Intervista al parroco di Bagnoli don Stefano Dell’Angelo: “L’uomo per gli altri”

A cura della redazione

L’amicizia e la stima che mi lega da oltre quindici anni a don Stefano Dell’Angelo mi ha permesso di chiedergli in più occasioni di rilasciare un’intervista per il giornalino Fuori dalla Rete. Nel corso degli anni ha sempre rifiutato, (mi sarebbe piacito intervistarlo in occasione del ventesimo anniversario del suo arrivo a Bagnoli), più per riservatezza che per altro. Per chi, come me, ha la fortuna di conoscerlo e frequentarlo, sa che per indole rifugge ai riflettori, non gli piace stare al centro dell’attenzione, preferisce dedicarsi agli altri senza troppo clamore. Eppure la sua opera, anche se spesso ignota alla maggior parte della popolazione, è ben presente nel nostro paese. Non si nega a chi gli chiede un aiuto e un sostegno, cerca in ogni situazione la via del dialogo e della preghiera, è sempre attento alla cura del patrimonio immobiliare e artistico della nostra chiesa.

La sua, (almeno per me),  è una di quelle figure che sai che esiste ed in qualsiasi momento  è sempre pronta  ad aiutarti e consigliarti. 

Quella che segue è una lunga intervista sulla sua vita sacerdotale e sulla sua esperienza alla guida della nostra parrocchia. Nel ringraziarlo per la disponibilità accordataci gli auguriamo di continuare la sua missione  al servizio della nostra comunità. (G.T.)


Quello in corso è il suo ventiquattresimo anno alla guida della nostra parrocchia. Iniziamo questa intervista provando a tracciare un bilancio di questa sua lunga esperienza nella nostra comunità. 

Come sai, ero molto restio ad accettare di essere intervistato, per riservatezza più che altro, ma ho deciso di accontentarti sia per “premiare” la tua insistente costanza, molto rispettosa a dire la verità, e sia, soprattutto, per offrire una possibilità in più alla mia comunità di conoscere un po’ di più chi ha avuto affidata dal Vescovo la responsabilità di guidarla. 

Quando e come è nata la sua chiamata al sacerdozio? 

I miei ricordi, dai 4/5 anni circa, sono molto vivi nella mia mente. Mamma e papà per lavoro uscivano molto presto la mattina e rientravano tardi la sera, per cui sia io che mio fratello Don Raffaele eravamo affidati alla custodia della nonna materna Luisa Di Santo. Era una casalinga ormai anziana ma ancora “sulla breccia”, mentre il marito,  Raffaele Marano, da contadino, andava nei campi all’alba e ritornava al tramonto. Noi da piccoli, fino ai miei primi anni di scuola (mia nonna morì nel 1958), siamo cresciuti con lei. Ricordo che per non lasciarmi solo a letto [mio fratello nato nel 1953, piccolissimo, stava con i genitori] , mi svegliava e mi portava con sé a Messa, che Don Eduardo Volpe celebrava all’alba per permettere a tutti di trovarsi in tempo sul luogo di lavoro (agricoltura e pastorizia). Ebbene, un fatto è rimasto impresso nella mia memoria: ero piccolo e alla mensa dell’altare della Celebrazione, alzando le mani per le ampolline, arrivavo a malapena, e alla fine ricevevo una caramella “golia” e qualche volta una “cinque lire”, che puntualmente mia nonna mi faceva consegnare a mia madre. Vai a Messa una mattina, vai un’altra, vai un mese, vai due mesi, alla fine mi venne il desiderio di essere sacerdote. E ricordo ancora che quando Don Eduardo veniva nelle scuole elementari a fare le “ore integrative di religione”, (non pagate dallo Stato!), mi guardava con benevolenza e pretendeva che mi comportassi meglio degli altri (da notare che per un po’ di tempo anche io durante il liceo a Pianura di Napoli feci le ore integrative di religione al posto del Parroco Don Alberto Di Fusco). 

Che cosa significa oggi essere sacerdote?

