Pasolini, la modernità intellettuale

di Rolisa Corso

Ricorre quest’anno il centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini, tra i miei poeti “maledetti” preferiti. Vi siete mai soffermati a guardare i suoi occhi?

Lì, ci vive tutto il suo mondo, tutto il suo essere. Lui, un uomo sfacciatamente moderno ma nel contempo così languidamente tradizionale, legato ai ricordi semplici della sua fanciullezza e questo suo essere “opposto” fa della sua anima e del suo pensiero un crocevia, dolce e salato, di emozioni e sensazioni che si intrecciano e si respingono.

Fermamente legato alle sue origini che rivivono nei suoi ricordi, alle tradizioni, allo stesso tempo proiettato ad un’analisi attenta di un mondo ormai, formalmente, lontano dai valori antichi.

Amante della cultura classica, greca e romana, rielabora in Virgilio i temi di una religiosità campestre, rivede in Enea il suo alter ego, l’uomo dalle molte patrie, Pasolini aveva vissuto a Bologna, in Friuli ed infine a Roma, dove l’eroe virgiliano era giunto per fondare la sua nuova patria, esule da Troia. Analizza il mondo tragico greco, avvicinandosi ai grandi della tragedia classica come Eschilo, del quale ammira con fervore il pensiero e coglie nella sua magistrale opera teatrale tragica il rapporto tra razionale e irrazionale che fondendosi rivivono in una società di uomini positiva.

Uomo di sinistra, in quel dopoguerra dove la sinistra aveva ancora legami forti con una chiusura di pensiero da non poter “accettare” l’uomo che Pasolini era, un vero pensatore anticonformista, venne espulso dal Partito per le accuse di corruzione minorile e atti osceni in luogo pubblico che si riveleranno infondate.

Vive la grande città, Roma, fiuta, analizza, “divora” tutto ciò che la vita degli umili gli offre. Documenta le vere realtà, tra la gente ultima di periferia, dove la decenza, l’onore, la dignità emanavano un odore nauseante di fame intellettuale. Attraverso le sue poesie, attraverso la macchina da presa, avrebbe voluto documentare come in una sorta di narrazione didascalica, affinché tutti potessero vivere il mondo dei fragili.

Un uomo scomodo per la sua carica emotiva e realista, deplorato e osannato, di lui resta l’artista drammatico, il poeta dolce e amaro, l’aedo che cantava, attraverso i suoi versi, i molteplici volti della vita e della psiche umana.

L’intellettualità del ‘900 ha partorito un grande maestro puramente realista.

Rolisa Corso

(da Fuori dalla Rete, Marzo 2022, anno XVI, n. 2)

 

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