Pasquale servo-guardiano di porci a Bagnoli Irpino

di Antonio Camuso

La battaglia legale nel 1949, di un porcaro per ottenere giustizia.


Il ritrovamento casuale di un semplice appunto di un legale Bagnolese, pertinente ai dati del suo assistito e i motivi della richiesta di riconoscimento dei propri diritti di lavoratore e non di schiavo mi ha subito incuriosito. La data cui risaliva la vicenda era quella del 1949, ovvero l’immediato dopoguerra, quando in Italia si era dotata già da un anno della Costituzione, stella polare per ogni cittadino della Repubblica, ma, a quanto pare, a Bagnoli Irpino, c’era chi rimpiangeva il passato medioevale e il tempo in cui regnando i Cavaniglia, i servi della gleba si spaccavan la schiena nelle terre feudali.

E’ proprio ciò che trapela in un ingiallito foglietto ritrovato casualmente: nell’anno del Signore 1949, a Bagnoli Irpino, la sopraffazione e il ricatto più infame, quello fatto sulla fame, sembravano essere l’arma migliore per imporre rapporti a dir poco medioevali.

Non può rendere meno amara questa constatazione, il fatto che ciò si ripetesse anche in altri luoghi dell’Irpinia e del nostro Meridione. In una recente intervista fatta dal sottoscritto a Gabriele Mocciolella, di Montella, con un passato di minatore nella tragica miniera di Marcinelle, egli mi raccontava come a spingerlo ad emigrare era l’aver vissuto la stessa situazione che traspare in questo appunto legale ritrovato:”-Caro Tonino, era triste la vita per noi giovani disoccupati a Montella: si andava a garzoni presso qualche artigiano, per imparare un mestiere, senza retribuzione, o peggio a guardare porci, pecore e capre, per ricevere un po’ di formaggio, latte o un po’ di castagne o granturco, ma soldi nulla.”-

Della battaglia legale di Pasquale, guardiano di porci bagnolese voglio offrire ai lettori di Fuori della Rete una versione romanzata, rispettando l’anonimato, pur attenendomi strettamente al motivo del contendere tra il padrone dei porci e il servo-guardiano. P. Pasquale di Gaetano nato nel 1931, raggiunta l’età di 17 anni s’iscrisse all’ufficio di collocamento, illudendosi che con tale scelta, i suoi diritti di lavoratore sarebbero stati maggiormente rispettati. La sua era una famiglia poverissima e sin da bambino aveva contribuito con le sue braccia al magro bilancio familiare; per questo motivo, a stento era riuscito ad ottenere la licenza elementare e nel 1948 la sua prima occupazione “legale” fu quella di guardiano di porci.

