Il rispetto

di Antonio Cella

Paragonare Ciriaco De Mita a “un tappo”, capace di bloccare ogni tipo di programmazione, è una vera buffonata. Alla riunione del “progetto pilota” tenutasi a Nusco nella prima decade del mese di giugno, i 25 sindaci irpini presenti alla seduta, nel trattare l’argomento riconducibile all’assegnazione delle provvidenze finanziarie previste dal Recovery Fund per lo sviluppo delle aree interne dell’Irpinia, hanno imposto al “vecchio leone” di lasciare la presidenza dell’Assemblea.

Incredibile! È finito non solo il “politically correct” ma anche il rispetto per le persone di una certa età, principio base dell’educazione e dell’interazione tra giovani e anziani. 

Il vivere in una società che sopravvaluti la giovinezza ed emargini la vecchiaia non è affatto una novità. Capita, a volte, che la relazione tra generazioni diverse si indurisca e sfumi in divergenze d’opinione senza tuttavia scadere, degenerare, in attentati alla incolumità e alla dignità della persona umana.

Per tentare di allontanare l’ostacolo di cui sopra, nel 2017 le Nazioni Unite hanno elaborato un programma volto a “valorizzare il talento, il contributo e la partecipazione delle persone anziane nella società”. Così, nel mese di ottobre di ogni anno, si è iniziato a commemorare la “Giornata internazionale delle persone anziane”.

L’interazione tra le generazioni, porta grandi benefici sia ai nonni che ai nipoti. Un nonno attivo, che trascorre parte del suo tempo con i suoi nipoti e partecipa alla vita familiare, ai viaggi e ai festeggiamenti, sarà meno propenso a soffrire il peso degli anni per una lunga serie di motivi, tra cui: l’allontanamento dalla solitudine; il sentirsi parte integrante e membro attivo della società; la traslazione della  saggezza e dei consigli che spingono verso una convivenza sana e armoniosa; la consapevolezza di convivere con la  famiglia lontano dai maltrattamenti e dalle umiliazioni;  la serenità e, quindi, la repulsione psichica del senso di sacrificio e di resilienza assunti, nei tempi pregressi, quali condizione dello spirito. Comportamenti che non scivolano via dalla pelle dei ragazzi, ma restano chiusi nello scrigno della loro anima.

Nella nostra società, sempre più improntata all’individualismo e all’egoismo, il rispetto è un concetto sempre più difficile da accordare e ottenere, anche se non si può pretendere di essere rispettati se non si è disposti a riconoscere agli altri lo stesso rispetto che chiediamo a noi stessi. Il rispetto, dicevo, al di là del colore politico e delle diversità sociali delle persone (come nel caso di specie) è un valore assoluto, da cui scaturiscono le relazioni interpersonali e le basi di una convivenza senza conflitti.

Ritornando all’incipit, ovvero al titolo di questo mio parere, credo proprio che l’on. De Mita appartenga a quella categoria di anziani che non diventeranno mai vecchi. È nota a tutti la sua validità nel progettare e guidare con intraprendenza e lungimiranza operazioni complesse a favore della comunità, per cui, non si vede la necessità di chiamare in causa riferimenti anagrafici. E, anche se fosse: “Meglio un anziano intelligente che un giovane co***ne”, come asserisce un noto giornalista milanese, che ultimamente ha fatto arrabbiare “la gente del Sud” con le sue frecciate xenofobe. Mi auguro soltanto che tra gli anziani intelligenti il menzionato pennivendolo non includa anche la sua insignificanza cognitiva.

Conta l’età biologica, dunque, e non quella anagrafica.

Hanno tentato di sradicare la base di un “monumento” vivente (imitando gli atti vandalici commessi in America dai Blacks Lives Metter contro le statue di Cristoforo Colombo e di altri grandi uomini di cultura e di pensiero) che, a partire dal 1963, anno della prima elezione alla camera dei deputati, ha tenuto le redini politiche dell’intera nazione. Pensate, per sette lunghi anni è stato Segretario della Democrazia Cristiana, la tanto odiata “balena bianca”, il partito di Stato, delle correnti, dei dorotei, dei morotei, dei basisti, degli andreottiani, il partito in cui, a detta di Marco Damilano, c’era tutto e il contrario di tutto, in cui convivevano “la reazione e il progresso, l’onestà e la corruzione, la riforma agraria e la speculazione edilizia, la p2, il buon governo e il colera, la sanità e la mafia”, un catalogo travolgente di democristianerie assortite.

Ma, secondo De Mita, la D.C. era “…un partito articolato, ma unito. In cui la pluralità delle opinioni si misurava sull’intelligenza più che sulle ragioni di contrasto”. E Lui ha avuto terreno fertile per primeggiare, grazie appunto alla sua fervida intelligenza che, qualche lustro più tardi, per bocca di Gianni Agnelli, viene esaltata e fusa nella intellettualità della Magna Grecia. 

Nel lungo cursus politico l’on.le Presidente ha “graziato” migliaia di persone, alcune delle quali vere e proprie “zecche goduriose”. Ora mi chiedo: perché mai le prefate “zecche”, per evitare l’oscurantismo della loro pochezza, non hanno mai tentato di farlo fuori (con la matita copiativa, ovviamente) quando la mente eccelsa del figlio del “sarto” di un ignoto paese di provincia presiedeva il Consiglio dei Ministri? il Ministero dell’Industria? il Ministero degli Interventi Straordinari del Mezzogiorno d’Italia e, possibilmente, anche la gestione finanziaria della ricostruzione dei paesi distrutti dal terremoto dell’Irpinia nel novembre ’80? Erano troppo impegnati, forse, nella mietitura degli incarichi, confusi nella lunga fila di questuanti che, in ogni stagione, conduceva ai cancelli della villa di famiglia nella splendida Nusco, dove con irriverenza e, direi quasi, con fare iconoclasta, invocavano l’uomo più potente d’Italia con un accattivante, ridicolo, diminutivo: Ciriachino.

L’amicizia, per Lui, nella profondità della sua modestia, “…è sempre stata un dono e mai una convenienza”. E così, ininterrottamente, si è trasportato per quasi sessant’anni (la durata di circa tre generazioni: allucinante!) nella sua pesante armatura, fino ai giorni nostri.

Quanto ad Antonia, figlia prediletta, naturale custode del diario politico, umano, relazionale dell’intramontabile statista, di fronte a cotanto sgarbo non ha potuto esimersi dall’affrontare, col suo “carattere sulfureo” (del tipo: “quando ce vò, ce vò!”), il magma bollente fatto di accuse e di spregevoli malignità che dardeggiavano da bocche irrispettose. Ma le parole, le sole parole non bastano, a parer mio, per tacitare gli intenti di chi mira ad occupare postazioni importanti.

Pur nutrendo, io, una spiccata empatia verso l’on.le De Mita, non l’ho mai votato: sono di estrazione socialdemocratica, maturata tra gli strascichi del Partito d’Azione. Tuttavia, (nel mio piccolo), se potessi aiutarlo a superare questi momenti difficili, lo farei molto volentieri. 

Auguri.   

Antonio Cella


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