Una volta si diceva che in  un paese tre erano le persone di riferimento, che “comandavano”: il sindaco, il maresciallo e il prete. Questo retaggio del passato medioevale giunto fino a noi, MA che oramai sta scomparendo, falsa molto l’identità del prete. Giusto un esempio per capirci: trent’anni fa da parroco in Sicilia io ho sempre “fatto la fila” in qualsiasi ufficio mi recassi per un servizio. Oggi, mi succede che, non per servilismo (questo lo distinguo chiaramente guardando qualche persona che si comporta così), capita, anche se molto raramente, che qualcuno come forma di vero rispetto mi dica: “Don Ste’, se andate di fretta fate al posto mio che io posso aspettare”. Perché ho fatto questo preambolo? I sacerdoti che siamo stati formati “a cavallo” e dopo il Concilio Vaticano II, abbiamo avuto inculcato molto incisivamente che il sacerdote è e deve essere l’ alter Christus realizzato nell’essere l’uomo per gli altri. Questa è la vera identità del prete, ne sono convintissimo, ci credo ciecamente e posso affermare che la mia vita è secondo questo principio regolatore. La Chiesa ce lo ricorda continuamente con i suoi documenti, non ultimo l’istruzione dell’ 01 gennaio 2003 intitolata “Il Presbitero (= sacerdote, prete), Pastore e Guida della Comunità parrocchiale”.

Qual è stata la sua prima impressione quando è arrivato a Bagnoli? E qual è invece il rapporto che oggi ha con la nostra comunità?

La prima impressione è stata molto positiva, non fosse altro perché ero entusiasta di tuffarmi nel lavoro pastorale dopo due anni di “forzata e snervante inattività”. La Parrocchia non era grande come quella lasciata due anni prima in Sicilia (8000 abitanti), ma neanche piccola, in quanto 3400 abitanti circa permettevano un lavoro pastorale che mi avrebbe impegnato tutto il giorno. Il paese era bello e accogliente, la gente, morto Don Remigio che io avevo conosciuto, era in attesa del parroco e mi accolse benevolmente. Man mano che il tempo passava abbiamo imparato a conoscerci e a rispettarci. L’esperienza pastorale precedente mi dava tranquillità nel rapportarmi con i fedeli affidati alla mia responsabilità di Parroco. Oggi il rapporto è migliorato per la maggiore conoscenza reciproca e un maggiore rispetto dei ruoli: la responsabilità di Parroco non la posso delegare né mi può essere tolta con tentativi ammantati di consigli/comandi. Un paio di volte mi sono sorpreso io stesso a dire: “vuoi fare il Parroco al posto mio?”. Ecco: la maggiore consapevolezza e il rispetto dei ruoli porta a rapportarsi meglio. 

Di cosa va maggiormente orgoglioso di aver realizzato in questi anni bagnolesi e quale invece il suo rammarico più grande?

Non parlerei di orgoglio, ma di soddisfazione per l’impegno profuso nel compiere il mio dovere, anche quando sapevo in partenza che non sarei stato pienamente compreso. Il rispetto e l’osservanza delle leggi ecclesiali, specialmente ma non solo in campo liturgico, impegna a vigilare perché non si vada a “ruota libera”, né in chiesa né fuori, e questo, anche se con dispiacere, comporta mugugni e “chiacchiere”; pazienza. Circa poi il “rammarico”, anche qui userei la parola “dispiacere”, non tanto per non aver realizzato, quanto piuttosto perché era una cosa buona per i fedeli, che invece se ne sono privati. Giusto per esempio: appena venni a Bagnoli ho tentato più di una volta di avviare un “gruppo coniugi” che aiutasse le coppie nella vita coniugale e familiare dal punto di vista cristiano, ma dopo due tre incontri quelle due tre coppie partecipanti si arrendevano. Così per la “lectio divina”, che è durata per un po’ di tempo, approssimativamente un anno sociale, ma poiché si trattava di “ascoltare” la Parola, riflettere su di Essa e farLa diventare preghiera della vita, era quasi impossibile che “prendesse piede”, perché l’indole dei partecipanti era “interventista”, cioè si voleva “parlare e dire ognuno la sua”, perciò è durata un po’ di tempo ed è amaramente finita. Così è successo anche per le Lodi al Mattino e per i Vespri la sera, per l’Adorazione Vocazionale del 1° giovedì, per gli incontri finalizzati all’ acquisizione dei contenuti dottrinali cristiani onde poterli trasmettere ai figli o ai ragazzi del catechismo. Non ultima, l’iniziativa di avviare un “gruppo giovani ecclesiale” cominciando dal “dopo cresima”. Questo solo per citare alcune iniziative. Ma molto probabilmente non sono stato io capace di “far passare” tali idee, attuate in tante altre parrocchie. Forse, dico forse, un po’ di orgoglio potrei averlo per tanti restauri che sono stati effettuati, primo fra tutti l’organo settecentesco “Carelli”. Ma in questo campo il merito non è solo mio, deve essere condiviso tra numerose persone che a vario titolo mi hanno collaborato. I restauri sono veramente tanti e fino a qualche anno addietro li ho elencati nel pc, poi ho smesso di continuare l’elenco. 

