Cosa mi hanno insegnato questi giorni di quarantena

La rubrica di Giovanni Nigro

C’e’ chi dice …

… che se non lo provi non lo sai. Vero, verissimo. Forse non si è mai troppo sapienti fino a quando non tocca anche a te, come risultare positivo al Covid-19. Oggi da casa mia, con la speranza di uscirne ed uscire presto,  mentre scrivo, penso a cosa mi hanno insegnato questi giorni di quarantena.

Uno su tutti è la paura, per quello che può succedere e capisco cosa prova chi  ogni  giorno  si confronta con chi ha contratto il virus: medici, infermieri, operatori sanitari, ma anche lavoratori normali. La paura anche per i contatti stretti e no. Per quelli che ancora una volta e da sempre sono gli affetti stabili, quelli che bene o male cerchi di vedere ogni giorno della tua vita anche a qualche chilometro di distanza, o a pochi passi. Bene, questa paura l’ho provato e la provo tutt’ora. Perché siamo resistenti fino ad un certo punto, siamo supereroi fino a quando proviamo a volare, ma comunque soffriamo di vertigini. La linea sottile tra emozioni e realtà è sempre più piccola in questi casi.

Il secondo insegnamento è il fatto che ormai, essendo stati abituati a restare in casa, vedasi prima ondata e tutto quello che ha portato, a partire dall’annullamento delle distanze, magari chiamando e videochiamando, ora non è poi così male restare a casa, piccola o grande che sia. Questo però mi ha fatto soffermare su di un punto fondamentale: siamo purtroppo o per fortuna meno sociali. Meno socievoli. Meno inclini a comportarci bene. Quasi come se valesse la regole: “Chi campa, campa”. Quasi come se non ci interessasse di quello che succede intorno, come guerre e morte. Non ci piace più fare società, creare nuovi uomini e nuove donne della società civile, che magari si impegnano per un obiettivo comune.

Questo è forse il grande insegnamento che la pandemia ci ha donato. Un insegnamento sbagliato. Ma anche giusto. Altrove si creano case dell’accoglienza e punti di ascolto per anziani e per fragili. Ci si mobilita per riservare al proprio popolo dei servizi essenziali, come i tamponi nasofaringei. Ci si impegna per instaurare un rapporto di collaborazione per fare da capofila in eventi culturali e di spessore, invece qua no.

Siamo diventati, a nostro malgrado degli investigatori, dei contatori, con tanto di calcolatrice per trovare il numero dei positivi attuali e lo vogliamo sapere per forza. Se qualcuno per privacy o per qualsiasi motivo non ha postato la sua positività, non rendendola pubblica, ci fa specie. Ci rende il lavoro più difficile.

Ma questo deve farci pensare che non è una società giusta quella incentrata sul sospetto. Sul fatto che ci sono persone che sul posto di lavoro, che è già un parolone, di questi tempi, ha contratto il virus, che in questa ultima variante è contagiosissimo. Anzi scavalca barriere che si alzano solo in un modo. Con le regole semplici da rispettare: mascherine, distanziamento, igiene delle mani. Anche se ti viene il dubbio dopo due anni pieni di pandemia, se e quando hai avuto contatto con qualcuno. Ti viene anche il dubbio se sei tu il paziente zero, se sei tu quello che a casa l’ha portato. Ma non puoi fartene una colpa se per andare a lavoro ti sei contagiato.

Un ultimo insegnamento è quello che mi auguro sia per tutti un monito per il futuro, attivare e redistribuire risorse per la collaborazione con i cittadini in termini di informazioni. Un servizio al cittadino che manca e che durante la prima ondata era stato fatto in maniera certosina, magari evitando l’uso della parola “free” che ha portato male in alcuni casi. La comunicazione, pensavo in questi giorni, ha a sempre due protagonisti, come un vaccino, uno la somministra e l’altro dice solo se fa male il braccio. Bene, quello che la somministra è vestito non in maniera normale, perché ha un ruolo di una importanza unica. Il vaccinato invece no, quello di mestiere fa anche il giornalaio, magari. Quindi, non può essere un esempio, ma chi somministra viene ascoltato e sì, è un esempio. Solo così potremmo fare il salto di qualità giusto, magari sforzandoci di essere esempio sempre.

Una cosa che è aumentata per me, oltre alla massa grassa, in questi giorni di quarantena è sicuramente la ricerca di serenità. Una cosa che non ha più senso se non provenisse dal fatto che la serenità coincide con la normalità. Dal fatto che andare a prendere un caffè è normale, come è normale oggi fare una videochiamata di gruppo per raccontarci la giornata. Si ma io voglio uscire a prendere il caffè, anzi voglio uscire a sentire le voci, quelle che da anni mi forniscono spunti per questa rubrica che forse è la più vecchia e la più noiosa. E proprio mentre attendo il risultato dell’ennesimo tampone, e prendo un caffè dalla macchinetta di casa, mi accendo l’ennesima sigaretta e penso: ma poi effettivamente stare a casa mi ha fatto bene, mi ha reso meno irascibile del solito.

Magari sarà stato il fatto che io, in fin dei conti, come   posso cambiare questo schifo, come posso farlo?

Scrivendo, solo e soltanto scrivendo. E tu come puoi cambiare un popolo? Magari leggendo?

Giovanni Nigro

(da Fuori dalla Rete, Marzo 2022, anno XVI, n. 2)

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