Novantacinqe anni fa la sentenza sull’omicidio del bagnolese Luciano Autilio

di Antonio Camuso

Un dramma agro-pastorale sui sentieri della transumanza.


Durante la fase di catalogazione dei giornali d’epoca, che costituiscono il fondo Irpinia conservato presso l’Archivio Storico Benedetto Petrone e gestito dal sottoscritto, la mia attenzione è caduta su un piccolo articolo di cronaca giudiziaria, apparso sul Corriere dell’Irpinia dell’8 maggio 1926 e che attribuisco alla mano del redattore locale per le cronache di Bagnoli Irpino, il signor Capozzi.

Egli, in poche righe, riassumendo le fasi dell’omicidio di un pastore bagnolese Luciano Autilio, per mano di un vaccaro montellese istigato a sua volta da una donna, la suocera, avvenuto nel 1923, annunciava la condanna dei due rei a una dura pena da parte del tribunale di Melfi.

 Dai pochi particolari che si ricavano dalla lettura dell’articolo, emergono alcuni elementi molto interessanti e che ci trasportano in un mondo che in apparenza sembra a noi lontanissimo, umani dell’era del virtuale ipertecnologico e ostaggi delle sirene dei socialmedia, ma pur sempre attuale.

Dall’articolo in questione non emergono i motivi di tanto odio nei confrontoi del genero da parte della rea Vena Filomena, né quali fossero i rapporti tra i due condannati, ma colpisce la similitudine della vicenda di questa “coppia criminale” con quelle di cui si sono interessati in questi ultimi anni i media e dove ragazze o donne mature sono riuscite a spingere fidanzati, mariti o amanti a perpetrare atti criminali contro excompagni o persone contro cui si nutriva un rancore profondo.  Vivendo in un tempo in cui la parità formale della donna è sancita dalla Costituzione, oggi non si rimane stupiti se essa si affermi anche in queste forme deviate, ma che essa covasse un secolo fa, come lava ribollente di sotto a un vulcano apparentemente spento, in tempi in cui il ruolo femminile era relegato ai voleri del padre o del marito, questo caso è sicuramente rappresentativo.

I particolari di quello che oggi definiremmo un “barbaro omicidio” ci portano ad antiche ritualità e che lo storico ha il dovere di contestualizzare, altrimenti non si comprenderebbero i motivi dell’accanirsi con tanta ferocia contro il cadavere della vittima, uccisa prima da due colpi di pistola, staccandogli la testa a colpi di ascia. Oggi di fronte a un caso simile i talk show televisivi mobiliterebbero schiere di psichiatri e criminologi, mentre, poco meno di un secolo fa, questi gesti efferati si ritenevano legati a una cultura contadina che affondava le sue radici nel Medioevo e ampiamente presente nelle zone più “arretrate” del nostro Paese, e in particolare del nostro Meridione.

E’ in quest’ambiente socio-culturale che va letto l’uso dell’ascia, strumento di lavoro, ma anche di difesa /offesa del contadino/boscaiolo/pastore, da cui non se ne staccava mai. Nell’immaginario collettivo della società agro-pastorale dell’epoca, questo strumento eral’espressione ultima delle sentenze di morte emesse da re e signori medioevali e come tale il suo uso, con la decapitazione dell’avversario, aveva aspetti simbolici profondi, volendo affermare che nei confronti del malcapitato era stata emessa una condanna  a morte, giusta e inappellabile.

I Tratturi, le antiche vie erbose.

Il contesto in cui avvenne l’omicidio ci riporta ad altre tradizioni antichissime e che apparentemente sembrano ormai scomparse, ma che invece ancor oggi persistono se pur in forme diverse. Parliamo del fenomeno della transumanza, che ancora un secolo fa vedeva muoversi migliaia di pastori e mandriani al seguito di centianaia di migliaia di capi di bestiame per antichi percorsi, i tratturi, interessando cinque regioni (Abruzzo, Molise, Puglia, Campania e Lucania).

L’omicidio Autilio avvenne lungo il percorso che accomunava le ultime tre regioni, in quella “difesa erbivora Gaudianello in Lavello” e che per pastori e mandriani irpini era sulla via “delle Puglie”, e che si collegava al tratturo Melfi –Castellaneta lungo 142 Km, tra il piano delle Matine, la Murgia Petrosa, l’Altopiano Lavellese e l’Ofanto. Esso serviva al passaggio delle greggi che dalla valle dell’Ofanto da un lato e dal Metapontino dall’altro salivano ai monti occidentali della Basilicata e a quelli del Potentino.

L’acqua, elemento fondamentale per il pastore-mandriano transumante.

