L’epidemia spagnola nei paesi della Valle del Calore, la strage di donne e bambini

di Antonio Camuso (Il Quotidiano del Sud)

L’attuale estendersi del contagio del Covid19 nelle regioni del Meridione, Campania compresa, sin qui risparmiate dall’epidemia, fa temere la replicazione di ciò che avvenne un secolo fa, nell’ottobre del 1918, con l’influenza Spagnola. In quel caso il virus H1N1 al suo primo apparire in Italia, falcidiò centinaia di migliaia di vite, prevalentemente di bambini e giovani donne, indifferentemente abitassero nelle grandi città del Nord o nelle aree rurali più interne del Meridione, Irpinia compresa. Di quella pandemia, ancor oggi, si hanno poche certezze sul numero delle vittime e le dinamiche, a causa delle censure imposte dagli Stati coinvolti nel primo Conflitto Mondiale, ma rimase fermamente impressa nei cuori dei nostri nonni per i lutti da lei provocati.

Dolorosi ricordi familiari

Così fu per mia nonna, Carbone Angela”Angiulina” di Montella (AV) che trasmise a me, bambino, negli anni 60, quanto ancora fosse vivo in lei, a quarant’anni di distanza, il dolore per la perdita di due figli giovanissimi. Durante i mesi del lockdown, confinato a Brindisi, dove risiedo, ho maturato l’idea, appena possibile, di condurre un’inchiesta approfondita sulla Spagnola in Irpinia e in particolare nei tre paesi dell’Alta Valle del Calore, Montella, Bagnoli Irpino e Nusco, avendo essi particolari specificità, di carattere urbanistico, tradizioni e vita socioeconomica, capaci di aver influito sui meccanismi del contagio e che potrebbe esserci utili nell’attuale contingenza.

Le diversità di tre paesi irpini distanti tra loro 10 km.

Montella, nel 1918 contava 8000 abitanti ed era famosa per la sua industria boschiva e la lavorazione del legname, particolarmente richiesto nel periodo bellico, ma anche per i prodotti agricoli: castagne, granturco, noci, tabacco, anch’essi assoggettati alle esigenze belliche, come i prodotti caseari dei suoi allevamenti bovini e ovini, e la carne dei maiali. Prodotti veicolati attraverso un’efficiente stazione ferroviaria e il suo scalo merci, presidiato in piena guerra da personale militare e civile militarizzato. Un paese attivo per le sue piccole botteghe artigiane, ma con una popolazione tradizionalmente restìa ad assoggettarsi al giogo statale e fiera di aver data i natali al fratello del mio bisnonno, il brigante Alfonso Carbone. Motivi che giustificavano una Caserma di Carabinieri, competente sui tre paesi, attiva sia alla caccia ai renitenti alla leva, tra questi, per breve tempo, mio nonno Camuso Generoso, che nel reprimere i moti di protesta che infiammarono l’intero Meridione tra il 1917 e il 1918, e che videro le donne, tra le quali mia nonna, Carbone Angela, assaltare municipi e panifici, chiedendo sussidi, pane e la fine della guerra. Un paese, Montella, strutturato urbanisticamente e socialmente sui Casali, espressione dello spirito di indipendenza e anarchico montellese identitariamente legato alle tradizioni dei clan familiari.

Bagnoli Irpino contava 3700 abitanti, dediti all’industria boschiva e l’allevamento di animali e i relativi prodotti e tradizionalmente legato alla transumanza. Un paese di origine medioevale, con un centro cittadino, la sua Chiesa Madre e il castello/palazzo nobiliare dei Cavaniglia, intorno ai quali si svolgeva la vita di una popolazione interconnessa da antichi legami familiari.

Nusco, secondo dopo Montella per numero di abitanti, 4700, paese essenzialmente agricolo la cui struttura economica e sociale era fondata sulla vita delle sue contrade, diffuse nel suo territorio e dipendenti amministrativamente dal suo piccolo centro cittadino, sede di un Arcivescovato, con una giurisdizione estesa al territorio di Ponteromito, sede di un Molino.

Su questi tre paesi, che insieme sommavano 16.440 abitanti, nell’autunno del 1918 si abbatté l’epidemia di Spagnola diffondendosi su  percorsi  riconducibili a queste specificità.

La ricerca nei registri comunali.

Nelle mie brevi ferie estive, ho informato le amministrazioni di questi tre paesi della mia intenzione di condurre questa inchiesta ed ho ricevuto una immediata e positiva risposta da tutte e tre che, nonostante i limiti della pandemia e l’esiguità del personale, in tempo reale han fatto sì che potessi accedere ai registri dei deceduti di un secolo fa. Ringrazio in particolare per la loro gentilezza i dirigenti e gli impiegati degli uffici di stato civile di Montella, Bagnoli I. e di Nusco.

