La filosofia di Ghost in the Shell

di Martin Di Lucia

Al momento dell’uscita del suo film “Ghost in the Shell” (1995) il regista Mamoru Oshii dichiarò: “È una storia su un mondo futuristico, che porta con sé un messaggio immediato per il nostro mondo attuale”. A distanza di quasi 30 anni, questo classico del Cyberpunk resta profetico e rilevante più che mai; anzi, sembra che le decadi lo abbiano reso ancor meno facilmente definibile. Il suo messaggio si è oltremodo radicalizzato, evocando innumerevoli analisi da parte di fan, critici e accademici. Le discussioni innescate da quest’opera sulla corruzione governativa, le metropoli moderne, la coscienza dell’intelligenza artificiale e su cosa significhi essere umani, hanno in gran parte gettato le basi del Cyberpunk post anni ‘80, le cui influenze permeano tutte le opere che l’hanno succeduto.

L’anno è il 2029 e il mondo è invaso dagli apporti cibernetici delle megalopoli e dalla conseguente dipendenza tecnologica dell’umanità. Protagonista è il maggiore donna Motoko Kusanagi, un’agente federale cyborg che lavora per la Sezione 9 di Tokyo, incaricata di rintracciare il Burattinaio, un AI canaglia che hackera le menti degli ibridi umani-cyborg. Nel corso delle indagini finisce per imbattersi in individui hackerati, persone la cui mente (Ghost) è stata violata dal Burattinaio. Ben presto si scopre che il Burattinaio è stato creato da un’organizzazione federale segreta, la Sezione 6, come strumento per hackerare e impiantare idee nella mente di organizzazioni e figure politiche di alto rilievo. Il Burattinaio, sfuggito al loro controllo, ha sviluppato spontaneamente un’autocoscienza, disperdendosi nella rete, il mondo del web dove tutto è interconnesso. La Sezione 6 riesce infine ad attirare il Burattinaio in un corpo cibernetico che fa da guscio (Shell), intrappolandolo in uno spazio fisico, tagliandolo quindi fuori dalla rete. Ma il corpo si attiva spontaneamente, dichiarando di essere un essere senziente e cosciente. Poco dopo, il corpo contenente il Burattinaio viene rubato. Kusanagi lo rintraccia, trovandosi di fronte ad una richiesta da parte del fuggitivo: la proposta di fondere il suo corpo con la mente del Burattinaio. L’intenzione del Burattinaio è, infatti, quella di voler esistere come forma di vita vera, in grado di riprodursi e morire. In cambio Kusanagi otterrà tutte le sue capacità, estendendo il suo corpo umano oltre i limiti fisici e nel regno della rete. Durante questo provocatorio monologo, i cecchini della Sezione 6 si avvicinano, intenzionati a distruggere definitivamente il Burattinaio, ma i due si fondono appena in tempo e Kusanagi si risveglia in una casa sicura, senza essere né Kusanagi né il Burattinaio, ma un essere completamente nuovo.

Ciò apre un interessante dibattito sulla dialettica di Hegel, che vede infatti due forze opposte combinarsi per creare un terzo oggetto, nuovo e potenziato. Il climax del film, con il Burattinaio senza corpo che si combina con il corpo fisico di Kusanagi, mette in atto questa esatta dialettica. A questo punto sorgono due quesiti:

  1.  Come ha fatto il Burattinaio a sviluppare una coscienza?
  2.  Perché vuole rinchiudersi nel corpo di Kusanagi, se è proprio attraverso un corpo fisico (in cui   era stato inizialmente intrappolato) che ha sperimentato le restrizioni e i limiti della fisicità?

La più grande complicazione della coscienza informatica, o di qualsiasi altra forma di coscienza, è l’argomento della Stanza Cinese. Questo argomento afferma che non si può dimostrare che un computer che esegue un programma abbia una comprensione mentale o una coscienza.

Due grandi distinzioni vengono fatte per classificare le AI: le AI forti e le AI deboli, entrambe articolate da John Searle. L’AI debole è facilmente identificabile come non cosciente, in quanto sembra solo simulare la coscienza. Attualmente esistono molte forme di AI debole, solitamente utilizzate per l’esecuzione di compiti specifici e particolari. L’AI forte, invece, è molto più complessa e va oltre la simulazione, diventando una mente pari a quella umana. Di conseguenza, facilita ma non rende necessaria la coscienza.

Il Burattinaio appare fin da subito come una forma di AI forte, il cui comportamento è abbastanza indistinguibile da quello della coscienza umana. Tuttavia, la situazione diventa più ambigua se consideriamo che il Burattinaio continua ad hackerare le menti degli individui per manipolarli, proprio il compito per cui era stato inizialmente creato in segreto dal governo. Quando il Burattinaio dice di aver “preso coscienza di sé”, non è forse ciò che direbbe qualcosa che non è cosciente di sé? In verità, definire se il Burattinaio sia o meno una forma di coscienza resta molto più complesso di quanto il film lasci intendere. Ma, d’altra parte, Scienza e Filosofia hanno ancora difficoltà nel definire e identificare la vera coscienza. Il Burattinaio pone la questione direttamente a Kusanagi, chiedendole: “Puoi offrirmi prova della tua esistenza, se né la scienza moderna né la filosofia sono in grado di spiegare cosa sia la vita?”.

