Il regime del pensiero unico

di Martin Di Lucia

Uno dei fenomeni più rilevanti del nostro tempo è senza dubbio l’imponente e industriosa macchina del pensiero unico globalizzato, con i suoi committenti, architetti, sacerdoti e guardiani, i cui ingranaggi si muovono all’unisono per rendere prevedibili e direzionabili i comportamenti sociali nel mondo super-accelerato e conflittuale in cui viviamo. Il capitalismo finanziario globale, manovrando l’industria culturale e dell’intrattenimento di massa, che in buona parte possiede, è giunto a creare un’Ortodossia, un pensiero obbligato mainstream e politically correct che delegittima, isola, criminalizza, scomunica dalla società conformata il pensiero divergente e la libera indagine scientifica, economica e storiografica, per indirizzare, secondo i suoi piani, il percorso di trasformazione della società.  Ne sono esempi talune vicende storiche, certi aspetti dell’economia, l’integrazione europea, la moneta unica, l’immigrazione, l’islam, le diversità etniche, l’identità sessuale. Su queste cose sono stati costruiti “protected beliefs”, ovvero credenze protette; il dissenso rispetto all’ortodossia, e la stessa libera indagine scientifica e storica, vengono sanzionati con la delegittimazione morale, il boicottaggio della carriera, la discriminazione amministrativa, l’esclusione dai media, dall’insegnamento, dall’editoria, quando non anche da conseguenze penali. I dati di fatto della realtà empirica, di per se inopinabilim, che vanno in contrasto con l’ortodossia vengono taciuti all’opinione pubblica, soprattutto nei campi chiave per l’orientamento del pensiero e della sensibilità collettiva. Anche la ricerca scientifica ne risulta condizionata, limitata e incanalata attraverso il controllo finanziario della stampa specialistica, delle università, della ricerca e dell’editoria in genere. Si è venuta a formare una sostanziale limitazione della libertà di ricerca, di insegnamento, di informazione pubblica, così da prevenire gran parte del possibile dissenso. Tutti conveniamo che l’imposizione di un’ortodossia risulti pressoché incompatibile con la scienza, proprio perché la scienza procede per continua revisione, verificazione, falsificazione, ed è incompatibile con l’indiscutibilità.  L’ortodossia per definizione è atta a proteggere le credenze che sostengono posizioni di privilegio e sfruttamento, ed è oggi il sistema dominante; senza mezzi termini il capitalismo finanziario ha formato la propria ortodossia con i suoi guardiani. Così accade che posizioni politiche che contestano il progressivo trasferimento della ricchezza dalla classe dei lavoratori alla finanza improduttiva vengono etichettate come populiste o tacciate di estremismo. L’uomo contemporaneo non è per definizione una risorsa di ideali di giustizia, verità, libertà; pur di non guardare in faccia alla realtà e non doversi addossare responsabilità, sempre più persone stanno finendo con l’adottare credenze assurde, rinunciando alla libertà, arrivando anche a pagare, a stordirsi, a compiere cose degradanti, pur di rinunciare alle proprie libertà.  I cleri di molte civiltà si arricchivano e acquisivano potere facendo credere al popolo che per far sì che gli dei mandassero la pioggia e li proteggessero da pestilenze e carestie, bisognasse fare grandi donazioni ai templi e obbedire agli alti sacerdoti.  Oggi la credenza istituzionalizzata dell’indispensabilità per gli Stati di indebitarsi per finanziarsi svolge una funzione analoga. Il capitalismo finanziario, per realizzare se stesso e il proprio sistema di profitto, ha la necessità di farsi pensiero totalitario, quindi unico, ed eliminare ogni identità umana differenziale, ogni valore diverso da quelli di scambio, ogni vincolo morale, comunitario, etnico, culturale, spirituale, perché ostacolerebbero la onnimercificazione e l’ immediatezza del business, con la qualità riducibile alla quantità, e che tutto e tutti siano costantemente on line per le operazioni di mercato e di sorveglianza. Per compiere tale eliminazione, la nuova religione dei mercati ha portato avanti la demolizione della consapevolezza di classe attraverso il consumismo, col quale le classi subalterne hanno assimilato i valori di quelle dominanti e si sono moralmente neutralizzate nonché politicamente castrate. Al contempo ha portato avanti la relativizzazione e inversione dei valori e delle istituzioni tradizionali assieme a un complesso processo di censura e tabuizzazione del dissenso, del pensiero diverso e degli stessi termini atti ad esprimere la critica al capitalismo. Imperialismo, colonialismo, plutocrazia, sono vocaboli fondamentali per delineare la realtà del mondo, un mondo in cui le guerre di conquista per il petrolio e le risorse minerarie, e per l’imposizione del dollaro come moneta obbligata per gli scambi vengono legittimate come “esportazione della democrazia”, lotta al terrorismo e tutela dei diritti umani. I termini necessari per concepire e comunicare un dissenso dal modello che le esprime sono stati eliminati dalla comunicazione per l’opinione pubblica, e sostituiti con altre parole opportunamente scelte. Un’operazione analoga a quella della Neolingua Orwelliana in 1984: invertire il significato delle parole, restringere il lessico per ridurre i concetti e le idee e produrre così il consenso al sistema. Con quest’arma ci si può liberare facilmente di intellettuali dissenzienti e delle loro idee, come pure di concorrenti commerciali e politici.  Con l’ideologia gender, introdotta nel 1996 anche attraverso l’Unione Europea, persino elementi di natura biologica in quanto dati di natura, immodificabili, come la dualità dei sessi, vengono negati e tabuizzati, convertiti in convenzioni-costruzioni volontarie, così da creare il mercato dei trattamenti per sviluppare un gender o l’altro.