La mia ricerca si è fondata su alcune certezze scientifiche sull’epidemia di Spagnola: l’esser giunta in Europa nel 1917 al seguito dei soldati americani che avevano contratto il virus in patria e che, diffusasi nelle trincee tra i giovani militari degli opposti fronti, inizialmente con livelli di mortalità relativamente bassi, ebbe una mutazione, più aggressiva, nella primavera del 1918, giungendo nell’estate del 1918 in Italia e nel nostro Meridione grazie a soldati convalescenti, in ferie premio e agricole, prigionieri e profughi del settore orientale, veicolati principalmente attraverso la rete ferroviaria, il cui personale civile e militare fu un altro veicolo di contagio.

Una mutazione che fu estremamente letale, all’opposto dell’attuale epidemia di Coronavirus, per i soggetti giovani da zero a 50-55 anni, accanendosi contro quelli di sesso femminile, ma non risparmiando anche i giovani maschi. La cosiddetta seconda ondata è comunemente associata all’innalzamento dei decessi dal mese di settembre, con il picco in quel maledetto ottobre del 1918, una “stasi” in dicembre, a causa della diminuzione dei rapporti sociali in quel rigido mese, e una terza ondata nei mesi di gennaio e febbraio 1919. Nei due –tre anni successivi vi furono degli strascichi, anche in Irpinia, per il suo ripresentarsi colpendo i soggetti scampati precedentemente o con fisico compromesso da essa.

Metodologia nella ricerca dei morti per Spagnola.

Mancando di altri riferimenti mi sono mosso nel censire le vittime in giovane età da zero a 50 anni e disaggregando i dati per genere, dati indicativi della peculiarità della Spagnola nello scatenare in questi soggetti le tempeste di citocine che portavano all’infiammazione e poi a letali forme di polmonite batterica dopo 5 giorni dal contagio. In questo triste conteggio dei “morti sospetti”ho escluso a priori i deceduti con età superiore ai 50 anni, correggendo in fase finale di calcolo statistico un errore aggiunto del 20% tra essi.

Un dato interessante, è la quasi coincidenza del rapporto deceduti /numero di abitanti dei tre paesi che è tra l’1,4 e l’1,7%, leggermente superiore a quell’1,25% della media sul territorio irpino riportata nello studio del prof Annibale Cogliano, sulla Spagnola in Irpinia,pubblicato quest’anno in supplemento al Quotidiano del Sud.  Nusco, con il suo decentramento sociale, risulta essere il paese che riuscì a difendersi meglio con un rapporto deceduti/abitanti tra l’1,35% e l’1,45% simile alla media della provincia di Avellino.

A seguire fu Montella con una media deceduti/abitanti tra l’ 1,4% e l’1,8% grazie al decentramento sui Casali. Peggio andò per Bagnoli con il pesante 1,5%-1,9% avendo una vita sociale accentrata in paese, ma anche a causa dall’indigenza di molte famiglie.

La diffusione del Virus a Montella, Bagnoli I. e Nusco

Nei registri comunali montellesi ho censito 87 morti “sospette” di Spagnola tra settembre e dicembre 1918, cui vanno aggiungersi le 28 della terza ondata del gennaio-febbraio 1919, e una ventina di casi di morti in età superiore ai 50 anni che hanno visto la spagnola come concausa. Infine a conferma della mia ipotesi della presenza del virus a Montella già ad agosto, una decina di casi sospetti di morti giovani, per un totale di 150 vittime.

Negli studi condotti a livello mondiale è riportato per la Spagnola un indice di letalità deceduti/contagiati sintomatici oscillante tra il 5 e il 15%. Ritenendo valida la media del 10% possiamo affermare che a fronte dei 150 montellesi deceduti, i contagiati con sintomi, furono circa 1500 ovvero il 20 % della popolazione. Un numero rilevante ma non tale da raggiungere l’immunità di gregge e che permise il ripresentarsi del contagio negli anni successivi 1920-21-22.

Con lo stesso metodo ho censito a Bagnoli Irpino tra settembre e dicembre  del 1918, ben 42 vittime e tra gennaio e febbraio  1919 altre 14 con un totale di 56 deceduti, dato corretto aggiungendo un ulteriore 20% di deceduti con età superiore ai 50 anni e che porta le vittime tra 70 e 75 e contagiati in 7-800.

Nei registri di Nusco rilevo tra settembre e dicembre 45 vittime giovani ed altre 19 nei mesi di gennaio e febbraio 1919 che portano ad un totale di 64 giovani vite mietute  a cui aggiunto un 20% di deceduti in età superiore ai 50 anni, si raggiunsero a Nusco  70-75 vittime e circa 700 contagiati.

