Ragioniamo come comunità, non possiamo aspettare altri 40 anni

La rubrica di Giovanni Nigro

C’è chi dice…

…che non abbiamo bisogno di sentirci partecipi di qualcosa, anzi siamo molto spesso super partes nei confronti di tutto quello che ci accade intorno, magari pensando che non ci riguarda niente perché bene o male veniamo da esperienze diverse.

Il Coronavirus forse e dico forse ci ha fatto anche capire che di un piccolo paese può essere la responsabilità di una intera regione, nazione. Da un piccolo paese dipende la salute di un intero territorio. Abbiamo inserito nel nostro vocabolario le parole come focolaio, come cluster familiare e tante altre parole che si avvicinano al disastro. Questo perché siamo tutti sulla stessa barca. I comportamenti responsabili di tutti, dal bambino all’anziano, forse qualcosa cambieranno. Dai piccoli gesti di comunità, ragionando come comunità, come diciamo sempre, si ha la possibilità di combattere, questa battaglia come altre.

Infatti, oltre al virus, con tutte le sue problematiche, ordinanze e paure, ce ne sono tante altre di cui possiamo discutere, ma anche di cui ormai è inutile discutere. Il male invisibile che oggi siamo tenuti a combattere ha anche la prerogativa che non colpisce solo una classe sociale, ma livella il tutto ed arriva a tutti. Re, viceré, plebe e popolino. Tutti. Proprio per questo tutti hanno iniziato a rispettare le regole. Chi più e chi meno. A questo va aggiunto che siamo anche messi alla prova tutti i giorni per i nostri comportamenti.

Questo momento fa passare in secondo piano anche il fatto che sono passati 40 anni dal famoso terremoto del 23 novembre del 1980 e che ancora oggi si fanno commemorazioni con istituzioni in bella mostra e qualche parola a volte di troppo. O troppo poco. Sarebbe invece utile ricordare che da quegli anni siamo diventati un posto migliore, un popolo migliore, che abbiamo, almeno in parte, scavalcato l’idea di essere riconosciuti sempre e solo perché “terremotati”. Con la consapevolezza che l’andare avanti è difficile sempre, ma 40 anni dopo qualcosa deve pur essere cambiata.

A cambiare forse in quel periodo è stata l’unione di un territorio, una sostanziale voglia di abbracciarsi ed andare avanti, anche perché il lutto delle madri, dei padri, dei nonni, dei figli, dovrebbe essere tolto dopo tutti questi anni. Togliere il lutto sicuramente non vuol dire dimenticare. Anzi vuol dire ricordare ancora di più che si va avanti per dimostrare cosa si può fare nella vita senza tragedie imminenti.

Era una tragedia e gli anni 80 sono stati di transizione, come potrebbe essere questo anno. Magari questo 2020 fosse di transizione anch’esso. Magari facesse capire che siamo davvero un unico agglomerato di persone, una societas, una società che si fa carico della vita degli individui, come la definivano gli antichi. Un qualcosa che stentiamo a capire. Avendo sempre denigrato tutto e tutti, soprattutto se non fanno parte del nostro tempo. Fregandocene della giustizia sociale e della povera gente.

Me lo auguro. Fosse questo l’anno giusto che ci porti anche a tramutare idee in castelli e non idee in gruzzoletti ad personam. Sarei già felice così. E mi verrebbe da dire che sarebbe già migliore un piccolo paesino dell’Alta Irpinia, magari capofila di un cambio di passo, di una ragione alta che è il bene comune. Non credo che sia davvero difficile mostrare sensibilità in questa epoca che viaggia in maniera veloce e si identifica ancora come luogo della speranza. Eppure è passata la campagna elettorale per le Elezioni Regionali, con quello che la caratterizza sempre, non solo nel 2020. Ma non ci dimentichiamo che siamo tenuti a guardare avanti e a non analizzare solo il presente, ma anche il futuro.

Negazionisti a parte, siamo tenuti a ragionare di tutto quello che da marzo in poi è accaduto. Con il Virus che è entrato nelle nostre vite ci siamo anche dimenticati che siamo un territorio che aspetta da anni la realizzazione di un progetto. Vero un progetto che potrebbe dare respiro ad una economia territoriale non solo bagnolese. Un progetto che ambisce a cambiare le cose, ma non dobbiamo fare l’errore di vederlo come manna dal cielo.

Non possiamo oggi fare lo stesso errore di chi oggi aspetta il 23 novembre per commemorare, ma durante tutto l’anno non sa nemmeno cosa dire. Si deve pensare che quello è un punto di partenza che magari rincara la dose di una economia, ma poi ci vogliono gli uomini, ci vuole un popolo a portare tutto avanti. Il punto di partenza. Che prevede non per il momento un punto di arrivo anche se ancora una volta siamo tutti scettici e maledetti. L’ho spesso ribadito che è sicuramente una cosa importante, ma non la si deve considerare la vittoria di una guerra, contro magari lo spopolamento.

Anche perché oggi non vale il detto “Passatu lu santo, fnuta la festa”. Non può. Non deve essere così. Abbiamo capito che dobbiamo rimettere ai posteri l’ardua sentenza, ma i posteri non possono aspettare 40 anni, perché sarebbe folle, anzi sarebbe inutile. E noi mica vogliamo aspettare tanto tempo, no?

Giovanni Nigro

(da Fuori dalla Rete, Novembre 2020, anno XIV, n. 5)


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