“Malacosa”, il romanzo di Agostino e Luciano Arciuolo

La presentazione

Manca poco all’uscita di “Malacosa”, romanzo edito da Mephite e scritto a quattro mani da Agostino e Luciano Arciuolo. A partire da sabato 17 agosto, gli autori saranno impegnati in un tour di presentazioni in giro per l’Irpinia.

Il calendario degli incontri sarà con buona probabilità il seguente:

Sabato 17 agosto alle 18:00 presso il Castello Cavaniglia di Bagnoli Irpino;
Domenica 18 agosto alle 17:30 presso la Sala Consiliare di Nusco;
Venerdì 23 agosto alle 17:30 presso il Circolo della Stampa di Avellino;
Sabato 24 agosto alle 18:00 presso la Biblioteca Comunale di Montella;
Domenica 25 agosto alle 17:30 presso la Sala Consiliare di Castelfranci;
Martedì 27 agosto alle 18:00 presso il Castello D’Aquino di Grottaminarda;
Mercoledì 28 agosto alle 17:30 presso la Biblioteca Comunale di Frigento.

Siateci!

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Incipit

È al tramonto di quando s’annuncia luna piena che hanno inizio le storie come questa. Al giorno e all’ora precisa in cui le vecchie e i criaturi incominciano a tremare, per paura che allo scuro uscisse la Malacosa.

E la Malacosa, secondo le circostanze, può assumere sembianze assai diverse: al giorno e all’ora di cui si conta, per esempio, col plenilunio che viene giusto a cadere di ferragosto, essa va pigliando l’aspetto di un incendio di vasta portata, partito che era ancora giorno da un castagneto giù alla Cupanéra e salito senza freno per sopra a una costa del Monte Piscone, la montagna che sovrasta Castano e che gli abitanti del posto chiamano, non per niente, la Montagnaccia.

Castano Irpino, per esattezza, è un paesino accovato in una zenna dell’Alta Irpinia, nùzzolo di case per lungo al torsolo dell’Appennino, tra le Puglie a levante e Terralavoro a ponente. La frazione di Noceto ne segna i confini a meridione, prima che i calanchi annuncino l’entrata in terra di Lucania; il Monte Piscone, dirimpetto, copre invece il cielo a settentrione, là per dove passano i metanodotti e i tralicci della corrente, per dove insomma si collega, via ofantina, il resto della penisola e del mondo.

Al giorno e all’ora in questione, il versante di Montagnaccia antistante al paese si va già coprendo di rossofuoco, come fosse un vulcano a caposotto che scorma lava dal basso verso l’alto. Quasi che l’universo creato si fosse ribaltato e trovato alla smersa in un amen.

Viste dal paese con gli occhi di chi ci abita, le vampe sono lenzuola di sangue sbattute dal vento, linguacce di spiriti assatanati, rigurgiti d’inferno che salgono dai visceri della terra e s’inerpicano su e su, fino a dove i castagni lasciano posto alle querce e poi ai boschi di pino e di faggio. Crescono a vista tra i vortici di scatelle, sfuggono per torno e crepitano a monte incontrastate, sospinte da un vento fievole ma costante e favorite dalla séccita che quello di scirocco, con forza d’anticiclone, ha portato dai deserti d’Africa.

È più di un mese, tant’è, che non cade una stizza d’acqua, e come da tempo immemore non succedeva, le piante si sono fatte secche come la gregna, il cielo è una cappa di chiummo e la terra ogni giorno più assutta, scorticata dai ràngichi del solleone. Fertile oramai solamente per il fuoco, che infatti si va divorando tutte cose: foglie, rami, virgulti, anconi, tronchi, cerreti.

Manco niente ci possono fare le guardie e i vigili del fuoco che, pure con grande spiegamento di uomini e di mezzi, sono accorsi d’urgenza nel tramentre. Non bastano gli idranti e gli estintori, le autopompe, gli elicotteri: troppo selvaggia è pure per loro la furia della catastrofe.
Fortuna che il vento di Levante, quello stesso che ha alimentato finora le fiamme, a un certo momento ha cominciato a sosciarle verso il costone di roccia nuda che si erge sul lato di Montagnaccia opposto al paese, dove l’incendio è destinato a spegnersi per mancanza di vegetazione.

Nascosta dietro al crepaccio, da sotto alla gobba del monte, sta la Cava delle Mammole, antro inargentato dalle acque sorgive di un ruscello, ora specchio di luna piena rimasto incolume al disastro. È là che va a trovare rifugio la fauna selvatica scampata all’impeto del fuoco, là che la Malacosa non può arrivare a mettere piede. Là che, nottetempo e forumalocchio, bisogna attendere che si spenga, che se ne vada, che svanisca.
Sciò, arrassa, fristallà! Jessi a la via e sparisci da qua!


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