Nell’antichità questa “professione” era assegnata ai reietti, agli schiavi, ai diseredati. Nel Vangelo i porci sono gli animali più “impuri” e tra i miracoli di Gesù è ricordata la liberazione degli indemonianti, trasferendo il diavolo nel corpo dei maiali che, impazziti, si uccisero in un burrone, tra lo sconcerto dei loro guardiani. Di questo non era a conoscenza il giovane Pasquale, com’è poco probabile che non avesse mai letto l’Odissea né conoscesse la storia di Eumeo, l’umile guardiano dei porci dell’isola di Itaca, rimasto fedele dopo venti anni a Ulisse e che al suo ritorno, in nome della giustizia, lo aiutò a far strage dei principi Proci che si erano accampati nella sua reggia e pretendevano alla mano di Penelope. Di questa storia che nobilitava questa professione, rendendo “divino”, l’umile porcaro Eumeo (così l’apppellò Ulisse in nome della sua bontà e dell’amore per la giustizia), non ne era a conoscenza neanche la madre, quando lei, con poche semplici parole d’incoraggiamento, salutò il figlio il giorno che iniziò quel lavoro lasciando la casa paterna. La loro era comunque una scelta obbligata: in casa c’erano altri cinque figli da sfamare, più piccoli di Pasquale e il padre, Gaetano, faticava dalla mattina alla sera per cercare di sfamarli, accettando qualunque lavoro, tagliando legna, facendo il bracciante, o aiutando i caprai e pecorai nei loro lavori stagionali. Pasquale inziò a lavorare guardando i porci di B. P. di Salvatore, detto “Lino” che teneva un casolare, nella parte bassa del territorio bagnolese, a poca distanza dal fiume Calore, al limite col territorio di Montella. Pasquale, che oggi ha 90 anni, se lo ricorda ancora quel primo giorno che andò a lavorare per padron “Lino”: era il febbraio del 1948, la neve sul Laceno era caduta quell’anno abbondante e quella fredda mattina, scendendo per la strada giù dal paese, sentiva lo scricchiolìo del ghiaccio sotto gli scarponi chiodati che il padre gli aveva regalato per il suo 17esimo compleanno. In un fagotto aveva la “cambiata”, ovvero i panni di ricambio per i prossimi 15 giorni, prima che lui potesse riceverne altri dalla famiglia e nella bisaccia aveva un ruoto di pane, del formaggio, un osso di prosciutto e dei pezzi di lardo essiccato. Questi ultimi sarebbero serviti per insaporire le verdure che avrebbe raccolto mentre pascolava i maiali. Il suo alloggio era una casupola, praticamente a stretto contatto con lo stazzo semicoperto dov’era la porcilaia. Una casupola che custodiva anche le pannocchie di granturco raccolte nel campo antistante, le cui foglie seccate sarebbero state il suo giaciglio, e che sarebbero state il suo alimento principale insieme a un po’ di castagne e patate, nel suo prossimo futuro. Fame, freddo, il puzzo dei maiali per lui divennero così familiari che alla fine non ne fece più caso. Fortunatamente la stagione primaverile si approssimava e grazie anche alla presenza di un paio di capre, dalle quali mungeva una ciotola di latte caldo, riuscì a sopravvivere all’inverno. “Pasqualino mio!- gli disse la mamma, quando lo vide per Pasqua – come sei fatto lungo e magro, come stai?”-

E Pasquale ingoiando le lacrime , le disse: ”- Bene mamma, il padrone mi ha detto che fra giorni andrò a lavorare alle Puglie , presso un suo amico che tiene una bella masseria!”-

Così Pasquale andò “sub-affittato” in Puglia, al seguito di alcuni caprai bagnolesi e le loro greggi che si recavano nei dintorni del Vulture, percorrendo i sentieri della transumanza e raggiungendo la masseria del signor V. che, per molti mesi, sarebbe stato il suo nuovo padrone. La masseria era veramente grande e il Massaro, aveva in uno stazzo parecchie scrofe con tanti porcellini appena nati, mentre poco distante vi erano i recinti che accoglievano i pastori transumanti con le loro greggi. Nelle belle giornate si andava verso il Vulture, tutti insieme e, mentre pecore e capre pascolavano, Pasquale ne approfittava per lavarsi nel fiume, tenendo d’occhio i maiali. Anche il padrone lo trattava bene, poiché quando i maiali erano rientrati nella porcilaia, la sera gli faceva trovare sempre una pietanza calda e i prodotti caseari dono dei pastori transumanti ospiti della masseria. Quell’enorme buco nero che il povero Pasquale aveva visto lievitare nel suo stomaco a Bagnoli Irpino, iniziò a ridimensionarsi e la fame passò in secondo ordine, dinanzi alla battaglia quotidiana da combattere contro mosche, tafani e animali vari, di tutte le Puglie, che sembravano, con il crescere del caldo, darsi appuntamento con i suoi porci.

