«Aree interne campane sottorappresentate e senza opportunità. Serve candidare persone competenti, non bandiere»
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Bisognerà capire quando, nella prossima programmazione comunitaria a partire dal 2028, si investirà in modo mirato su aree interne, rurali e montane. Ma soprattutto come si riuscirà a mettere insieme le diverse strategie: la SNAI, quella delle green community, della montagna, dei GAL. Il tutto in un contesto particolarmente delicato, considerando che quest’anno sono sei le regioni chiamate al voto: Campania, Veneto, Toscana, Puglia, Marche e Valle d’Aosta.
Da questi interrogativi abbiamo aperto un confronto con Marco Bussone, dal 2018 presidente nazionale di UNCEM, l’Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani, che da settant’anni rappresenta gli Enti Locali.
Il punto di partenza è il PSNAI, il Piano Strategico Nazionale per le Aree Interne varato dal ministro per le Politiche di Coesione Tommaso Foti alla presenza anche di UNCEM e che ha fatto molto discutere: «Quella polemica, a mio avviso, è stata fuorviante: ha distratto l’attenzione da ragionamenti prioritari», spiega Bussone. «Il Ministero avrà tutto il nostro supporto, perché piuttosto che entrare in questa disputa preferiamo continuare a lavorare con tutto il governo e naturalmente con il Parlamento, per capire come destinare risorse e opportunità ai territori in vista della nuova programmazione».
Già nell’attuale programmazione il Fondo Sviluppo e Coesione dispone di molte risorse attivate: «C’è una grande opportunità da non perdere, e ci viene chiesto prima di tutto di capire quanto di queste risorse, non ancora spese, possiamo destinare per potenziare le strategie delle aree interne. Parliamo di 72 aree che, finora, hanno speso troppo poco. Su questo il ministro Foti ha ragione: personalmente sono amareggiato per i colli di bottiglia creati a livello nazionale, regionale e comunale, in cui questi progetti sono rimasti bloccati. Negli ultimi dieci anni la spesa è stata troppo bassa rispetto alle SNAI delle 72 aree. Per le nuove 43 spero che non si ripetano gli stessi errori, almeno in termini di ritardi, e che si riesca a misurare concretamente gli impatti. Per questo trovo quella polemica – scaturita da una frase del demografo Rosina – dannosa e, per certi versi, assurda. Parliamo di uno dei migliori demografi italiani, che ha scritto su un piano del governo al quale io stesso ho contribuito, insieme ad ANCI, UPI e alle altre organizzazioni che siedono nella cabina di regia sulle aree interne. Oggi la necessità è allocare correttamente le risorse e agevolarne l’utilizzo». Un esempio concreto arriva dalla Campania: «Quanto sta accadendo in questi giorni – guardiamo agli incendi sul Vesuvio e nel Vallo di Diano – è collegato al piano delle aree interne. Sono arrivati due milioni di euro per quattro aree interne, a seguito del decreto Vallo di Diano del 2021, con 500.000 euro per ciascuna. Stiamo facendo un report su come sono stati spesi: devo dire che si poteva fare meglio e che, al posto di acquistare pick-up, si potevano finanziare altre iniziative più utili, ad esempio avviare una pianificazione forestale che oggi manca e che rappresenta uno snodo fondamentale».
Tutto è collegato: ci sono diverse questioni che si susseguono e che andrebbero sfruttate una dopo l’altra: «Spesso, però, i territori sono un po’ distratti. E scaricare colpe sui demografi non aiuta a fare un vero ragionamento condiviso. Dobbiamo lavorare per unire e rafforzare le politiche territoriali attraverso i comuni più attivi ed efficienti, insieme alle comunità montane e alle unioni montane dove esistono. Non dobbiamo perderci in chiacchiere». Un obiettivo che si raggiunge attraverso la politica: «Questo significa avere istituzioni più forti. Penso, ad esempio, alle comunità montane in Campania, che fortunatamente esistono ancora e sono radicate. Questi temi devono entrare nel dibattito politico, anche nella prossima campagna elettorale regionale. Tra qualche mese si vota: spero che partiti e candidati li affrontino seriamente, dialogando con sindaci e comuni. Noi siamo già pronti con una piattaforma di proposte da presentare a tutti i candidati presidente e consigliere, attraverso una serie di incontri sui territori».
Tenere tutto insieme richiede una buona politica, ma anche capacità amministrativa: serve individuare dirigenti e funzionari preparati, capitale umano formato, una managerialità diffusa. «La politica deve dare gli indirizzi, ma se non cogliamo le opportunità disponibili, restiamo indietro. E questa vuole essere una richiesta di maggiore capacità. Le assunzioni per le regioni del Sud, quelle previste dal progetto CapCoe, sono arrivate: usiamole bene. Dobbiamo chiedere al governo ulteriori spazi assunzionali, ma anche condividerli tra comuni. Ogni comune li ha ma sono molto limitati, legati ai pensionamenti. Se li usa solo per sé, non servono a molto; se invece li condivide all’interno di una comunità montana, si possono assumere giovani brillanti capaci di coordinare tutte queste opportunità. Perché oggi succede che un giorno arriva un bando per la SNAI, il giorno dopo per la Green Community, quello dopo ancora per una comunità energetica. Se non vengono letti in una logica integrata – sia verticale, sia orizzontale – si rischia di disperdere energie. Con nuove forze, invece, è possibile fare una lettura più organica e misurare gli impatti: capire da dove si parte oggi, in termini sociali ed economici, e dove si arriva grazie a quegli investimenti e a quelle operazioni strategiche».
