Areale seggiovie, Il luogo dove gli uomini hanno anticipato il lavoro sporco del virus

di Michele Cetta

Impressioni di settembre.

L’altopiano del Laceno mi ha accolto un giovedì mattina di settembre con la luce ed il calore ancora rimasti dopo la fine dell’estate, con i lunghi silenzi che anticipano l’autunno e con tutti i suoi buoni frutti della terra.

Per lunghe ore ho calpestato i suoi prati, volgendo di continuo lo sguardo all’indietro per accertarmi che rimanessero impresse le mie orme, perché quando si attraversano luoghi meravigliosi bisogna lasciare sempre i segni lievi del proprio passaggio.

E passo dopo passo ho respirato quella antica armonia che nasce tra gli uomini e il paesaggio, perché l’altopiano del Laceno è il più grande santuario a cielo aperto della Campania, con i suoi alberi imponenti che ne disegnano le volte e lasciano passare i raggi del sole come le vetrate sulle navate di una chiesa; con le luci che si alternano alle ombre disperse per caso e che ti accompagnano fin sull’altare dove si è compiuto l’ultimo sacrificio sotto una grande ruota di acciaio arrugginito.

Un luogo triste, come una fabbrica dismessa o una stazione dove non passano più i treni; come una Pompei a metà, quella di una volta e quella che sarebbe stata.

Il solo luogo in Italia dove gli uomini hanno anticipato il lavoro sporco del virus, chiudendo tutto per lunghi anni e lasciando sul volto di chi è rimasto i segni della rassegnazione, profondi come un insulto.

Su questi pensieri è calata la sera, accompagnata dal suono dei campanacci delle mandrie che annunciava l’ora della preghiera e per un momento mi è sembrato di sentire il profumo inebriante dell’incenso.

Michele Cetta


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