Cyberpunk 2021

di Martin Di Lucia

Si sente spesso dire che la realtà superi sempre la fantasia. Ma non sarebbe più corretto dire che è la fantascienza ad anticipare la realtà? Mark Zuckerberg ha appena cambiato il nome di Facebook (la compagnia, non il social network) in Meta, annunciando di voler creare un universo virtuale che, sfruttando la tecnologia dei visori VR, ci permetterà di lavorare, viaggiare ed incontrare persone senza muoverci di casa. Un “metaverso” appunto, che nel prossimo futuro dovrebbe sostituire l’internet come lo conosciamo.

La domanda che sorge spontanea ora è: Il metaverso concretizzerà l’incubo di Matrix, traghettando la distopia cyberpunk dei Wachowski da fantascienza a realtà, o sarà solo una versione più immersiva ed evoluta di mondi ludici virtuali già esistenti, come Second Life o Fortnite? L’era digitale e i social network ci hanno ormai intrappolati in una versione quasi reale di Matrix e reso quindi fertile il terreno per il prossimo inevitabile salto nel cyberspazio? Ma facciamo un salto indietro di una quarantina d’anni; ben prima di Matrix, film uscito nell’ormai preistorico 1999, ad inizio anni ‘80 iniziava già a prendere piede nell’immaginario di alcuni autori di fantascienza l’idea di una realtà virtuale parallela, se non proprio sostitutiva, a quella reale. Le opere “Neuromante” di William Gibson (padre del genere cyberpunk), “Snow Crash” di Neal Stephenson (coniatore del termine Metaverso), e il più recente “Ready Player One” di Ernest Cline, dipingono un futuro imperniato di intelligenza artificiale, di vita cibernetica e transumanesimo, con personaggi pescati dagli ultimi strati di una società distopica governata da conglomerati finanziari e multinazionali tecnologiche, in un mondo (reale) talmente mal ridotto da non valere più la pena di viverci. Il lettore di fine secolo veniva così trasportato in un modo futuristico, esagerato e terrificante, ricco di stranezze e cose orribili, ma il lettore del XXI secolo può scorgere tra quelle stesse pagine il futuro prossimo del mondo in cui vive, e non più in chiave futuristica, ma di impatto imminente, costringendolo a rivalutare ciò che sta accadendo.

Ma cos’è questo metaverso? L’autore sci-fi Neal Stephenson coniò questo termine nel suo romanzo Snow Crash, pubblicato nel 1992. Nel suo racconto il metaverso è la versione a realtà virtuale di Internet, un universo alternativo condiviso che utilizza elementi del mondo reale come strade, edifici, stanze e oggetti di uso quotidiano, in cui le persone si muovono tramite i loro avatar, rappresentazioni 3D che interagiscono con altre persone o entità. Non è un caso se il patron di Facebook imponga la lettura obbligatoria di questo testo ai quadri più alti della sua dirigenza.

Come abbiamo visto quindi, il concetto di mondo virtuale condiviso è in circolazione da decenni nell’ambiente accademico e scientifico e rappresenta un vero e proprio caposaldo della narrativa cyberpunk fin sin dagli anni ’80.

Oggi Mark Zuckerberg, elevandosi a pioniere del metaverso e sostenendolo pubblicamente con tanta veemenza, spera di diventarne una sorta di leader, o di messia se vogliamo. I social network come ora li conosciamo verranno presto sostituiti, proprio come Facebook ha sostituito MySpace, che a sua volta sostituì AOL; nessuna piattaforma social è mai riuscita a dominare la successiva; con questa mossa Facebook sembra voler essere la prima a dominare due generazioni di social network.

Centinaia di startup stanno lavorando duramente per costruire gli spazi virtuali del futuro, sviluppando visori e occhiali, grafica avanzata, strumenti di modellazione, strumenti di rete e altro ancora.

Anche Apple sembra impegnata in questa direzione, con la sostanziale differenza che essa vuole aggiungere, tramite la realtà aumentata, il virtuale all’universo reale; mentre Facebook vuole a tutti i costi un universo virtuale alternativo. In poche parole, sta sviluppando hardware e software per far si che le persone incontrino altre persone in un contesto virtuale, rappresentate da avatar che trasmettono le loro espressioni facciali e i movimenti del corpo in tempo reale. Lo scenario sembra quello di un videogioco sparatutto in prima persona. Ma mentre nei videogiochi facciamo da burattinai a dei burattini, nel metaverso ogni nostro movimento ed emozione sarà espressa dal nostro avatar. Tra un decennio la nostra vita e il nostro lavoro potrebbero essere profondamente trasformati, saltando tutto il giorno in spazi virtuali, possedendo oggetti virtuali, generando dati, contenuti e interazioni sociali basate unicamente su avatar che possono essere evocati istantaneamente attraverso dei visori.

In altre parole, la visione della realtà virtuale di Zuckerberg sembra l’incubo distopico descritto dagli scrittori di fantascienza: un incubo che sta già accadendo. Gli spazi virtuali saranno gli showroom del futuro, i centri commerciali, gli stadi e le fabbriche. La VR sarà utilizzata per la pubblicità e il marketing. I negozi venderanno oggetti e abbigliamento sia reali che virtuali. Alcune delle cose sopra citate stanno già accadendo, vedi la compravendita degli NFT – Non fungible tokens, oggetti ed opere puramente virtuali.

Come sottogenere di fantascienza, il cyberpunk si concentra su un futuro high-tech popolato da androidi, dove la modificazione transumana del corpo è all’ordine del giorno, la realtà virtuale è onnipresente in ogni sfaccettatura dell’esistenza umana e la linea tra il cyberspazio e lo spazio “reale” sempre più sfocata, in cui le persone trascorrono gran parte della loro vita in spazi virtuali. In Ready Player One di Ernest Cline (libro trasposto sul grande schermo da Steven Spielberg nel 2018), il metaverso chiamato OASIS è il luogo in cui le persone non solo giocano, ma vanno a scuola, lavorano e pagano le tasse, tanto che il mondo reale versa nello squallore e nell’abbandono. 

Quindi, se il metaverso di tutte le opere di finzione è sporco e cattivo, perché Zuckerberg pensa che il suo sarà buono? È forse il sogno di un nerd che vuole indossare un visore VR tutto il giorno, prendere la “pillola blu” e vivere in una Matrix, capitalizzando sulla spasmodica ricerca di fuga dalla realtà delle persone? La risposta è probabilmente si. Ma è quello che vorremo tutti noi? Vivere attraverso degli avatar come ne Il Mondo dei Replicanti, in cui le persone mandano nel mondo reale la propria copia in forma di androide? Io mi auguro vivamente di no, nonostante le basi perché questa distopia si avveri siano già state ampiamente gettate, con la dipendenza da social media e con tutti gli aspetti della vita oramai applicabili solo per via telematica.

Chiudo con una citazione del padre della fantascienza, Frank Herbert, autore di DUNE:

“Un tempo gli uomini delegarono il proprio pensiero alle macchine, nella speranza che esse li avrebbero liberati. Ma questo consentì ad altri uomini di servirsi delle macchine per renderli schiavi.”

Martin Di Lucia

(da Fuori dalla Rete, Novembre 2021, anno XV, n. 5)

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