Lo starnuto

di Antonio Cella

Lo starnuto, di solito, è la manifestazione clinica più comune, conseguente ad infezione da rinovirus. Causa di tale disturbo sono, a volte, anche la congestione nasale e l’ipersensibilità delle mucose del naso all’azione di agenti esterni, quali: fumo, polvere e micro particelle derivanti da varie sostanze capaci di solleticare le cavità nasali come, ad esempio, quando si annusa il tabacco da fiuto, molto in voga ai tempi di Luigi XVI, presso la cui corte i dignitari dell’epoca ne facevano grande uso, mettendo in mostra con compiacimento, specie nelle serate di gala, artistiche tabacchiere d’oro e di argento, tempestate di pietre preziose.

Ma per Aniello de Santis, che viveva in un ambiente quasi asettico, lontano da polveri sottili e da fonti inquinanti, non c’era necessità alcuna di far ricorso al tabacco da fiuto per solleticare lo starnuto poiché, per i motivi che vi spiegherò di seguito, lui starnutiva soltanto in particolari momenti che mettevano a nudo desideri impellenti, bisogni di esistenza da soddisfare anche in presenza di amici o di persone estranee di un certo livello, sia all’aperto che in locali di ritrovo, dove solitamente la promiscuità di genere abbondava soprattutto nelle giornate festive.

Per lui, lo starnuto, rappresentava un rebus di difficile soluzione.

Possibile che, ogni qualvolta gli si avvicinassero un tantino più di tanto il debordante seno della signora Angelina o le vaporose natiche della comare Maria, cadeva quasi sempre vittima, a tradimento, di una crisi “starnutica” che lo debilitava oltremodo?

Non riusciva a trarne il giusto significato delle esternazioni nasali neppure dalle cognizioni di medicina di cui, nella giovane età, fu studente. Esse, verosimilmente, rappresentavano i sintomi di un disturbo (forse anche piacevole) di cui non ne conosceva appieno la causa pur sapendo, tuttavia, che nel momento in cui proiettava, sia pure distrattamente, lo sguardo su un corpo di donna, contestualmente prendeva inizio quel fastidiosissimo concerto nasale.

Starnuti da desiderio di orgasmo? Bah!

E, meditando, si chiedeva: <<L’orgasmo. La medicina ufficiale lo definisce fenomeno psicosensoriale in cui la contrazione ritmica della muscolatura pelvica è percepita come piacere. Bene. Ma il naso, che c’entra il naso con la muscolatura pelvica? Qual è il nesso che lega la muscolatura pelvica con quella nasale? Perché le stesse, pur avendo mansioni autonome, differenti, producono in me lo stesso effetto?>>.

E, ancora:

 <<Nel mio organismo c’è una confusione di ruoli. E’ come se sui polpastrelli delle dita ci fossero, con le cellule del tatto, anche le papille del gusto e dei sapori. L’effettore primario dell’orgasmo è, per quanto mi consta, il sistema nervoso parasimpatico (pare si chiami proprio così) che, con i suoi impulsi elettrici, apre le vene e le arterie dei corpi cavernosi, favorendo la genesi della libido. I miei starnuti quale legame hanno con la libido? Dovrò consultare un medico specialista>>.

La moglie di Aniello era molto amareggiata e arcistufa di ascoltare quella manfrina. Ogni starnuto del consorte fuori delle mura domestiche, le metteva addosso una tale ansia che, spesso, culminava in irrefrenabile gelosia.

Come si fa a non guardare il corpo di una bella donna?  Neppure un eunuco  rinuncerebbe al piacere di farlo. E San Cipriano, con misoginia, non si esime dal suggerire le precauzioni per l’uso di un bel corpo di femmina: “…E’ un diavolo grazioso, che fa entrare l’uomo nell’inferno per le porte del Paradiso”. 

 In casa, il problema non sussisteva poiché, Aniello, per fugare ogni tentazione, per captatio benevolentiae verso l’amata moglie (conquista della benevolenza), seguiva alla TV soltanto programmi sportivi, culturali e scientifici. La sua cultura, di conseguenza, si era abbastanza irrobustita. Sapeva tutto sull’accoppiamento delle lumache della Giamaica, sui denti conici dei feti delle balene e sulla parentela darwiniana tra l’uomo e gli animali inferiori anche se, in fondo in fondo, lui era un creazionista, e non riscontrava nell’evoluzione coincidenza alcuna con la parola di Dio: la Bibbia è sacra, non mente mai. Era, come si può intuire, un cattolico fervente e il darwinismo rappresentava per lui soltanto un espediente pseudoscientifico e pseudofilosofico, retaggio del colonialismo inglese del XIX secolo.