La prossima programmazione non deve essere un’occasione sprecata: «Siamo noi che dobbiamo unire le forze, superare i municipalismi, le piccole polemiche nei consigli comunali, le banalità, le beghe da cortile. Dobbiamo guardare a progetti più grandi e più ampi. Bisogna passare dall’”io” dei singoli comuni al “noi” dei comuni uniti, così da riuscire ad attrarre risorse. Allo stesso modo, dobbiamo presentarci compatti davanti al governo, ai parlamentari, alla Regione».
E visto che ci sarà una campagna elettorale, Bussone è chiaro: «Candidiamo le persone giuste. In Campania ci sono molti sindaci e amministratori di tutti gli schieramenti. Scegliamo quelli forti e preparati, non solo figure di bandiera. Non dovrebbe interessare un candidato solo perché rappresenta un simbolo o perché “porta presenze”: dovrebbe contare il suo essere una persona competente, con esperienza amministrativa, capace di rappresentare il territorio in Consiglio regionale. Altrimenti, territori come l’Irpinia o i Monti Picentini continueranno a essere sotto-rappresentati, e questo è un grande problema. In questi giorni si stanno definendo le liste: non conta solo il candidato presidente, ma anche i consiglieri. Bisogna cercare persone in grado di ottenere consenso reale, non solo qualche voto sparso. Sappiamo bene che i collegi sono disegnati in base alle concentrazioni di voti, e questo penalizza le aree di cui parliamo. Serve, quindi, che i territori siano capaci di esprimere figure adeguate, evitando di basarsi su un consenso effimero, e che i partiti facciano la loro parte, riconoscendo che la questione della rappresentanza è decisiva per tutto ciò di cui stiamo parlando».
Un pretesto importante per dire chiaramente quali sono le urgenze. La prima è rafforzare le aggregazioni: «Se ci sono nuove comunità montane, dobbiamo consolidarle, attribuendo loro nuove competenze e funzioni. E questo non deve avvenire solo per iniziativa della Regione: anche i comuni devono assegnare nuove competenze, capendo che lavorare insieme in una logica territoriale funzionale è parte di un disegno di lungo periodo e di crescita. Faccio un esempio: non ha senso che ogni comune gestisca in autonomia l’urbanistica e le pratiche edilizie. Si può fare un piano regolatore unico per una comunità montana: questo rafforza l’ente, permette di condividere gli spazi assunzionali e di assumere insieme nuove figure».
La seconda urgenza è usare meglio le risorse e le strategie disponibili, evitando polemiche inutili: «Le strategie ci sono: SNAI, green community, GAL, parchi, strategia per la montagna. Negli ultimi tre anni, dalla Rete dei Cammini e dalla strategia per la montagna, sono arrivati molti fondi da Roma. Io l’ho detto chiaramente: spendiamoli bene, senza banalità e senza inserirli nella spesa corrente per questioni assurde».
La terza è creare un rapporto efficace fra montagna e città: «Avellino, ad esempio, dovrebbe avere – come Benevento, Napoli o Salerno – una consulta stabile e permanente di raccordo tra città, provincia e comunità montane. Una consulta che si riunisce ogni mese e definisce i piani. Prendiamo l’Ufficio Europa per i progetti, dovrebbe operare a questa scala territoriale, con tutti i soggetti istituzionali coinvolti. I comuni sarebbero rappresentati nella comunità montana e la città diventerebbe una vera città “metro-montana”, dove l’urbano e il montano dialogano. Questo non vale solo per Avellino e Benevento, ma anche per Itria, Pinerolo, L’Aquila. Non basta dirci “siamo bravi come montagna”: dobbiamo stare in dialogo. E stare in dialogo significa rafforzare le relazioni, valorizzare i servizi ecosistemici che vengono erogati, come l’acqua che nasce dall’Appennino avellinese e scorre verso il Sele. Ma per portare questi temi sul tavolo serve un patto con le aree urbane».
Tutti temi che emergono anche all’interno del rapporto Montagne Italia, presentato da UNCEM anche ad Avellino, nella Sala Grasso della Provincia: «Abbiamo provato a descrivere i territori guardando non ai singoli comuni, ma ai comuni aggregati: comunità montane che mettono insieme realtà amministrative e dinamiche sociali. E abbiamo dimostrato che non è sempre vero che la crisi demografica sia così drammatica come viene raccontata. Ci sono nuovi flussi di persone che si trasferiscono in contesti montani e rurali, anche di fondo valle, provenendo da città come Napoli o Salerno. Non parliamo di aree urbane o periurbane, ma di territori che, dal 2019 al 2023, hanno registrato 100.000 nuovi ingressi nella montagna italiana. Questo rappresenta una grande opportunità, anche per il Mezzogiorno e non solo per le Alpi. È un tema importante perché aiuta a smontare le fake news e a superare il “tifo da stadio”. Fake news come quella sullo spopolamento, che molti usano quando non sanno cos’altro dire sul Mezzogiorno. E tifo da stadio come quello sulle frasi dette o meno in un piano: se fossero intelligenti o stupide».
«Noi abbiamo bisogno di osservare i fenomeni, leggerli, interpretarli, proporre al governo regionale e nazionale delle linee di lavoro. Dobbiamo arrabbiarci se queste non vengono seguite, ma allo stesso tempo essere capaci di costruire coesione e non divisione. Troppo spesso, invece, scarichiamo la responsabilità altrove e non riusciamo noi per primi a interpretare le sfide e le urgenze. Questo significa anche superare le fragilità del campanilismo. Il municipalismo è un problema serio, più grave di una frase mal scritta in un piano sulle aree interne o sullo spopolamento del Mezzogiorno. È un problema atavico, e dobbiamo affrontarlo anche culturalmente», conclude Bussone.
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