Quando l’inverno si approssimò, buona parte dei maiali fu macellata e Pasquale dovette rientrare a Bagnoli. Salutandolo il signor V. lo elogiò, consegnandogli un pacco che, a suo dire, conteneva una lettera per il suo padrone “Lino” B. P. di Bagnoli, la percentuale a lui dovuta per l’affitto del guardiano dei porci e la ricompensa per il giovane ragazzo che si era comportato così bene. Parole che illusero un po’ il ragazzo che sperò di poter ricevere d’ora in poi un trattamento migliore dal suo padrone bagnolese.

Rimase perplesso quindi, quando consegnato il tutto a padron “Lino”, lo stesso gli rispose che la ricompensa come anche la paga a lui dovuta sarebbe giunta alla fine dell’anno di lavoro, poiché attendeva anche lui il pagamento da parte di alcuni salumieri napoletani per i maiali da lui macellati. Pazientemente il ragazzo attese il febbraio, ma da padron “Lino” ricevette solo l’ennesimo rinvio. A giugno di quel 1949, il ragazzo, spinto dalle insistenze del padre e dalle prese in giro da parte di alcuni giovani pecorai che gli insinuarono che il suo padrone non era nuovo a certi brutti scherzi, un bel giorno mollò i maiali e giunto in paese si presentò a casa del signor “Lino” richiedendo il suo compenso, oltre che quello che gli era stato promesso dal “padrone pugliese”.

Questi, dinanzi alle sue insistenze gli rispose che era uno scostumato, che aveva abbandonato i maiali da soli, col rischio che glieli rubavano, e lo licenziò all’istante. Alle rimostranze del giovane, il suo padrone gli mise in mano 500 lire e lo buttò fuori di casa, minacciandolo di denunciarlo ai carabinieri se a causa della sua mancata custodia dei porci, qualcuno di essi fosse mancato all’appello.

Quando le elezioni fanno bene alla giustizia

Il ragazzo si presentò in lacrime a casa raccontando tutta la vicenda. Conoscenti del padre consigliarono entrambi di rivolgersi all’avvocato P.C., impegnato in politica e che stava allargando il suo consenso elettorale, difendendo certe sopercherie. Era quello un momento molto vivace della vita politica bagnolese, dai frequenti colpi di scena e dove ogni occasione era buona per le parti in competizione per pugnalarsi a vicenda. A Bagnoli Irpino si avvicendavano dimissioni di sindaci, commissari prefettizi e annunci di nuove elezioni.

Per il servo-guardiano Pasquale, questa situazione si rivelò una vera e propria congiunzione astrale e l’equivalente di una vincita al lotto. L’avvocato, inviò una letterina al padrone-schiavista di Pasquale, gli ricordò che aveva numerosi testimoni che confermavano quanto afffermava il suo giovane assistito e che, oltre del mancato pagamento delle prestazioni del giovane, vi erano alcuni peccatucci di rilievo penale da lui commessi in questa vicenda, che gli sarebbero potuti costare ingenti somme di denaro per spese legali, nonchè qualche soggiorno nelle patrie galere. Lo schiavista si presentò, consigliato dal suo avvocato, pronto a più miti consigli e disse che c’era stato un equivoco, che lui si era lasciato prendere dalla collera ed era pronto a offrire al ragazzo mille lire per ognuno dei sedici mesi lavorativi, a Bagnoli e nelle Puglie.

Purtroppo per lui si trovò di fronte un avvocato implacabile, che conoscendo chi aveva di fronte gli fece pagare il doppio da lui offerto, ben 32mila lire, dalle quali detrasse una ricca parcella.

Fu così che il giovane porcaro Pasquale, novello Eumeo di un’Odissea bagnolese, combattendo in nome della giustizia al fianco di un Ulisse- avvocato, diede un’amara lezione a chi, in nome della prepotenza voleva dettar legge sui deboli e i buoni di spirito.

Antonio Camuso (Archivio Benedetto Petrone)

(da Fuori dalla Rete, Novembre 2021, anno XV, n. 5)


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