Nicola Vella, intellettuale isolato, eroico poeta antifascista

di Paolo Saggese

Nicola Vella nasceva 120 anni fa a Monteverde. Oggi pochi lo ricordano. E pubblicò un’opera di poesia notevole giusto 80 anni fa, “La barricata ideale”. Sarebbe bello ripubblicarla, come omaggio a questo intellettuale isolato. Ma chi era Nicola Vella?

Nicola Vella (Monteverde, 1901- Napoli, 1984), poeta, scrittore, giornalista, uomo politico, era soprattutto un intellettuale isolato, una sorta di “esiliato in patria”, che, alla stregua di Guido Dorso, con l’avvento del fascismo, fu costretto ad esercitare una professione, quella dell’avvocato, che non amava, e per la quale non si sentiva ‘tagliato’. Avrebbe preferito piuttosto la carriera di giornalista, ma dovette abbandonare questo suo sogno, perché non volle iscriversi al partito fascista. E così, dopo le prime collaborazioni con il “Corriere dell’Irpinia” quando il giornale era diretto da Guido Dorso, preferì un esilio volontario a Monteverde e poi a Lacedonia. Ecco, già questa prova di straordinaria dignità, coraggio e coerenza, potrebbero fare di Nicola Vella un simbolo e un esempio, almeno per quegli idealisti che ancora vivono su queste terre. Del resto, anche durante il fascismo, in Irpinia e in Italia, vi furono pochi idealisti, che preferirono rinunciare a carriere politiche e intellettuali per conservare la loro dignità e le loro idee. Ma quanti ad esempio professori universitari o quanti scienziati tutt’ora rinomati non furono in grado di fare altrettanto! Del resto, di sé ebbe a scrivere nel 1975: “… Se fossi stato meno intransigente, meno coerente, meno idealista, avrei posizione migliore. Ma non mi pento perché ho pensato e agito secondo i miei principi, le mie tendenze. Sono, perciò, sereno, soddisfatto. Non ho acquistato un gran nome; ma sono contento per essere riuscito ad onorare quello modesto che porto”.

Dopo il ventennio funesto, Vella condivise una nuova speranza, e fece affidamento nel Partito d’Azione per una rinascita reale, concreta del Sud. Questi anni di forte meridionalismo videro Vella accanto a Dorso, verso il quale l’intellettuale di Lacedonia nutriva solida stima, se non venerazione.

La liberazione, tuttavia, non segnò, nella sostanza, un grande cambiamento nel destino di Vella, che resterà sempre un personaggio scomodo, un intellettuale contro, che fu non a caso uno dei protagonisti nella gloriosa lotta per l’occupazione delle terre. Infatti, l’accanimento della Prefettura ed in particolare del famigerato maresciallo Berrino causò lo scioglimento del Consiglio comunale di Lacedonia, guidato da Vella. Sorte analoga, anzi ancora peggiore, toccò contemporaneamente ad un altro sindaco – poeta del Mezzogiorno, Rocco Scotellaro, che addirittura subì la vergogna del carcere ed un’analoga persecuzione politica.

E come Rocco, anche Nicola fu poeta. In effetti, giovanissimo, nel corso degli anni venti del Novecento, pubblicò due raccolte di poesie (“I canti del tormento”, 1923; “Parentesi”, 1926), cui fece seguito una terza nel 1941: “La barricata ideale”.

Particolarmente interessante è soprattutto quest’ultima raccolta, che fu censurata con l’accusa di disfattismo, mentre le reali ragioni erano di carattere più strettamente ideologico, in quanto alcune di quelle poesie testimoniavano la volontà politica di ‘non mollare’, come sottolineò lo stesso Vella: “Nel 1940 pubblicai “Barricata ideale”, raccolta di poesie. Fu sequestrata per l’eccessivo pessimismo della prefazione, secondo il decreto. Lo fu, invece, perché il titolo, alcune poesie e alcuni versi esprimevano la volontà di non mollare”. Ossia, il titolo tradiva un impegno, una volontà titanica, un’utopia.