Sapeva tutto del mondo, delle numerose guerre che lo affliggevano e lo facevano sussultare. Seguiva i telegiornali nazionali e regionali e i talk show irradiati dalle reti Rai e Mediaset; seguiva le trasmissioni “innocue” di Santoro e di Piero Angela ed evitava volutamente gli interventi di Marco Travaglio, che considerava personaggio provocatore e volgare. Non sapeva, o non voleva sapere, perché mai lo starnuto lo aggredisse quando nello zapping televisivo s’interfacciava con un corpo seminudo di qualche attricetta in cerca di visibilità e, per non dispiacere col rumore del naso la donna della sua vita, faceva tutto il possibile per rimuovere, con cosciente mistificazione, ogni forma di erotismo. E quando cambiava canale, non lo faceva per ipocrita perbenismo, ma proprio per il rispetto dovuto a quella donna.

Pover’uomo e, soprattutto, povera donna poiché ogni qualvolta adempiva ai doveri coniugali doveva, volente o nolente, sorbirsi quell’antipatica colonna sonora che, onestamente, non era piacevole. Quel continuo etcì, etciù, era per lei un vero pugno allo stomaco e le procurava tanta rabbia, anche a causa delle continue interruzioni cui erano costretti ad osservare durante l’atto carnale.

Era un disturbo, quello del de Sanctis, che non poteva essere occultato in nessun modo. Non poteva, come dire?, racchiuderlo tra le mura domestiche (si sarebbe dovuto isolare dal resto del mondo?) né tantomeno poteva attutirlo o nasconderlo nelle pieghe della decenza, così come qualche volta capita di fare agli uomini.

Per gli estranei o, più propriamente, per quelli che non conoscevano la causa degli starnuti del nostro sfortunato Aniello, la cosa non destava stupore: poteva essere considerato un innocuo raffreddore da curare con aspirina. La cura, però, la conosceva molto bene la leggiadra consorte. Conoscitrice, altresì, di causa ed effetti del sonoro disturbo.

Una volta successe che, (si era ai primi mesi del loro matrimonio), mentre banchettavano allegramente in casa della comare Assunta, dove si erano radunati nell’orto della stessa per partecipare al pranzo nuziale del giovane Peppe amici e parenti arrivati da ogni dove, Aniello, improvvisamente, (e inaspettatamente da parte della moglie, che quel giorno non si vedeva affatto sexi a causa del castigatissimo vestito di lana che le fasciava il corpo dal collo alle caviglie) iniziò il suo concerto. <<E mò? si chiese la moglie, <<chi sta stuzzicando il desiderio sessuale del mio uomo? Il cosciotto d’agnello? Strano. Non per vantarmi, ma tra le donne presenti al banchetto non ce n’è una più bella di me che possa tentarlo. Eppure, la musica continua. Siamo al settimo, all’ottavo, al…par che si fermi…no…al nono, al decimo. Mio Dio, devo raddrizzare bene le antenne e captare al più presto la causa scatenate dell’attacco libidico del mio maschio>>.

A tavola, oltre alla sposa, che non ingenerava alcun sospetto per via della giovanissima età, sedeva Martina Nigro, donna sui cinquant’anni, secca come una scopa di saggina cui somigliava in modo impressionante, quasi completamente sdentata; Amalia Rullo, trentenne, mai toccata dal sex appeal, dalle unghie perennemente listate a lutto; Tittina Vivolo, grassa e grossa come un ippopotamo; Mariantonia Pallante, claudicante, dalle poppe enormi tant‘è che, in paese, veniva additata quale “quella che affronta le situazioni di petto”, quindi: Serafina Chieffo, Lucia Santorello, Gerardina Gargano e, a capo tavola, dall’altra parte dell’orto, Fuluccia Infante. Su quest’ultima, Cietta, (diminutivo di Lucietta), sia chiamava così la moglie di Aniello de Sanctis, appuntò il misuratore geiger. Effettivamente, Fuluccia era la meno vecchia tra le astanti. Aveva un corpo mica male, che ancora poteva attizzare il desiderio dei maschi. Ma, come poteva un uomo della classe di Aniello, che aveva studiato anatomia, non dimentichiamolo, andare in fibrillazione per un assemblaggio di pezzi umani mica tanto riuscito?