Programmazione dei media per la manipolazione La popolazione, in grande maggioranza, tende ad adattarsi cognitivamente, moralmente ed emotivamente allo stato di fatto della realtà e ai rapporti di potere. L’industria culturale del capitalismo finanziario, assai più efficacemente di ogni altro totalitarismo, ha costruito e imposto una sua ortodossia, ha fabbricato un consenso, una sua legittimazione democratico-giuridica e ha fatto si che il logos dissenziente (la consapevolezza dell’ingiustizia – illogicità – contraddittorietà – infelicità del sistema), circoli solamente tra pochi intellettuali indipendenti, marginali al potere, e non possa estendersi a formare un movimento consistente. Del resto, una consapevolezza dissenziente diffusa e un ampio movimento di contestazione al sistema capitalistico-finanziario non avrebbero la capacità di produrre altro che qualche attrito, qualche difficoltà in più per quel sistema, ma non avrebbero la possibilità né la capacità di cambiarlo, proprio perché la capacità repressiva del medesimo col suo apparato mediatico-militare-istituzionale è immensa e la quota di potere reale messa in gioco nelle votazioni popolari è minima. Il sistema ormai è divenuto capace di legare a sé le persone, le aziende, i governi, in quanto produce e distribuisce i mezzi monetari con operazioni che indebitano verso di esso. Quindi nel finanziare il corpo sociale, dandogli il denaro di cui questo necessita per funzionare, lo indebita verso di sé, creando la necessità di prendere ulteriore denaro in prestito per pagare gli interessi passivi, in un processo di indebitamento crescente (“debito infinito”). Questa dipendenza è divenuta non solo economica, ma anche e soprattutto politica; il sistema emana le direttive, detta le leggi, ed è il fondamento del potere stesso. Siamo evidentemente in presenza di un piano politico a lungo termine non dichiarato e non proposto al pubblico dibattito, né menzionato o menzionabile. Un piano di indebitamento progressivo al fine di esautorare le istituzioni pubbliche. Un piano che si basa sul risolvere il problema finanziario immediato richiedendo un nuovo finanziamento, volta dopo volta. Un piano che viene nascosto, dai suoi stessi esecutori, dietro i precetti della lotta al debito pubblico, dell’avanzo primario e della virtuosità di bilancio, precetti la cui applicazione hanno infatti aumentato l’indebitamento pubblico verso la comunità bancaria internazionale, proprio come volevano i loro fautori. Indebitamento che, su scala mondiale, supera i 260.000 miliardi di dollari e da cui nessuno dei principali Paesi del mondo libero potrebbe liberarsi. Il controllo sociale è l’obiettivo di fondo dell’oligarchia finanziaria globale, mentre il profitto monetario ne è solo lo strumento. All’atto pratico, lo spazio di libertà delle persone è sempre stato proporzionale alla loro capacità fisica e mentale di resistere alla tendenza di essere controllati e sfruttati da parte del potere costituito. La libertà individuale è un rapporto tra la forza di controllo dall’alto e quella di resistenza dal basso. Oggi la tecnologia sta moltiplicando la prima rispetto alla seconda in ogni campo, da quello della comunicazione a quello dell’elettronica e della biochimica. Gli spazi di libertà vanno così presto ad azzerarsi.

Martin Di Lucia

(da Fuori dalla Rete, Luglio 2019, anno XIII, n. 3)

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