L’invocazione a sant’ Irene per proteggere “lu Campanàru r’ la Ghiésia”

di Giovanni Labbiento

Insieme al palazzo in Piazza che fu dei Cavaniglia e ristrutturato dai Gargano nel 1592, un altro edificio insigne in quel di Bagnoli Irpino porta sull’architrave di pietra un’iscrizione in latino. Questo edificio non è altro che “lu Campanàru r’ la Ghiésia”, ovvero il Campanile dell’Insigne Collegiata Santa Maria Assunta di Bagnoli Irpino.
L’iscrizione dice: “ PER INTERCESS(IONE)M S(ANCT)AE IRENE AIS…) A FULGURE E(T)_ TEMP(ESTA)TE LIB(ERA) NOS DOM(INE) “. (“Per grazia di Santa Irene (santa protettrice dei fulmini e seconda patrona di Napoli) “Dite”: dalla folgore e dalla tempesta, liberaci, o Signore!”).
Uno può chiedersi del perché di tale iscrizione. La risposta si trova nell’Appendice IV dell’opera di Don Stefano Dell’Angelo pubblicata nel 2022 “Arcipretura Collegiata Insigne – Chiesa Madre di Bagnoli Irpino” – Prima Edizione 2022 di DELTA 3. Tale appendice contiene una notizia che fu scritta e finalizzata dal sottoscritto basato sulla scoperta di un resoconto inedito trovato nell’archivio parrocchiale.
Fu ritenuto necessario dai canonici del tempo scolpire sull’architrave in pietra del “nuovo” Campanile l’implorazione a Santa Irene, santa protettrice dei fulmini, e al Signore affinché il Campanile e tutti gli edifici circostanti fossero protetti dalle tempeste e dai fulmini in particolare!
Infatti, nell’ aprile del 1720 il Campanile della Chiesa ricostruita nel 1651 in seguito alla distruzione nel 1651 fu colpito in due riprese da fulmini che ne causarono la caduta distruggendo gran parte della Chiese. Si salvò solo l’altare maggiore, l’odierno Cappellone, con il Coro seicentesco. Il primo fulmine lo colpì l’8 aprile, ma il Campanile non cadde. Fu un secondo fulmine, quello di qualche settimana dopo che lo fece cadere il 23 aprile 1720.
Il campanile del 1651 ferito prima e colpito a morte dopo in quell’aprile del 1720 era molto più alto di quello odierno ricostruito a partire del 1722, ecco perché la sua caduta causò tale distruzione! Infatti, tale campanile fu definito “alta et artificiose moles” dal Vescovo Nuscano Picchetto nella relazione della sua visita del 1662.
Giovanni Labbiento

 

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