Potevamo salvarle

di Antonio Cella

Una porzione di tessuto urbano, dominata dal verde e dalla natura. Ecco cos’era, fino a qualche mese fa, il Parco di Piazza Matteotti: un vero gioiello di colore verde, fondamentale per mantenere l’equilibrio uomo-ambiente. Hanno sfregiato la sua immagine: in una sola giornata sono state abbattute cinque piante di alto fusto, di cui tre di cedro e due di abete. Tutto questo, perché? Per inserire nell’area dello stesso una pista ciclabile per bambini. Pista che sarebbe stata molto più interessante, molto più ricercata dai pargoli se fosse stata fatta a zig-zag tra le meravigliose, profumate piante abbattute, perché ritenute pericolanti.

Ho assistito, allibito, al carico dei tronchi su un automezzo pesante. Gli stessi operai che avevano eseguito l’operazione apparivano piuttosto tristi nell’approntare il trasporto. Tanto, lo si leggeva nei loro sguardi che denunciavano la mia stessa desolazione e un apparente, incolmabile, senso di vuoto. Basta poco per passare dalla vita, nelle forme più nobili, alla morte, nella sua infausta luttuosità.

Un sacrificio nobile da non dimenticare? No! Un atto violento contro il nostro paesaggio.

Il mio intento, è semplicemente quello della chiarezza.

Il cedro del Libano, è un albero leggendario, apprezzato per il suo legname e per la sua bellezza maestosa che, oltre all’uso comune, offre anche numerosi benefici medicamentosi. La scienza medica l’adopera nelle cure della psoriasi; per lenire i dolori articolari; per l’azione balsamica, anticatarrale, bronchiale, e per il suo particolare aroma intenso, dolce, allo stesso tempo. Gli antichi egizi lo usavano soprattutto per la sua resina da adoperare come ingrediente per il processo di imbalsamazione dei defunti. Il suo legno, invece, è tuttora utilizzato per una funzione più allegra: la costruzione di strumenti musicali. I posteri di Mosè, invece, si servivano del cedro del Libano, che trasportavano in groppa ai cammelli su sentieri sconnessi e sabbie infuocate per giorni e giorni, per utilizzarli nella ricostruzione di portali e finestre del tempio di Gerusalemme, dopo la distruzione dello stesso da parte di Tito nel 70 d.C.

Ma la cosa che mi ha più di tutte rattristato è stata la risposta alla mia domanda rivolta ad un Assessore del nostro Comune, riconducibile all’uso del resto delle piante e, se possibile, eventuali ricavi dalla loro vendita:

Niente di tutto questo. I tronchi saranno portati al macero!”

E già! Il nostro Comune può permettersi di buttare al macero diverse tonnellate di legno pregiato con leggerezza, come nulla fosse. “L’accetta m’brstata ra lati, taglia puru r’ pret”. Traduzione: l’ascia avuta in prestito da altri, taglia pure le pietre! Credo che, nel caso specifico, si debba intendere che “Un’entrata di poche migliaia di euro nella cassa del Comune non cambierebbe lo stato di salute finanziario dello stesso. E, ancora più azzeccato, potrebbe essere: “Ci frega poco se le cose vanno a capo sotto.”

Sotto la supervisione e la direttiva di un agronomo, o di un arboricoltore con le palle, quelle piante assassinate sarebbero rinate dopo la potatura delle chiome e dell’intervento sull’apparato radicale.

Non siamo nel Medioevo! Oggi gli alberi pericolanti di alto fusto dei parchi cittadini di Roma, di Milano di New York, di Parigi e di qualche paese straccione, rispettoso, amante del verde e della biodiversità, vengono rimossi da macchine mostruose e ripiantati altrove, sani e salvi.

Bene. Passiamo ora dagli alberi alla neve. Quando riprenderanno i lavori? Perché il Comune tace in merito alla ripresa degli stessi? I lavori sono fermi al 13.11.2023. E’ nostro diritto sapere il perché si stia “debordando” da quanto previsto dal cronoprogramma di avanzamento temporale. Di questo passo, in barba a quanto sopra rilevato, la consegna degli impianti e il relativo collaudo si trascinerà, se tutto va bene, nella primavera inoltrata del 2025, sempre ché, nel contempo, si riesca a promuovere anche l’affidamento della gestione degli impianti, cosa assai difficile e alquanto spinosa.

E smettiamola, una volta per tutte, di parlare a vanvera e sviscerare pronostici sull’apertura degli impianti. In un passato assai prossimo, qualcuno ha espresso pareri sulla imminenza dell’apertura degli stessi (vedasi articoli pubblicati sul blog di pt39). Asserzioni inattendibili, lontane dalla realtà, che sicuramente avranno fatto incazzare chi vive nell’ansia di ritrovarsi il più presto possibile, quanto prima, sul manto bianco del Rajamagra.

Per favore Sindaco, mettici tutta la tua intelligenza, e se ci sono penalità o trasgressioni previste nell’ambito del rapporto contrattuale da parte dell’impresa austriaca, sii duro, non mollare: la popolazione di Bagnoli sarà al tuo fianco. Cerca di evitare, inoltre, gli strali di De Luca. E’ lui il finanziatore dell’opera, e non ci penserà più di tanto nel darti dello str…, come ha fatto con la “nana stracciarola”. Cerchiamo di tenercelo buono buono. Anzi, noi indigeni dovremmo votarlo a prescindere almeno una volta, tutti insieme, mettendo da parte il credo politico, nel caso decida di ricandidarsi ai vertici della Regione per la terza volta.

( Sccc…..,zitti! Sto tentando di racimolare, per induzione, qualche voto locale in più per il mio “martoriato” partito che, più che mai, langue nella mestizia, usando un termine che papa Francesco, vittima dell’analfabetismo di ritorno, usa da due anni, ogni domenica, all’ora dell’Angelus, con riferimento all’Ucraina, senza far ricorso alla guida cartacea.)

Mah! Meglio scherzarci sopra che rammaricarsi più di tanto. Per uno come me, che naviga nella stessa età del papa italo-argentino, il dubbio e l’attesa potrebbero ingenerare disturbi dell’anima. Quelli che nessuna filosofia potrà mai sanare.

Antonio Cella

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