Un cammino di uomini e animali, il Genius Loci dell’Irpinia è la transumanza

Maria Fioretti - www.orticalab.it

Un sentiero di uomini e animali. A tratti dissestato, fatto di grosse buche, sconnesso, tortuoso che abbiamo percorso in auto, perdendoci – spesso – ma ritrovandoci – sempre – sulle strade secondarie intorno al Lago Capacciotti, nel tentativo di seguire podoliche decisamente più veloci di noi.

Siamo partiti e via, abbiamo raggiunto la famiglia allargata dei Moscariello a Cerignola, punto di partenza della transumanza estiva, sulla strada di ritorno verso Montella. Così quella che all’inizio sembrava un’avventura disastrosa di bussole impazzite e punti di riferimento persi, si è trasformata in un miracolo di campanacci sonanti.

La padronanza degli allevatori, il loro passo, i richiami, le corse e i gesti quando qualche animale lascia la mandria, e ancora l’attenzione per i vitelli, la cura per quello che all’essenza è un patrimonio di pratiche millenarie – certo – ma anche un modello economico, prima di essere un riconoscimento immateriale dell’UNESCO. Essere custodi di un patrimonio biologico e culturale unico, richiede consapevolezza e competenza dopotutto, che a noi si è mostrata nella maniera più naturale che esiste.

130 chilometri: in inverno si va dall’altopiano di Verteglia, sui monti Picentini, per arrivare fino alla diga di Capacciotti, in provincia di Foggia. D’estate si ripercorre lo stesso tragitto al contrario. Col tempo la perdita degli antichi tratturi ha fatto si che gli animali passassero necessariamente per le strade statali che collegano i paesi dell’Irpinia d’Oriente, come Guardia dei Lombardi, Bisaccia, Lacedonia, che ancora mantengono e sostengono questo rito. E quella dei Moscariello è tra le transumanze più lunghe d’Europa, per numero di chilometri.

Cosa stavamo cercando quando ci siamo messi in viaggio? Probabilmente la foto perfetta e un vocabolario abbastanza emozionale per raccontare quello che stava accadendo sotto i nostri occhi. Ma alla fine il grano della Puglia ci ha invaso il cuore e ci è diventato giallo il cervello: la transumanza è potente. Lo è vedere un ecosistema in movimento, riconoscere i legami, fermarsi e far passare più o meno duecentocinquanta capi di podoliche brade, camminarci in mezzo, sentire il gruppo, essere una parte piccolissima di un passaggio vitale. È reale, non è una suggestione.

Eppure non abbiamo potuto far a meno di sentire l’eccitazione della scoperta, quell’emozione della prima volta, che in poche parole scambiate sul ciglio di una provinciale ci si è rivelata in tutta la sua semplicità, un’azione che si replica anno dopo anno, un pezzo di quotidianità familiare che si tramanda, in questo caso da Felice, a Massimo, a Manuel Moscariello: padre, figlio e nipote.

Ricorderete il documentario di Bruno Palma – Sulla via dei padri – ne abbiamo parlato QUI. Ci dicevamo, tra le altre cose, che la transumanza dovrebbe essere un momento di cultura condivisa, che dovrebbe essere riconosciuta dalle persone che abitano i territori, che dovrebbe essere seguita e raccontata, dovrebbe essere vissuta per l’immenso valore che ha, perché tiene dentro memoria rurale, paesaggi, tradizioni e produzioni di qualità.

Ma anche questa volta ci siamo resi conto che oltre noi – una giornalista e un fotografo – insieme alla mandria c’era soltanto l’associazione Lago Capacciotti: insomma nessuna festa e nessuna celebrazione. Non che debba diventare un evento, ma potrebbe essere un’esperienza, che cresce, si allarga e si diffonde intorno ad una pratica tanto radicata, quanto in via progressiva di estinzione, che continua ad essere anche espressione di un sistema di allevamento sostenibile.

Perciò ecco la sfida, che si potrebbe tradurre nell’impegno a tutelare e attualizzare questa pratica, aggiungendo una nuova tappa: non solo restare fermi a godere la bellezza di un cammino, ma cogliere un’opportunità di rigenerazione territoriale, di rivitalizzazione culturale delle aree interne, quelle dei tratturi.

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