Nei tre paesi dell’Alta Valle del Calore, ci furono 235 vittime”sospette” , ma se si aggiungono i “probabili” in età superiore ai 50 anni e quelli di agosto di Montella, contiamo 290 vittime. Dall’esame dell’andamento epidemico e dal suo sviluppo sul territorio di competenza dei tre paesi si possono trarre alcune lezioni che potrebbero essere utili alla lotta dell’epidemia di Coronavirus nella realtà irpina.

Il distanziamento sociale una lezione che viene da lontano.

L’elevata mortalità e diffusione virale nel paese di Bagnoli Irpino è da attribuirsi alla sua struttura urbanistica di origine feudale, cui ho già accennato, che favoriva gli scambi interpersonali accentuati dagli stretti legami parentali tra gli abitanti. Le ricorrenze delle onoranze funebri delle vittime ma anche le code per la distribuzione dei sussidi di guerra e delle razioni alimentari, pane in primis, fecero sì che il virus, giungesse al picco in soli 45 giorni, tra il 15 settembre e il 30 ottobre, riprendendo in terza ondata nel solo mese del gennaio 1919.

Diversamente andò per gli altri due paesi dove il distanziamento sociale funzionò, se pur in parte.

A Montella, un gruppo di casali, distanti dal centro cittadino poche centinaia di metri, ma con vita autonoma accentrati intorno alla vecchia Torre dei D’Aquino in località Casale Serra (Serra, Cisterna, Laurini, Garzano), nell’ondata autunnale 1918, risultarono immuni o con numero irrilevante di deceduti. Purtroppo, una serie di decessi avvenuti a dicembre, (es.: quello della nobildonna Solimene Adele, vedova dell’illustre Scipione Capone, residente nel palazzo signorile a Garzano) nelle prime case del casale Laurini, più vicine al centro cittadino, diedero il via allo scatenarsi a gennaio della terza ondata nei Casali sino allora indenni. Fu in quell’occasione che tra i numerosi morti del Casale Serra ci furono i figli di mia nonna Angiulina Carbone, il piccolo Luigi Camuso e la giovanissima Giuseppina.

Meccanismi identici a Nusco, dove l’indice di mortalità e di diffusione del virus fu contenuto grazie ad una vita sociale fondata sull’economia autonoma delle Contrade. Meccanismo che limitò la diffusione tra gli inizi di settembre e metà novembre, ma a gennaio 1919 al riprendersi delle impellenti attività lavorative che richiedevano il mutuo aiuto tra famiglie,  l’epidemia riprese da gennaio sino ai primi di marzo 1919.

A Montella nell’agosto 1918 il virus circolava.

A Montella tra le morti sospette dell’agosto 1918 oltre a 5 bambine/i tra i 3 mesi a 4 anni, vi è quella di un fabbro ferraio il 30 di agosto. Quella del fabbro, nella mia ricerca, insieme alla professione del calzolaio è tra le professioni artigiane più a rischio per il rapporto con la clientela. Dopo la sua morte la falce epidemica miete dal 2 settembre con la media di una vittima ogni due giorni, a partire da Umberto di due anni, il giorno successivo Filomena 17 anni, giorno 7 Virginio 10 mesi, poi il 9 Stella e Carolina entrambe di 29 anni, in un crescendo che porta il bilancio delle vittime di settembre a 7 giovani maschi di età tra i 10 mesi e i 33 anni, e 11 femmine dall’età di 3 mesi a 47 anni .

A Ottobre il virus dilaga nel centro del paese e nei casali circostanti, mietendo 10 tra maschi giovani e ben 27 donne in età fertile e bambine, a partire dagli 8 mesi, con il ritmo di un decesso al giorno. A novembre il rapporto tra maschi giovani e femmine decedute è di 9 a 13, a dicembre con i lavori invernali ultimati, gli abitanti rinchiusi in casa, anche il virus sembra perdere forza. L’anno 1918 a Montella si conclude con l’infausta cifra di 204 decessi invece dei 120 attesi di media nei registri comunali.

A Bagnoli Irpino invece dei 65 decessi medi annui, i decessi totali del 1918 furono ben 106 costringendo gli impiegati ad aggiungere un supplemento speciale ai registri comunali del paese.

A Nusco agli 88 morti attesi statisticamente si giunse a 158 decessi per il solo 1918.