Quali sono invece i progetti futuri e quali quelli in cantiere per la nostra parrocchia?

Parlare di progetti futuri o già in cantiere è arduo e impegnativo nello stesso tempo. Per la pandemia in corso, se dovessi analizzare la situazione dal punto di vista cristiano e di fede, direi che, per alcuni versi, tanti hanno colto o colgono l’occasione per mettere da parte il “cristianesimo tradizionale” tanto denigrato e vituperato, a torto o a ragione, senza sostituirlo con un cristianesimo genuino e autentico. La pandemia, quindi, per costoro è l’occasione per allontanarsi dalla Chiesa, sia in senso fisico (non andando nel luogo sacro per le celebrazioni) e sia in senso spirituale (erano già lontani prima e ora se ne sono allontanati del tutto), rifugiandosi o nel “culto televisivo e mediatico” (vorrei farli saziare partecipando a un pranzo trasmesso per televisione! Sto parlando di fede vera e partecipazione autentica, naturalmente) o nel “culto fai da te”. La fede vera ha necessità di partecipazione attiva e di presenza, di essere illuminata dalla Parola di Dio e dagli insegnamenti della Chiesa, di essere vissuta e testimoniata in comunità in ogni forma! Per altri versi la pandemia, sempre vista da un punto di fede, potrebbe essere colta come momento di purificazione, occasione di solidarietà e amore fraterno, di vita cristiana impegnata per aiutare chi soffre, mentre, invece, impera la filantropia. Ma questo è un tema molto vasto e richiede molto tempo e spazio per l’approfondimento, che non è il momento di fare. La nostra comunità mi sembra stia vivendo la situazione testé descritta, per cui, mentre cerco di essere presente e ricordare che a Bagnoli c’è un parroco che la guida impegnandomi a seguire i ragazzi con la CAD (catechesi a distanza) o a servirmi di ogni occasione per far sentire la mia presenza social compresi, nello stesso tempo cerco di far vivere i momenti ordinari del culto a coloro che sono ancorati con sicurezza alla fede. Sto aspettando il momento favorevole per riprendere le visite ai fratelli ammalati o anziani che non escono di casa, portando loro la Santa Comunione. Spero quanto prima di riprendere il catechismo per bambini e ragazzi, almeno per quelli che hanno rimandato o sono in età di Prima Comunione e Cresima. Nelle varie situazioni della vita sfrutto ogni possibilità per essere presente. 

Da tempo lavora alla stesura di un libro sulla storia della nostra chiesa, quando avremo il piacere di poterlo leggere?

Ho consegnato una copia sia all’Arcivescovo,  Mons. Pasquale Cascio, e sia Don Tarcisio L. Gambalonga, Direttore dell’Ufficio Beni Culturali della Curia Arcivescovile della nostra Diocesi, perché, trattando anche di argomenti riguardanti fede, devozioni e arte, ritengo opportuno che sia tutto scritto correttamente. Inoltre, aiutato da Umberto Patrone, sto provvedendo per delle foto illustrative di quanto trattato. Un aiuto prezioso l’ho avuto dal compianto Prof. Luigi Parenti per la raccolta del materiale e dall’amico compaesano emigrato in Canada Giovanni Labbiento per le ricerche nei registri antichi. Un tempo preciso al momento non è possibile stabilirlo, speriamo bene. 

L’improvvisa scomparsa di Don Raffaele è stata per lei un duro colpo, era molto legato a suo fratello con cui si confrontava quotidianamente sulle nuove sfide che attendono la Chiesa ma anche su temi di più stretta attualità. E’ stato tutto difficile e complicato. La fede in Dio l’ha sicuramente aiutato in questo momento. Anche se, crediamo, le rimarrà un vuoto difficilmente colmabile.

