L’intervista ad Agostino e Luciano Arciuolo, autori del libro “Malacosa”

Avellino.zon.it

Da alcuni giorni è disponibile in libreria “Malacosa”, romanzo edito da Mephite e scritto a quattro mani da Agostino e Luciano Arciuolo. A partire da sabato 17 agosto, gli autori sono impegnati in un tour di presentazioni in giro per l’Irpinia.


Di cosa parla il romanzo? Come mai questo titolo?

Parla di un’estate più calda del solito in un paesino immaginario dell’Irpinia, di un incendio boschivo e di un cadavere senza nome che arrivano a scompigliarne l’inerzia, di un appalto milionario che un’accolita di affaristi, approfittando del clima, tenta con ogni mezzo di accaparrarsi. Parla dello spopolamento delle aree interne, dell’impoverimento e dello sfruttamento del territorio, dei meccanismi economici e amministrativi che ci tengono intrappolati in un presente eterno e senza futuro; di quelle “malecose”, insomma, che incombono sulle piccole realtà di provincia come la nostra. La “Malacosa” del titolo è tutte queste cose insieme, e non più solo il fantasma delle leggende popolari (che pure aleggia come una presenza oscura sui luoghi della storia).

Com’è nata l’idea del romanzo? Come avete lavorato in due?

Tutto è partito cinque anni fa con l’immagine di una montagna che brucia, intorno a cui si è andato poi dipanando l’intreccio. È stata una gestazione molto lunga, nel corso della quale ci sono state diverse interruzioni e riscritture. Più volte ci siamo trovati a rimpastare la materia narrativa, che ha poi cominciato a crescere con l’aggiunta del lievito madre del dialetto, come fosse una “stesa” (più ancora che una stesura) di pasta sul “tumpagno” della tastiera. Su di essa, però, non abbiamo mai lavorato insieme e contemporaneamente, bensì a distanza, da un capo all’altro dell’Appennino, con una lontananza prospettica che si è rivelata fondamentale nel dividerci i capitoli e sottoporli l’uno alla revisione dell’altro. C’è stato così l’innesco di una dialettica tra due punti di vista, presente tra le righe in ogni pagina del romanzo: quella tra padre e figlio, tra vicino e lontano, tra chi non è mai andato via dal paese e chi ha scelto invece di emigrare altrove.

Qual è stato il punto d’incontro, la sintesi di questa dialettica?

La difesa del territorio, del nostro come di ogni altro, contro ogni forma di speculazione. Uno dei temi principali del romanzo è infatti la gestione delle emergenze, l’uso opportunistico delle calamità naturali e sociali al fine di favorire interessi privati. In Italia ne abbiamo avuto esempi col modo in cui è stata gestita la ricostruzione dopo i terremoti dell’Aquila o, più di recente, nei centri abitati tra Umbria e Marche (oltre che, naturalmente, con quello del 1980 in Irpinia). C’è chi, al proposito, ha parlato di “strategia dell’abbandono”, nella misura in cui lo spopolamento di queste aree non può che favorire sciacalli e appaltatori, non trovando essi un tessuto sociale in grado di fare resistenza e opporsi allo scempio. Ebbene, nella nostra storia accade qualcosa di molto simile. Con esiti, però, sorprendenti e inaspettati.

Non si tratta quindi di un giallo in senso stretto?

Si tratta di un giallo, sì, ma nel senso che Sciascia seppe attribuire al genere, sfruttando l’impianto investigativo classico per parlare di aspetti antropologici, sociali, economici e politici sconosciuti al poliziesco tradizionale. La sfida, per noi, è stata dunque quella di parlare dell’Irpinia dei nostri giorni attraverso una storia con tutte le caratteristiche narrative del giallo. Così che alla fine, per quanto la verità arrivi, non si tratta più di scoprire il colpevole, poiché la storia ha virato intanto verso una questione addirittura più urgente. È il paese, alla fine dei conti, il cadavere di cui scoprire l’assassino, con l’omicidio che viene assumendo i tratti del biocidio. Il finale semiaperto è in questo senso una provocazione lanciata al lettore, un invito a porsi delle domande e ad agire nella realtà per fare in modo che la storia, la nostra storia, potesse avere un finale diverso. E magari migliore.

Il calendario degli incontri:

Sabato 17 agosto alle 18:00 presso il Castello Cavaniglia di Bagnoli Irpino;
Domenica 18 agosto alle 17:30 presso la Sala Consiliare di Nusco;
Venerdì 23 agosto alle 17:30 presso il Circolo della Stampa di Avellino;
Sabato 24 agosto alle 18:00 presso la Biblioteca Comunale di Montella;
Domenica 25 agosto alle 17:30 presso la Sala Consiliare di Castelfranci;
Martedì 27 agosto alle 18:00 presso il Castello D’Aquino di Grottaminarda;
Mercoledì 28 agosto alle 17:30 presso la Biblioteca Comunale di Frigento.

Avellino.zon.it


fonte Avellino.zon.it
Potrebbe piacerti anche
Commenti

Ti invitiamo a reastare in tema, essere costruttivi ed usare un linguaggio decoroso. Palazzo Tenta 39 si riserva comunque il diritto di allontanare le persone non adatte a tenere un comportamento corretto e rispettoso verso gli altri.