La strage di donne e bambine/i irpine

Tra settembre e dicembre 1918, a Montella su 87 morti “sospette” ho censito 30 decessi tra i maschi e il doppio, cinquantasette, tra le femmine. Rapporti quasi identici a Bagnoli Irpino con 42 vittime di cui 12 tra i maschi giovani e ben 30 tra le femmine. A Nusco il virus, nell’autunno 1918, fece 45 decessi, 18 maschi e 27 femmine, ma nel gennaio successivo fu strage di giovani donne e bambine, con un rapporto di soli 3 maschi deceduti e ben 10 femmine tra gli 8 mesi e i 53 anni.

I dati totali portano alla cifra di 83 vittime tra gli individui di sesso maschile e 152 di sesso femminile con un rapporto percentuale di 35%-maschi e 65%femmine.  I deceduti in età infantile (zero-14 anni) furono 117 e in età giovane adulta (14-50 anni) furono 118 con un rapporto percentuale del 50% tra entrambi

Fredde cifre quelle che ho elencato e che non possono e non devono nascondere lo strazio di chi vide morire i figli, le giovani spose, madri e sorelle, che a loro volta lasciavano piccoli da accudire e bocche che solo grazie ai loro miracoli culinari riuscivano a sfamare con quel poco che i mariti portavano a casa. Impossibile per me trattenere le lacrime quando nel registro dei deceduti di Montella, del 31 gennaio 1919, ho letto il nome Giuseppina Camuso di anni 4, figlia di miei nonni paterni Carbone Angiulina e Camuso Generoso, professione braccianti entrambi, e poi confermando i tempi di incubazione del virus, giorno 4 febbraio 1919, a distanza di 5 giorni dalla morte della sorellina, moriva Luigi”Luigino” Camuso di nemmeno un anno. Quelle lacrime che mi scorrevano sul viso erano in simbiosi con quelle che sorgevano negli occhi della mia anziana nonna Angiulina, quando mi raccontava la morte dei suoi giovanissimi figli.  Identiche lacrime di disperazione versate a Bagnoli Irpino, nella famiglia di Russo Antonio, professione pastore per la perdita dei giovanissimi figli: Aniello di 6 anni, il 15 gennaio 1919 e due giorni dopo di Raffaella di anni 10.

Degna di Tragedia greca è la morte a Nusco di una madre, seguita pochi giorni da sua figlia lattante. E’ quanto avviene in quel maledetto ottobre del 1918, quando, giorno 13, Adelina V. nata a Torino, professione maestra elementare muore a 39 anni e 3 giorni dopo, a seguirla nella tomba è la piccola figlia Giuseppina di mesi 18.

Termino questa mia prima ricerca sulla Spagnola in Irpinia, smentendo che la sua falce si abbatté indifferentemente sui ceti abbienti e quelli più poveri. Tra le vittime da me censite i possidenti, o loro familiari deceduti per Spagnola, non raggiungono nei tre paesi il numero di una mano. Al contrario le vittime furono al 97% cento tra le famiglie di pastori, braccianti, contadini ed a seguire calzolai, fabbri e falegnami. Dati che sono la cartina al tornasole della struttura sociale dei tre paesi: a Montella, la prevalenza di morti tra famiglie di braccianti sui contadini, denota la realtà di un grande numero di famiglie proletarie “senza terra” come quella di mio nonno Generoso Camuso, costrette ad indebitarsi per poter comprare per i figli ammalati una dose di Chinino dal farmacista del paese.

La composizione  sociale di Nusco è confermata dalla prevalenza dei decessi tra famiglie contadine, mentre a Bagnoli rilevanti le vittime tra famiglie di pastori.

Gli “angeli del soccorso” irpini

Termino qui ricordando come i “ medici di campagna” di questi tre paesi fecero miracoli, con sacrifici inimmaginabili per lenire, con i limiti della scienza medica di allora e gli scarsi mezzi a disposizione, le sofferenze dei malati, rischiando in prima persona la vita. Tra essi spicca la figura del dottor Domenico Leonardo Cione di Bagnoli Irpino che, nonostante la sua veneranda età, nell’ottobre del 1918, girò incessantemente tra case e campagne soccorrendo centinaia di infermi, sino a quando fu colpito anche lui dal virus. Pur riuscendo a sopravvivere, i postumi della polmonite batterica pregiudicarono la sua salute. Nonostante ciò, quando nel dicembre del 1920 il virus ritornò a Bagnoli, egli non seppe tirarsi indietro alle richieste di aiuto degli ammalati e, contagiato a sua volta, il 3 gennaio 1921 decedeva, tra la costernazione delle popolazioni di mezza Irpinia. Dedico questo mio lavoro agli angeli che ci han soccorso nei mesi in cui infuriava il COVID19, che ancor oggi sono in prima linea e che aspettano da noi condotte responsabili, affinché i loro sacrifici non risultino vani.

Antonio Camuso (Il Quotidiano del Sud

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