Sud e Recovery Fund

di Luciano Arciuolo

Parto da una premessa assolutamente necessaria. L’Unione Europea ha distribuito i finanziamenti del Recovery Fund tra le varie nazioni tenendo conto di tre indicatori:

  • La ricchezza di uno Stato o di una Regione (il cosiddetto PIL pro-capite);
  • Il tasso di disoccupazione degli ultimi cinque anni;
  • La densità di popolazione.

Dei circa 200 miliardi di euro che l’Italia riceverà entro il 2026, il 40% sarà destinato al Sud, per un totale di poco più di 80 miliardi. Così ha deciso il Parlamento, su proposta del governo. Ma se la ripartizione fosse stata fatta tenendo conto dei tre indicatori precedenti, alle regioni meridionali sarebbero state destinate molte più risorse, date le loro condizioni più arretrate, sia economicamente che socialmente.

Allora, veramente questa percentuale è una buona notizia? E, soprattutto, veramente il Sud riceverà per intero queste somme? E, ancora, questi 80 miliardi saranno sufficienti a ridurre l’evidente divario in termini di infrastrutture, scuole, servizi, tra Meridione e Settentrione d’Italia? Cercherò di rispondere a queste domande attraverso una analisi della situazione e dei dati ad oggi disponibili.

E’ una buona notizia, nel senso che questi soldi saranno sufficienti a ridurre lo svantaggio del Sud? Io credo di no e, per spiegarmi, mi riferirò al caso della Scuola.

Nel Nord Italia gli edifici scolastici dotati di mensa sono il 74%; da noi solo il 42%. Non solo: a Sud di Roma il 63% degli edifici destinati all’istruzione ha bisogno di manutenzione urgente, mentre nel Settentrione questa percentuale scende al 23%. E ancora: se nel Nord Italia si spendono circa 7.300 euro all’anno in media per la manutenzione di un edificio scolastico, da noi questa cifra scende a 1.900 euro.

Ora, la Scuola meridionale dovrebbe ricevere, dal Recovery Fund, qualcosa come 7,6 miliardi di euro, mentre quella settentrionale 8 miliardi. Così, però, il divario non si riuscirà mai a colmare: la Scuola meridionale avrebbe bisogno di molti più finanziamenti, in percentuale.

Le notizie che arrivano dalle prime distribuzioni di fondi, del resto, sono ancora più sconfortanti: è stato già avviato, infatti, l’iter per assegnare i primi 700 milioni di euro per la realizzazione di asili nido. Ebbene, la Lombardia ha avuto più fondi della Sicilia e in questo modo, ovviamente, il divario tra le due regioni è destinato ad aumentare.

Un ragionamento analogo si può fare per l’Università e la Ricerca.

Le istituzioni del Sud Italia riusciranno a spendere gli 80 miliardi che saranno loro assegnati, nei tempi previsti? Anche la risposta a questa domanda non è positiva, almeno al momento.

I Comuni e le Regioni del Mezzogiorno, infatti, non hanno personale sufficiente e formato per presentare i progetti e per seguire poi l’iter realizzativo delle varie opere. Del resto, le assunzioni a tempo determinato (già programmate dal Governo) degli esperti che dovrebbero affiancare le amministrazioni locali nello spendere i fondi, sono anch’esse sbilanciate a favore delle regioni del Nord: 131 di essi, ad esempio, andranno in Lombardia mentre la Calabria ne avrà solo 40.

Tutti questi fatti generano veramente tanti dubbi sulla reale incidenza del Piano di Ripresa e Resilienza nella realtà italiana, anzi del Meridione d’Italia.

Bene hanno fatto, dunque, i Sindaci del Sud a rivolgersi all’Unione Europea, chiedendole di verificare l’impatto effettivo del Recovery Fund sulla nostra situazione socio-economica.

Anche perché questi fondi rappresentano realmente l’ultimo treno per recuperare un divario che la pandemia ha allargato.

Luciano Arciuolo

(da Fuori dalla Rete, Novembre 2021, anno XV, n. 5)

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