo è ma se lo è non possiamo scaricare tutte le responsabilità e il peso delle sanzioni sul popolo russo. Non vi sembra strano che mentre i militari ci pregano di “stare attenti a non accendere il conflitto” tanti Soloni da salotto ci invitano al conflitto paventando spedizione di armi e contingenti militari.

Cosa produrrebbe questo? Ce lo chiediamo o assecondiamo tutte le follie come se fossimo allo stadio a tifare per la nostra squadra del cuore? C’è solo una squadra in questo conflitto che va sostenuta e aiutata ed è la squadra del popolo ucraino. Armarli che senso avrebbe se non quello di causare ulteriori morti tra i civili. C’è veramente qualcuno che crede che la resistenza ucraina possa avere la meglio senza il nostro intervento? Ma intraprendere il conflitto che senso avrebbe se non quello di devastare tutto il vecchio continente? Siamo così sicuri, poi, di poterlo confinare solo al nostro continente? Le tanto acclamate restrizioni economiche imposte alla Russia colpiscono realmente Putin e gli oligarchi o colpiscono, invece, in maniera più feroce quelle persone che protestano nonostante le leggi contro il dissenso e la reale aspettativa di una vita in carcere? Non colpiscono tutti quei paesi del terzo mondo strettamente connessi all’economia russa?

Perché a noi piace la globalizzazione ma la globalizzazione ha anche delle conseguenze. Guardiamo la complessità solo con i nostri occhi, solo dal nostro punto di vista come se il mondo fosse per forza il “nostro” senza voler accettare l’idea dell’esistenza di altri mondi, di altre culture e altri modelli sociali e di altre economie. Questa presunzione eurocentrica non aiuta, non ci aiuta e non ha mai aiutato il mondo a bloccare i conflitti.

Allora, la domanda alla quale la nostra democrazia deve rispondere senza più restare arenata nell’ambiguità è questa; dobbiamo aiutare il popolo ucraino e spingere affinché termini il conflitto o dobbiamo intervenire militarmente? Perché o ci concentriamo sul salvare più vite possibile, ora, e poi pensiamo al resto o dobbiamo alzare il livello del conflitto. Perché disinnescare il conflitto significa salvare non solo le vite degli ucraini ma salvare anche l’Europa e la Russia. Milioni di persone. Non c’è arma che possa fermare un conflitto, non ci lasciamo affascinare da questa narrativa bellica da film, non siamo gli Avengers. Fa male ma è la realtà, ed è una realtà figlia del nostro disinteresse verso il mondo. Ci siamo accorti del conflitto in Ucraina soltanto adesso mentre quel paese vive in guerra da anni, almeno dal 2014.

Chi sostiene le ragioni della guerra affermando “meglio un mondo senza Putin e quindi ben venga la guerra mondiale” è un folle, perché questo conflitto non sarebbe paragonabile a nessuno dei precedenti. Perché il rischio della guerra nucleare è troppo alto e la bomba atomica è anche esse una creazione umana. Siamo noi la causa dell’impossibilità di un mondo in pace perché siamo noi che preferiamo spendere in armamenti invece che nella cultura, nell’integrazione, nella salute e nella qualità della vita. Dopo aver sopportato per troppo tempo la propaganda italica contro tutti i diversi e le minoranze, contro i clandestini, gli stranieri, gli immigrati e dopo la pesantezza e le problematicità della pandemia (tra l’iniziale odio verso i cinesi, il pipistrello e i laboratori etc finendo con la latto tra Vax e non-Vax), adesso siamo pronti per la guerra, quella totale, quella finale? Questa nuova crociata tutta originata dai nostri pomposi schermi si basa su alcuni principi fondamentali. 

1) tutto dipende da Putin 2) Se Putin è la causa di tutti i mali, eliminando lui eliminiamo il male nel mondo e 3) armiamoci e Partite.

Ripeto, è paradossale ascoltare i moniti dei generali in contrapposizioni alle ragioni interventiste di giornalai e politicanti che la guerra, al massimo, l’hanno vista su Netflix. L’unica via possibile è quella del dialogo, l’unica via praticabile è quella che avrebbe dovuto imboccare l’Europa e cioè creare una delegazione super-partes che avrebbe dovuto lavorare per generare le condizioni del dialogo. Ho detto Europa non a caso, la quale non deve sempre identificarsi con le ragioni della Nato.

Non è una guerra nata oggi e chi continua a dirlo non fa un buon servizio alla verità ma solo a sé stesso e alla propria stupida ideologia. Non si tratta di sostenere Putin né tantomeno di giustificarlo, non si può, si tratta invece di salvare gente innocente, milioni di vita dalla tragicità della guerra. E poi, non siamo stanchi delle guerre propagandateci come giuste? Abbiamo dimenticato tutte le guerre giuste che abbiamo combattuto in giro per il mondo e la devastazione che abbiamo lasciato?

Infine, per concludere, la Russia è un paese talmente complesso che l’eliminazione fisica di Putin non porterebbe necessariamente e conseguentemente al “cessate il fuoco”. La Russia non è solo la folla che vediamo protestare nelle vie di San Pietroburgo o Mosca, le città più europee ma è un subcontinente complessissimo, molto variegato e con una storia difficile alle spalle. Visto che amiamo riempirci la bocca con paroloni e slogan come, per esempio l’autodeterminazione dei popoli, non avremmo dovuto aprirci ancora di più al mondo russo e orientale e non dovremmo forse creare maggiori spazi di dialogo affinché il popolo, quello russo, superi autodeterminandosi la dittatura non solo di Putin ma di qualsiasi altro possibile dittatore.

È LA PACE CHE GENERE LA PACE, nient’altro. Abbiamo il dovere di credere nella pace tra i popoli anche nell’ora più buia, è la scelta più difficile ma l’unica veramente umana. La guerra, invece, rappresenta la risposta più facile ma non la migliore.

A noi europei spetta il dovere di difendere quel che resta della nostra democrazia, se ne siamo capaci, non di esportarla, su quel piano abbiamo fallito troppe volte per ricaderci ancora una volta e di aprici ai profughi. Mi auspico dibattiti pubblici in ogni piccolo centro con il fine di organizzare l’accoglienza di donna e bambini, mi auspico un attivismo sincero e spontaneo, che nasca dal basso e che sia disinteressato. Non possiamo lucrare anche su questi ennesimi rifugiati come abbiamo fatto con gli africani, delegando terzi. Deve essere una risposta sociale, collettiva e civile. Oggi l’occidente si gioca la sua umanità e il suo futuro. 

Valerio Saldutti

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