Il Coltan e gli smartphone

di Martin Di Lucia

Che cosa ha a che fare l’oscuro termine Coltan con i nostri smartphone? Ma soprattutto, abbiamo mai realmente riflettuto su cosa si celi dietro la produzione di tutti i cellulari che noi occidentali cambiamo con estrema frequenza?

La storia è lunga e non tutti la conoscono.

Il Coltan è un minerale composto da columbite e tantalite (col+tan), due minerali della classe degli ossidi, che insieme compongono una sorta di ‘polvere magica’, una sostanza rara in natura ma essenziale per le multinazionali operanti nel settore delle tecnologie, che impiegano il minerale per ottimizzare il consumo della corrente elettrica nei chip di molte apparecchiature elettroniche quali telefoni cellulari, GPS, televisori, consolle per videogiochi, computer, macchine fotografiche.

Detto ciò non sembrerebbe esserci nulla di male, se non ché una riflessione va fatta sull’origine spesso illegale del minerale, estratto in miniere irregolari e non autorizzate.

La gran parte delle riserve mondiali è ubicata, neanche a dirlo, nel cuore del continente africano, in Congo, ed è il motivo per cui da anni sono in corso guerre che hanno portato all’uccisione di oltre tre milioni di persone.

Le modalità estrattive sono assai poco rispettose, per dirla con un eufemismo, dei più elementari diritti umani, e sono disattese le più elementari condizioni igieniche e di sicurezza.

Per accostarsi a condizioni economiche apparentemente attraenti, i minatori rinunciano a ogni forma di protezione e diritto, sottoponendosi a condizioni di lavoro disumane con effetti sociali ed economici deleteri per l’area prossima al luogo di estrazione.

Non sono pochi gli agricoltori che abbandonano i campi alla ricerca di un miraggio economico ingannevole, e che si accompagnano a miriadi di sfollati e prigionieri di guerra impiegati nelle miniere a costi ancor più bassi.

Per non parlare dello sfruttamento dei bambini, particolarmente utili per la loro esile corporatura che gli consente di infilarsi in stretti condotti sotterranei e, a mani nude, recuperare il prezioso minerale, il tutto accompagnato da militari senza scrupoli che controllano il “regolare” svolgimento delle attività. Le scuole si spopolano in vista di un guadagno che seppur misero assicuri l’utopia della sopravvivenza, ma il duro lavoro gli procura solo pochi centesimi al giorno. Molti minori muoiono a causa delle frane che si determinano nei piccoli cunicoli, o per le malattie generate dalla totale carenza di igiene.

Al fine di delimitare le zone di estrazione il potere politico foraggiato dalle multinazionali o, quando peggio, da governi stranieri, non si fa scrupolo alcuno ad ordinare spostamenti coatti degli abitanti dei villaggi siti nelle zone di estrazione.

Per estrarre il coltan la Repubblica Democratica del Congo (RDC) non va per il sottile in quanto a tutela dell’ambiente. Boschi e campi agricoli vengono ridotti a paludi acquitrinose, e riserve naturali spazzate via senza nessuna attenzione per la flora e la fauna locali.

Il problema del traffico di coltan, non riguarda soltanto la RDC, ma anche i paesi confinanti come Ruanda, Uganda e Burundi, paesi che in molti casi utilizzano i profitti derivanti dal commercio del minerale per finanziare guerre e terrorismo.

Il trasporto della preziosa sostanza viene spesso affidato a portatori che, a piedi, con sulle spalle anche 50 kg di minerale, percorrono strade impervie immerse in una fitta e insalubre vegetazione, col rischio di essere depredati da guerriglieri e contrabbandieri.

Le Nazioni Unite (UN) sono state più volte investite del problema al fine di trovare una soluzione all’estrazione illegale del Coltan nelle miniere africane. Alcuni paesi membri delle UN da anni sollecitano una presa di posizione internazionale contro il così detto “coltan insanguinato”, producendo però soltanto generici interventi di critica e di innocua condanna. Gli interessi economici in ballo sono troppo alti per imporre una drastica revisione delle metodologie estrattive. Per la Cina il coltan è uno dei minerali più importanti per la sua strategia commerciale, nonché fonte principale di approvvigionamento dall’estero di materie prime, in particolare dall’Africa.

Multinazionali come Nokia, Alcatel, Apple, Nikon, Ericsson, Bayer sono citate quali “possibili” fruitrici del vantaggio economico derivante dall’illegale estrazione del coltan. Nonostante la situazione sia nota da tempo, i media internazionali dedicano al problema scarsa attenzione.

Il giornalismo d’inchiesta sembra ormai soccombere al giornalismo dello scandalo che fa notizia immediata. Ricordo ancora come una rarità del tutto eccezionale il servizio della trasmissione Report in merito all’inquinamento petrolifero della foce del Niger, grave esempio di devastazione ambientale in cui, oltre ai poteri economici locali, erano coinvolte la Shell e l’ENI. Quali soluzioni al problema?

La sola protesta delle associazioni umanitarie non può indurre a cambiamenti nelle politiche dei paesi sovrani; serve la stimolazione dell’attenzione pubblica, seguendo la stessa strada che condusse alla ratifica del protocollo di Kimberley che regolò la produzione dei diamanti. Sarebbe auspicabile e necessario approvare un protocollo di certificazione di provenienza del coltan e sperare che, quanto prima, ci sia la volontà politica della RDC di intensificare i controlli sul proprio territorio.

L’Africa è a mezza via tra lo sfruttamento operato dalla colonizzazione occidentale e un’autosufficienza illuminata che le consenta di affrancarsi da dipendenze economiche che ancora avvallano forme di corruzione a scapito di una crescita reale del continente.

Una piccola riflessione per noi.

L’aumento dei telefoni cellulari, che in Italia avviene a ritmi molto più elevati rispetto al resto del mondo industrializzato, dovrebbe portarci a riflettere. Le guerre congolesi, tuttora in corso, sono di per sé un motivo già abbastanza valido per non sentire più l’insensato desiderio di cambiare telefono così frequentemente. Magari alla presentazione del prossimo iPhone, nel rispetto di noi stessi e di milioni di persone sfruttate, uccise o costrette ad emigrare, fermiamoci a pensare se la necessità di possedere un nuovo device tecnologico, non sia in realtà un semplice capriccio.

Martin Di Lucia

(da Fuori dalla Rete, Dicembre 2018, anno XII, n. 6)


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