 La presenza d’importanti vie di acqua era fondamentale non solo per l’abbeveraggio del bestiame ma anche per operazioni fondamentali quali la tosatura delle pecore e della raccolta del vello che avveniva abitualmente durante il mese di aprile. Il bagno delle pecore era l’operazione con la quale si nettava la lordura della lana, facendole tuffare con salti di 4-6 palmi, uscendo dalla sponda opposta e ripetendo quest’operazione più volte. Passati otto o dieci giorni da questo bagno si procedeva alla tosatura.

La conoscenza dei percorsi delle vie di acqua e dei punti più impervi da evitare emerge tra le righe della cronaca del fatto, dove si spiegava come il cadavere del malcapitato bagnolese fosse stato nascosto dietro un folto cespuglio nei pressi del ruscello Lampagiano e solo a causa dei guaiti del fedele cane che lo aveva vegliato, aveva permesso la sua scoperta.

Il cane: l’eroe sconosciuto della transumanza.

Termino questo mio approfondimento dedicando queste ultime righe all’eroe dimenticato dell’epoca della transumanza, senza il quale pastori e mandriani non avrebbero potuto compiere viaggi di centinaia e migliaia di chilometri conducendo mandrie di 2000 animali al seguito: il cane.

Voglio ricordare come questi fedeli amici dell’uomo, anch’essi come i loro padroni, avevano dei ruoli ben stabiliti, divisi in cani conduttori e cani fiancheggiatori, con il compito di guidare, fiancheggiare il gregge, stimolare le pecore ritardatrici, recuperare quelle smarrite, vigilarle durante la notte contro ladri e male intenzionati e, come nel nostro caso, vegliare i loro padroni nell’ultimo rito funebre, lontani miglia e miglia dalle loro famiglie. Purtroppo nella moderna ricerca sull’epoca della transumanza essi sono degli illustri sconosciuti e di cui non se ne fa nessuna menzione. Erano solo cani.

La cronaca

Corriere dell’Irpinia, 8 maggio 1926

(Archivio Storico Benedetto Petrone, fondo Irpinia)

Il 10 maggio 1923 nella difesa erbifera « Gaudianiello » del Senatore Fortunato in Lavello, il vaccaio Gambone Raffaele di Montella a seguito di mandato avuto da Vena Filomena,  aggrediva proditoriamente il genero di costei, tal Luciano Autilio di anni 26 da Bagnoli Irpino.

Dopo avergli sparato quasi a bruciapelo due colpi di rivoltella gli vibrava tremendi colpi di scure che fracassavano il cranio e come ultimo colpo di grazia decapitava la vittima, staccandole quasi interamente la testa dal busto. Compiuta la strage, sollevava di peso il cadavere e lo nascondeva in un folto cespuglio sul ruscello « Lampagiano » dove fu rinvenuto l’indomani da un mandriano attratto dai guaiti del fido cagnolino dell’ucciso rimasto per 24 ore a guardia del cadavere.

Dal giorno 21 al 26 aprile dinanzi alla Corte di Assise straordinaria di Melfi presieduto dal presidente cav. uff. Cosentino e dal Cancelliere Bilancia, Procuratore Generale comm. Caruso; ha avuto luogo il dibattimento a carico degli imputati. Gambone Raffaele per omicidio premeditato in persona di Luciano Autilio e Vena Filomena imputata di correità per aver determinato il primo a commetterlo. La parte civile è stata rappresentata brillantemente dall’avv. Giovanni Lenzi da Bagnoli La difesa è stata rappresentata vigorosamente dal comm. Lancieri e on. Severini per Vena Filomena e dal Cav. D’Andrea pel Gambone, tutti del foro di Melfi.

Dopo di ciò i giurati hanno emesso verdetto affermativo sull’imputazione concedendo le attenuanti per cui il presidente ha condannato entrambi gli imputati a 30 anni di reclusione e 10 di vigilanza speciale, nonché ai danni verso la parte civile.

Rileviamo con sincero compiacimento il notevole successo riportato dal nostro concittadino aw. Lenzi, che seppe suscitare l’ammirazione e il plauso di magistrati e colleghi, nonché dell’imponente pubblico melfese che vivamente s’era appassionato all’impressionante dramma giudiziario.

Il valore del nostro amico pari alla sua modestia, gli riservano indubbiamente molte altre soddisfazioni e noi gliele auguriamo di cuore.

Antonio Camuso – Archivio Storico Benedetto Petrone

(da Fuori dalla Rete, Giugno 2021, anno XV, n. 3)

Potrebbe piacerti anche
Commenti

Ti invitiamo a reastare in tema, essere costruttivi ed usare un linguaggio decoroso. Palazzo Tenta 39 si riserva comunque il diritto di allontanare le persone non adatte a tenere un comportamento corretto e rispettoso verso gli altri.