Sul poeta Vella, è calata una dimenticanza tiepidamente contraddetta soltanto dalla meritoria antologia curata ormai più di trent’anni fa da Virgilio Casale (“Poeti irpini”, Napoli, 1974). Da segnalare è anche il recente e meritorio lavoro di Emilio De Lorenzo. Perciò, occorre, anche su questo aspetto, fare chiarezza, e collocare Vella nella produzione letteraria irpina del Novecento. Si può, al momento, solo premettere che, mentre la maggior parte dei poeti irpini ed italiani dell’epoca gonfiavano le gote nell’esaltazione della guerra, del duce, e dell’impero, e seguivano le facili mode del Futurismo, il poeta di Lacedonia si chinava con rispetto sulla pagina e cercava di immaginarsi un mondo nuovo, spinto ancora una volta da un desiderio di riscatto, da un’utopia propria soltanto degli spiriti superiori.

In una delle poesie edite da Virgilio Casale il poeta ripropone nuovamente un’immagine di se stesso, che richiama al lettore analoghe autorappresentazioni di Vella ma anche di altri intellettuali, a partire da Foscolo. Nel chinarsi dinanzi ad una fonte pura dell’Alta Irpinia, come dinanzi ad un santuario, egli esclama: “Prono il ginocchio sul muscoso sasso, / io bevo a giumellate: guardo e ascolto; / tu mi somigli; canti e non fai chiasso, / canti e scintilli sol sudato volto”.

Anche il poeta, dunque, ha percorso una vita ‘nascosta’ (un po’ come suggeriva l’epicureismo), necessariamente lontana dalla politica, ma una vita comunque faticosa. E continua: “Dopo tant’anni tu sei sempre quella: / unica voce viva nel silenzio / della contrada, chiacchierina e bella; / unica voce viva nel silenzio”. Dunque, anche il poeta è l’unica voce viva nel silenzio, ossia è l’unico che sia in grado, abbia il coraggio e la forza di levare un canto, un segnale, una voce, che non stia nel coro.  Ma dopo tanti anni di logorio, il poeta non ha più, comunque, la fiducia di una volta, ha subito violenze, fisiche e interiori, amarezze, dolori, e così conclude: “Io sono un altro: ho il cuore lacerato / dai rovi della vita, dal suo male; / ma oggi ancora, come nel passato, / amo la lotta, il sogno e l’ideale!”

Soprattutto il verso conclusivo è importante per comprendere il senso di sfida, che queste parole racchiudevano nei confronti della vigliacca, conformistica e interessata adesione al fascismo da parte della maggioranza.

In altre poesie, scopriamo un Vella diverso, intimo, legato ai suoi affetti familiari più autentici. Con straordinario amore descrive la “Materna attesa” del nascituro, comprende la gioia della madre, anzi “l’infinita / suprema gioia d’esser madre. Tanto / tu l’ami già e l’adori. E vibra in te / qualcosa d’evangelico, perché / ti rifiorisce in cuore il più bel canto”. Il padre, ossia il poeta stesso, resta estasiato da questa immagine: “Io pure l’amo. E, in questo amore puro, / m’è tanto caro contemplarti intenta / a preparare, libera e contenta / il corredino per il nascituro”.

Dunque, attraverso le poesie si scopre un Vella diverso, l’uomo più intimo, più sofferente e nascosto: anche nei suoi interventi politici traspare l’uomo con la sua profonda sensibilità, ma non l’uomo nei suoi affetti più intimi, che custodisce gelosamente. Ma, è chiaro, l’importanza della sua produzione poetica non risiede solo in questo: tale figura fuori dagli schemi arricchisce ulteriormente il panorama letterario irpino del Novecento, che lentamente, e anche in modo faticoso, sta emergendo dall’oblio da cui era avvolto.

Paolo Saggese

(da Fuori dalla Rete, Novembre 2021, anno XV, n. 5)

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