A ciò seguirebbe un’altra domanda: È importante definire qualcosa come cosciente o meno? Kathleen V. Wilkes si è posta questo quesito nel 1984, mettendo in dubbio l’utilità stessa della coscienza. Dopo tutto, in Ghosts in the Shell, Kusanagi da la caccia al Burattinaio che terrorizza menti umane e crea scompiglio nel mondo fisico. È perciò rilevante se il Burattinaio sia cosciente o meno? Ciò che conta è l’azione che viene commessa e la risposta necessaria ad essa. Così, invece di esplorare esplicitamente se la coscienza sia possibile, Ghost in the Shell pone la questione se la funzione di un corpo sia necessario per la vita, e in qualche modo suggerisce che la risposta sia Sì. Fino a questo momento il Burattinaio è esistito sia all’interno che all’esterno di corpi fisici; inizialmente libero di vagare nella rete e di hackerare le menti, e quindi di controllare i corpi di individui cibernetici. Ma nel momento della sua cattura viene limitato in un guscio, incapace di andare oltre i confini del corpo assegnatogli, sperimentando una prospettiva puramente umana. Dopo aver sperimentato sia la libertà sensoriale (priva di corpo fisico) che le restrizioni all’interno dei confini di uno spazio fisico (corpo cibernetico), il Burattinaio esprime il desiderio di fondersi con Kusanagi, per ritrovarsi ancora una volta all’interno di un corpo fisico del tutto fallibile, per poter essere più vicino alla vita. Il Burattinaio desidera un corpo e chiede al cyborg Kusanagi di diventare quel corpo, la perfetta armonia tra AI e umano. Kusanagi accetta poiché anche lei si sente confinata dal suo corpo, e l’accoppiamento con il Burattinaio rappresenta un modo per trascendere tali limiti. Entrambi desiderano più di quanto le loro forme possano fornire loro. Kusanagi trascende quindi l’umanità, diventando un postumano. Un postumano è letteralmente un’entità che esiste in uno stato che va oltre l’umano. Sebbene esistano molte versioni speculative di questi esseri, da esempi evolutivi a miglioramenti tecnologici, Kusanagi va oltre, diventando una sorta di dio, con la ritrovata capacità di attraversare esistenze multiple, sia digitali che fisiche. Un postumano di questo tipo solleva una serie di questioni. La società contemporanea è costruita sul dominio antropocentrico, suggerendo che gli esseri umani siano il centro del mondo, se non dell’intero universo. Ma nel momento in cui sorge un post-umano, gli esseri umani vengono spostati in basso. Cos’è un umano di fronte a un post-umano? Come umani facciamo una netta distinzione tra uomini e animali, quindi perché un post-umano non dovrebbe fare altrettanto?

La sequenza finale, con la resa dei conti tra Kusanagi e il Burattinaio, si svolge in un museo di storia naturale. Mentre i due giacciono danneggiati e parlano di fondersi in un unico essere post-umano, è inquadrato un albero evolutivo, cancellato dagli spari durante il combattimento.

Quando si fondono, entrambi inaugurano una forma di evoluzione completamente nuova che va contro tutta l’umanità precedente. Mediata dalla tecnologia, questa evoluzione va oltre i confini della biologia e della storia naturale, riscrivendo le regole del futuro dell’umanità.

Nel film quasi tutti gli esseri umani risultano già fusi parzialmente con le macchine: Kusanagi e il suo partner Batou sono dei cyborg, e anche gli individui comuni dispongono di impianti cibernetici, che appunto permettono al Burattinaio di infiltrarsi nei loro cervelli e prendere il controllo dei loro corpi. Questa fase rappresenta il livello intermedio, quella dei trans-umani: esseri umani che hanno poteri e abilità superiori grazie agli apporti tecnologici. Questi miglioramenti vengono trattati con totale ambivalenza, non sono mai del tutto glorificati, né disapprovati. Infatti, l’intero film si colloca in una zona grigia morale. L’abbraccio totale della tecnologia sta portando l’umanità a un livello superiore o la sta condannando a essere messa da parte come semplici animali? Kusanagi non ha risposte. Il film non ha risposte. Ma questa ambivalenza e confusione crea qualcosa di molto più prezioso di una risposta. Crea un vero e proprio dibattito. Ci chiede: Cos’è la coscienza? Cos’è un corpo? Cos’è digitale? Cos’è fisico? Possono le due cose intrecciarsi? E, soprattutto: Il futuro digitale che ci attende è buono o cattivo? Questo resta uno dei fini migliori dell’arte: Formulare grandi domande cui nessuno può rispondere. Sondare i limiti della nostra attuale conoscenza umana e invogliarci a spingerci oltre, senza suggerire una particolare strada da percorrere. È proprio questo che rende Ghost in the Shell un film così rilevante ancora oggi, a 30 anni di distanza. Non glorifica un futuro potenziale, né lo condanna, ma ci apre gli occhi sulle possibilità, i problemi e gli interrogativi della fusione tra biologia e tecnologia. Ed è un futuro che sta arrivando.

Martin Di Lucia

(da Fuori dalla Rete Dicembre 2023, anno XVII, n. 3)

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