E, con riferimento al suo uomo, Cietta rimuginava: <<Non è certo un asino, che alla prima annusata di piscia d’asina, raglia!>>

Tuttavia, quel certo modo di Fuluccia di succhiare l’osso del pollo, che arrecava alla bionda peluria del carnoso labbro un accattivante luccichio e proiettava lo stesso in un febbrile, eccessivo, conturbante estetismo barocco, non piaceva alla sospettosa metà di Aniello de Sanctis. Essa, infatti, era convinta che proprio lì, in quella bocca, s’incavernasse l’epicentro del sisma sessuale del suo Lui. La donna, si sa, è una fucina intima di passione e furore.

<< Mia buona Fuluccia>>, le disse, sedendole accanto con misurata scaltrezza, <<Non vorrai mangiare, spero, anche l’osso di quel povero pennuto? Il pranzo nuziale è ancora giovane: ci sarà tanta di quella grazia di Dio da ingurgitare, da farti pentire di aver mangiato il primo piatto. Risparmiati, bellezza! E parlami di te, dei tuoi progetti futuri>>.  

E Fuluccia:

<<Cosa vuoi che ti dica, Cietta mia. Mio marito viene sempre più di rado dalla Germania, e i miei progetti riguardano più il presente che il futuro. Essi sono rivolti alla soluzione quotidiana delle problematiche che assillano l’esistenza grigia di una donna sola: i figli, la scuola, il raccolto, il maiale, l’inverno, il letto di ghiaccio sotto montagne di coperte e il canto del gallo, che mi colpisce le viscere, e mi fa sentire offesa, avvilita di essere nata femmina>>.

<<Non ti deprimere>>, riprendeva Cietta, <<Tutto si sistemerà, vedrai. Quanto prima ritornerà il tuo uomo. Sei ancora bella e fresca (un complimento, pensò, può dar la ricarica alla vanità femminile). Richiamalo nel tuo letto, cosa aspetti?>>.

Cietta era perfettamente conscia che l’amore altrui, quando si è in difficoltà, riscaldi il cuore. Aniello, intanto, non starnutiva più. Aveva vinto lei. Era il momento buono per riportarselo a casa.

<<E, una volta a letto, se non starnutisci saranno cazzi tuoi!>>, gli disse con enfasi lungo la strada del ritorno.

Un giorno, però, Aniello si ammalò realmente. Il naso gli colava copiosamente. E si sentiva gli occhi bruciare e le braccia e le gambe dolenti. Quel giorno non aveva voglia di uscire di casa, ma fu obbligato  dalla moglie a farlo. Doveva andare necessariamente in montagna a raccogliere, nello stazzo, un po’ di stallatico di pecora per la concimazione del terriccio dei gerani dei balconi. Salì sulla vecchia cinquecento e, senza tanti riguardi per l’influenza incipiente, con i finestrini aperti che immettevano nell’abitacolo una gran quantità di aria umida, che certamente non gli giovava, si diresse lungo la strada che portava sull’altopiano Laceno. E, pensando alla sua Cietta, si chiedeva:

<<La donna, caratterialmente, è più forte dell’uomo per tanti motivi. E’ più longeva, lo dicono anche le statistiche, e ottiene quasi sempre dagli uomini tutto quanto agli uomini stessi è sempre negato. Ed è capace di schiavizzare anche i più duri. Essa simboleggia la supremazia del potere, in senso lato, sulla fragilità fallica>>.

Fragilità fallica, ricorrente negli slogans femministi, riconducibili alla sessualità: pensiero fisso, imprescindibile, del maschio de Sanctis.

Giunto all’altezza del primo belvedere della strada che conduce al pianoro, subito dopo la grande curva che, uber alles (‘ncoppa a tutto, come dicono a Napoli) fa apparire minuscole le case del paese e rimpicciolisce la guglia silente del campanile del convento di San Francesco a Folloni, intravide, ad un tratto, una pattuglia dei carabinieri in servizio d’ordinanza. Avrebbe preferito, ovviamente, non essere fermato da quegli uomini in divisa nera e casco rigato che gli rimembravano le famigerate SS, anche se non aveva motivi per temerli: patente e documenti di bordo erano in perfetto ordine.

