Un morto e due bare

In memoria di Nando Rogata a quattro anni dalla scomparsa

Il mio paese tutti lo chiamavano Carnera: stesso fisico, stessa for-za, due mani enormi, ma tanta cattiveria in più, quella cattiveria che non sa perdonare e si nasconde dietro un sorriso beffardo e senza parola. Per me era solo “Zi Pietro”, un vecchio con una gamba di legno seduto tutto il giorno sullo scalino di casa a prendere il sole.

Io ci andavo tutti i giorni per chiedergli come stava e se aveva bisogno di qualcosa e lui mi rispondeva scuotendo la testa. Neppure più la pensione andava a ritirare. Ci andava mia madre e quando gliela portava buttava i soldi in un vecchio armadio fra scarpe e vecchie camicie dove c’erano quelli del mese prima e quelli dell’altro ancora, ancora arrotolati perché mia madre non usava la borsa o il portafoglio, semplicemente li arrotolava e li stringeva nella mano sudata. La moglie e la figlia se ne erano andate lontano chissà dove e non si sapeva se erano vive o morte.

Di certo Zì Pietro per loro era morto. Io morivo dalla voglia di essergli utile, ma non sapevo come e mi rodevo dentro quando gli chiedevo di cosa avesse bisogno e mi rispondeva “di niente!” e questo mi faceva intendere che stava morendo. Non ci andai per alcuni giorni malgrado mia madre mi dicesse di andarci. “Ma che ci vado a fare?” le rispondevo “ mi dice sempre che non ha bisogno di niente.” “E tu” disse alla fine lei –“Vacci lo stesso”- e io ci andai contro voglia. Zì Pietro se ne stava con gli occhi chiusi e neppure li aprì quando mi parlo “Ah –disse- ti stavo aspettando. Tu non sei come quelli che se ne vanno per sempre e non tornano più e li aspetti tutti i santi momenti inutilmente!

Io voglio un favore da te!” Fece un attimo di silenzio e tiro lentamente da sotto l’ascella un grosso coltello a serramanico avvolto in un vecchio giornale. “ Bada -disse- questo che non mi e servito finora dopo morto mi servirà ancora. Tu vienimi vicino quando sarò morto. Fingi di abbracciarmi e mettimelo nella tasca della giacca.” Mai gli avrei disubbidito. Assentii alla sua richiesta e come disse lui feci. La tasca del defunto appariva un po’ gonfia, ma non mi mossi da vicino a lui fino a quando non lo chiusero nella bara e mi assicurai che il coltello era al suo posto. C’e chi dice che vuole essere seppellito con la propria bandiera, chi con la propria moglie, chi infine, col proprio cane. Zì Pietro che si era affezionato alla sua gamba di legno, lascio scritto che lo dovevano seppellire con quella. No!, non nella stessa bara, ognuno doveva avere la sua, ognuno doveva avere il suo funerale!

In paese si commentava l’accaduto con qualche sorriso, ma chi volete che avrebbe osato contraddire Zì Pietro, chi avrebbe osato staccare quella gamba di legno e buttarla nel fuoco? Lo sapeva bene il falegname che veniva chiamato dal vecchio per le grandi occasioni. Venivano chiamati lui e il barbiere e, mentre il secondo gli insaponava il viso per fargli la barba, l’altro lucidava quella gamba con accuratezza e attenzione come si fa con un mobile antico. Poi portavano lo specchio e il vecchio l’ammirava bella e lucida e aveva gli occhi che gli brillavano perché gli narrava come una pagina scritta la sua storia.

Quella gamba doveva diventare un palo per le viti, ma quando arrivò alla masseria e stava per buttarlo a terra, l’amante della moglie gli sparo e lui lo colpì con quello con tanta violenza che non gli diede neppure il tempo di pentirsi dei propri peccati. Ma la moglie gli sfuggì e non la rivide mai più. Da quel giorno Zì Pietro e il palo divennero inseparabili, perché con quello si fece la gamba. In chiesa la gente guardava stranita ora l’una ora l’altra bara: alcuni piangevano e si facevano la croce verso la prima, altri verso la seconda.

Pure il sacerdote apparve confuso in principio, ma poi dette la benedizione a entrambe le bare. Io non piangevo, socchiudevo gli occhi e vedevo Zì Pietro col coltello stretto nella mano enorme nell’atto di affondarlo con furia nel petto della moglie.

di Ferdinando Rogata

(da Fuori dalla Rete Dicembre 2023, anno XVII, n. 3)

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