L’educazione dei figli nella civiltà rurale

di Aniello Russo

Inizia oggi una nuova rubrica, che, in pratica, vuole ricostruire la vita al tempo della civiltà rurale in Irpinia. Anche se, a quel che so, essa era simile in ogni regione d’Italia…

I proverbi e i detti popolari contengono pure delle indicazioni circa il problema dell’educazione dei figli. Un proverbio molto diffuso e emblematico:

“Mazze e panedde fanne i figli belli!”

Il detto invita i genitori a non far mancare ai figli il pane, ma neppure scapaccioni e cinghiate, se vogliono che essi diventino belli di cuore e di sani principi.

Mutando un solo termine il risultato cambia del tutto:

“Panedde senza mazze fanne i figli pacci!” il significato è chiaro anche se la parola “pacci” non rende l’idea perché essa sta per capricciosi e privi del senso di responsabilità.

E se un padre sente il desiderio di fare una carezza al figlio? Può fargliela, ma deve aspettare che si addormenti per baciarlo durante il sonno. Quello solo è il momento di potergli manifestare ogni tipo di coccola. Questa precauzione è necessaria per non palesargli il suo affetto, altrimenti lui approfitta di questo momento di debolezza, per deviare dalla retta via. Così si esaltava la condotta dura e severa del padre educatore.

La severità paterna, – questa era la convinzione generale – era la scelta obbligata dei genitori . se volevano evitare che i figli crescessero fannulloni o superficiali.

Anche perché un padre e una madre non campano in eterno. Se fossero sempre assecondati, come farebbero i figli, qualora all’improvviso venissero a mancare i genitori? Disarmati come sono e impreparati ad affrontare gli ostacoli della vita?

Dal patrimonio dei proverbi ci vengono due esempi di madre, due modelli: uno positivo e l’altro negativo.

Il modello positivo è rappresentato dalla madre che dice:” Il figlio sordomuto lo capisco io che sono la madre”, dove il sordomuto non è il portatore di un handicap, bensì il figlio che non appalesa i suoi sentimenti e le sue opinioni, ma ottiene tutto dalla madre che sa leggere sul suo volto.

Il modello negativo è rappresentato dalla madre che si comporta in maniera disamorata:

“Allora la madre è contenta quando il figlio piange e lei non lo sente”. L’esempio citato risale all’infanzia del figlio ma il proverbio viene adoperato per ogni sua età.

Qualunque cosa dica l’ultimo adagio l’amore più grande, più puro, più disinteressato è quello di una madre per il figlio. Un amore così ben esaltato dalla Vergine Maria per il suo Figliolo, per il Cristo inchiodato sulla croce.

Tutti, allora, ci sentiamo di condividere le parole di una madre, secoli addietro per la prima volta ebbe a dire: “ Chi te vole bbene cchiù dde mamma, figlio, t’enganna”, parole tanto belle non potevano diventare un massima, ripetuta a cuore aperto migliaia di volte da migliaia e migliaia di mamme.

Aniello Russo

(da Fuori dalla Rete, Dicembre 2020, anno XIV, n. 6)


(La foto di copertina, di fine anni ’50,  tratta dall’archivio fotografico di famiglia del prof. Aniello Parenti, ritrae alcuni componenti delle famiglie Parenti-Gatta-Nigro che festeggiano il battesimo di un bimbo e la nuova “comparanza” tra le famiglie)

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