Hai detto bene, è un duro colpo, mai avrei pensato che mi avrebbe preceduto, soprattutto perché era lui a dirmi continuamente “attento a questo”,”controlla quel valore”, ecc. ecc.; ma il futuro è nella “mani di Dio”, nessuno lo conosce e bisogna solo tenersi preparati. Come? Lui l’ha fatto, “ha terminato la corsa, ha conservato la fede come dice San Paolo, io mi sto sforzando di farlo da sempre: lavorare senza mai fermarsi, pensando a quello che bisogna fare domani, ma soprattutto pensando di aver risposto a una chiamata, che si è entrati a far parte di un progetto grandioso per il quale bisogna sempre essere pronti a fare la propria parte. Ecco: penso, è una mia convinzione, che il Signore farà l’ultima chiamata quando avremo fatto la parte che ci è stata affidata in tale progetto (o avremo definitivamente deciso il rifiuto). Secondo questa ottica, umanamente rimane un vuoto incolmabile, ma cristianamente abbiamo un aiuto  insostituibile da chi “ci ha preceduto nel segno della fede e dorme il sonno della pace”.

Dal suo arrivo a Bagnoli si sono succedute sei diverse amministrazioni. Com’è stato il suo rapporto con ognuna di esse?

Ho avuto con tutte un buon rapporto, vissuto nel rispetto dei ruoli e secondo le indicazioni dei Pastori ai quali ho fatto sempre riferimento. Veramente nelle due feste dell’Immacolata, e poi anche di San Lorenzo, sentivo la presenza del Sindaco e del Parroco nella chiesa come le due facce della stessa medaglia, le  componenti civile e cristiana dell’unica realtà che è la Comunità di Bagnoli Irpino. Ognuno nel suo ruolo è chiamato a servirla e per essa bisogna spendersi per costruirla, cosa che non riesce senza sacrificio e abnegazione. 

Dal suo osservatorio come è cambiato il paese in questi ultimi vent’anni e come vede le forti attuali contrapposizioni e le inevitabili lacerazione del tessuto sociale? 

Il mio è un osservatorio particolare, non posso che osservare la realtà da un punto di vista umano, sociale e cristiano nello stesso tempo. Certi fatti avvenuti denotano una scarsità di valori sia per chi li ha compiuti e sia per chi, sogghignando, ci ha sguazzato dentro. Le contrapposizioni sociali esistono perché si guarda l’interlocutore non come “altro” da me e come un altro “io”  libero e pensante anche in modo differente, ma come un nemico o persona da trattare come tale. Alla base delle lacerazioni sociali penso ci sia proprio la mancanza di valori, che se non sono coltivati umanamente e cristianamente tendono a scomparire e falsano anche una “devozione” che pure si afferma di avere e praticare. È fondamentale la coerenza, difficile, tra principi e vita vissuta.

La nostra associazione, PT39, è stata spesso al centro di polemiche anche aspre, motivo di divisione e litigi. Eppure il nostro intendimento sin dall’inizio, e lo è tuttora, è sempre stato quello di favorire una crescita culturale e una maggiore coesione sociale, attraverso il confronto dialettico e la disamina approfondita dei problemi che attanagliano piccole comunità come la nostra. Lei che idea si è fatto sulle iniziative e attività che finora ha realizzato l’associazione?

Quando il confronto dialettico scade di tono e diventa scontro qualcosa non funzione. Ciò che ho detto prima è talmente vero che ogni frase detta o parola pronunciata viene pesata col “bilancino” per farne un uso strumentale in senso negativo. Se io nel confrontarmi con l’altro “devo stare in guardia” per ciò che dico o sento dire, non è possibile nessun confronto di idee, ma tutto diventa oggetto di scontro. Per fortuna non è tutto così, c’è tanto bene nella comunità e come sempre succede in questi casi, “il bene non fa rumore”, ma lavora nel silenzio, pensa a “seminare e coltivare il terreno”. Posso affermare con sicurezza di farne parte insieme a tante persone di buona volontà. Questo mi fa ben sperare e intravvedere un futuro migliore. Per quanto riguarda le iniziative e attività dell’Associazione, plaudo e condivido. Sbaglia chi si oppone alle iniziative volte al bene comunitario. Il bene comune, dove come e quando venga fatto, non divide ma unisce. Se ciò non succede, bisogna andare a vedere dove fa acqua il “discorso”.

La redazione di PT39

(da Fuori dalla Rete, Marzo 2021, anno XV, n. 1)


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