Gli agenti erano due. Uno alto, magro, austero come un hildago uscito da un dipinto di El Greco; l’altro, di media statura, dallo stomaco prominente e la fronte solcata da profonde rughe, con ai lati della bocca due profondi solchi a mo’ di parentesi tonde, che sostenevano e incorniciavano sulle labbra carnose nutritissimi baffi castano-bruno. La presenza di quegli uomini a pochi metri dall’auto di Aniello fu, evidentemente, causa di emotività, tanto da causargli una sequela di starnuti (in assenza di femmine, questa volta).

<<Maledetto raffreddore, non mi dà pace neppure in montagna!>>

Non finì neppure di completare il monologo che, incidentalmente, incurante del disco rosso che l’agente gli parava sul viso, l’auto urtò violentemente la motocicletta dell’agente, facendola rotolare giù per la scarpata.

<<Perdio! E’ orbo per caso? Patente e libretto, prego. La metterò sul lastrico! Quella moto vale una fortuna>>.

E, Aniello, tremante, col moccio che gli colava fin sul mento:

<<Non è stata colpa mia, mi perdoni. Lei non ci crederà, ma stavo giusto frenando la corsa quando sono stato scosso da un violentissimo starnuto. Poteva succedere di peggio. Potevo addirittura investire lei. Perciò, ringrazi Iddio. Sfido chiunque a restare con gli occhi aperti quando…etcì!…si starnutisce>>.

<<Ah, sì! Dovrei pure ringraziare Dio di non essere stato investito da un deficiente come lei? Lei è un pericolo pubblico! Le ritiro libretto e patente>>.

E Aniello:

<<Ma comandante, vede…>>

E il baffuto:

<<Non sono comandante, sono un semplice appuntato, e lei lo sa bene. Non cerchi di circuirmi. Le conviene di non parlare tanto con me. Il silenzio, in certi casi, è la migliore medicina; evita, a volte, di aggravare la situazione>>.

E Aniello:

<<Certamente. Il silenzio, in talune circostanze, è cosa santa. Lo dice pure Wittgenstein. Ma io non posso tacere!>>.

E l’agente:

<<A me il parere dell’invocato “Vincester”, non mi importa un cavolo. Lei ha commesso un reato grave, questo non lo può negare. Perciò, rinfoderi la lingua e si prepari all’inevitabile>>

E Aniello, di rimando:

<<Dovrà spiegarmi cosa intenda per inevitabile. Io non mi arrendo di fronte all’assurdo, all’incomprensibile, all’irrazionale. Lo starnuto, per un attimo, mi ha chiuso gli occhi, mi ha scosso tutto, evitandomi anche di fermare l’auto nel momento giusto. Deve convenire, quindi, che da parte mia non c’è stata intenzionalità di investire la moto. La prego, comandante, sia indulgente>>

<<L’art…etc…etc…del Codice della Strada punisce con l’ammenda di euro…etc…etc… e col ritiro della patente coloro i quali etc…etc…>>.

E Aniello, con evidente insofferenza:

<<Ah! Le leggi, le leggi. Sì. Sono una cosa buona, specie quando si applicano correttamente nei confronti di chi non le rispetti. Esse, però, si sa, comminano pene in direzione dei più deboli e non verso coloro che appartengono ad una determinata categoria di privilegiati, facendone “usum delphini

E l’agente: << Che cazzo c’entrano, mo’, i delfini. Lei parla troppo!>>

E Aniello: <<Ognuno ha diritto di esprimere la propria opinione>>.

<<Ma quelli che non sono opinabili>> rispose l’agente <<sono i fatti. E lei, egregio signore, si trova di fronte ad un fatto gravissimo>>

<<Sono perfettamente conscio della…etcì!…gravità del…etciù!…>>

A questo punto interviene l’altro agente, quello stilizzato:

<<Suvvia, collega. Chiudiamo il caso. A me pare una persona sincera>>.

 Aniello de Sanctis se la cavò bene. Pagò i danni causati alla motocicletta e una multa di cinquanta euro.

Era proprio vero, povero Aniello. Lo starnuto, sia esso di natura influenzale sia esso di natura erotica, era sempre causa, per lui, di una infinità di guai.

Antonio Cella

∗ Racconto tratto dal romanzo Cronache di Poveri Cristi  

 

 

 

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