A Laceno il tifo è tutto per Rocco

Intervista al ciclista bagnolese Rocco Gatta

Diceva Einstein che la vita somiglia ad una bicicletta: per restare in equilibrio devi muoverti. A sentir parlare Rocco Gatta viene da pensare che sia vero e che quel che vale per la vita, vale anche per lo sport. E più una disciplina traballa, più tocca andare veloci.  E lui veloce è sempre andato sia nella vita che in bicicletta. Il ciclismo ce l’ha avuto sempre nel sangue e anche se in bicicletta ci è finito  quasi per sfida, mostrò sin da subito le sue qualità.

La sua lunga carriera inizia nella “Nevilio Casarosa” di Fornacette, un paese vicino Cascina di Pisa, dove fa tutta la trafila, partendo dagli allievi e conquistando diversi trofei. Inizia poi a correre come dilettante alla Sammontana arrivando primo al Campionato Toscano.  Alla Sammontana vi rimane quattro anni vincendo circa 25 corse e ottenendo molti piazzamenti. Nel 1973 fa il salto di qualità diventando professionista, ma è il 1976 il suo anno di gloria, passato infatti alla G.B.C.  di Dino Zandegù partecipa al Giro d’Italia. Ed è lo stesso general manager Zandegù a soprannominarlo “Cenciaccio”, dopo una gara dove Rocco continuava a chiedergli un cencio, per le sue gambe doloranti.

Il ciclismo è stato una passione che non l’ha “distratto” dalla vita reale e quando tutto è finito, quando il cerchio si è chiuso,  è ritornato a condurre una vita normale, continuando a lavorare duro, prima da contadino come i suoi genitori, poi come operaio in un macello di pollami ed infine in un supermercato. Nel frattempo, in Toscana ha messo su famiglia e radici, ed anche se del suo paese natio, non restano che pochi ricordi d’infanzia, ogni tanto ci ritorna  per trascorrere le vacanze estive.

Cordiale come sempre, ricorda con piacere la sua vita sportiva e privata e quell’edizione del 1976, dove fu uno dei protagonisti, ottenendo un ottimo 42° piazzamento nella tappa di Laceno e un dignitoso 70° posto nell’ordine finale, superando in classifica, lui che era un gregario,  anche Giancarlo Polidori, capitano della sua squadra.

Come è nata la passione per il ciclismo?

Avevo un amico che correva in bicicletta, ho iniziato quasi per sfida con lui.

 Quando ha iniziato?

Ho iniziato nel 1966 da esordiente, poi ho proseguito come allievo vincendo 10 gare. Da dilettante poi ho vinto altre 15 gare e il titolo regionale. Nel 1973 sono passato professionista e in quel primo anno abbiamo vinto il campionato italiano a squadre e nel 1976 ha partecipato al Giro d’’Italia.

 In quali squadre ha gareggiato?

Il primo anno da allievo ho corso con la squadra, Nevilio Casarosa di Fornacette, un paese vicino casa mia in Toscana, poi da dilettante ho corso quattro anni con la Sammontana, poi altri due anni da professionista sempre con la Sammontana per poi passare alla G.B.C TV Color con cui ho partecipato al Giro d’Italia.

 Ci racconti la sua esperienza nel mondo del ciclismo.

È stata una bella esperienza anche se le cose oggi sono molto diverse da allora. Era un ambiente diverso. Il doping oggi è dilagante in questo ambiente, come in altri sport.

 Il suo primo Giro d’Italia e la tappa del Laceno nello stesso anno, ci racconti quell’esperienza?

Fu tutto molto emozionante, i compagni mi chiamavano “Cenciaccio”. Fu Dino Zandebù a far circolare quel nomignolo. Avevo avuto male alle gambe e le avevo unte con una pomata insopportabile. Durante la corsa le gambe sudavano terribilmente, ed io continuavo a chiedere ai compagni un cencio. Lo chiesi ripetutamente anche a Zandebù. Ed ecco che divenni per tutti “Cenciaccio”.  Nel ’76 grazie alla GBC TV Color, dove il capitano all’epoca era Polidori partecipai al Giro.

 Come venne accolto dalla sua gente nella tappa Selva di Fasano. Lago Laceno del 1976?

L’accoglienza fu molto più calorosa di quella che potessi immaginare. Lungo il percorso c’erano striscioni o scritte “Viva Gatta o Forza Rocco” fu entusiasmante sentire la gente che urlava il mio nome. Anche quando salii sul palco per la premiazione, in quella tappa vinta da De Vlaeminck, e dove la maglia rosa passò da Moser a Gimondi, i miei compaesani continuarono a gridare il mio nome.

Proprio Gimondi, sapendo che ero originario di quei luoghi, mi chiese della salita e di come fosse. Per tutti Laceno era un salto nel vuoto, nessuno ci era mai stato su questi monti, tranne che per me che ci ero nato, allora feci di tutto per aiutarli spiegando nel dettaglio la salita e le difficoltà che avrebbero incontrato. In compenso, i leader della corsa,  ricambiarono il piacere facendomi fare bella figura davanti alla mia gente. Sul palco Gimondi mi disse: “Avevi ragione era proprio una salita dura!”. Ricordo che fu una bella festa.

 Come si presentarono ai vostri occhi Bagnoli e Laceno?

Quando sei in corsa non guardi molto, senti la gente urlare il tuo nome e ti emozioni. All’arrivo giunsi nei primi cinquanta e fu un buon piazzamento. La TV ci riprese anche a Bagnoli. Il paese piacque molto ai partecipanti al Giro che ne rimasero entusiasti. Anche Gimondi e i miei compagni di squadra mi chiesero notizie sulla storia di Bagnoli ed io con molto piacere raccontai loro tutto quello che ricordavo.

 Quando è andato via da Bagnoli Irpino?

Sono andato via nel 1957, dopo un incendio che devastò la nostra casa in montagna. Per mio padre fu una sciagura, subito dopo l’incendio si trasferì in Toscana portando con sé tutta la famiglia.

 Antonella Del Genio – Giulio Tammaro

(da Fuori dalla Rete – La Calzetta del Giro, Edizione Speciale 09 Maggio 2023)

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