Lavoro da fame e dintorni

di Luciano Arciuolo

Negli ultimi 30 anni, mentre i salari reali in Francia e in Germania sono aumentati di un terzo, in Italia sono diminuiti del 10%. Fino a quando l’inflazione è stata nulla, come negli ultimi anni, un lavoratore dipendente ce l’ha fatta. Ma oggi, con i prezzi in continuo rialzo e le bollette impazzite, non ce la fa più. Se uno lavora e non ce la fa a sopravvivere, non si capisce cos’altro possa fare (andare a rubare?).

Eppure la destra italiana ha affossato l’idea del salario minimo, necessario per dare dignità al lavoro e presente in 21 dei 27 paesi dell’Unione Europea (in Germania è di 12 euro all’ora lordi, pari a più di 2100 euro al mese).

Non solo: ha aumentato la soglia per far pagare solo il 15% di tasse alle partite IVA. Così, oggi, se un lavoratore autonomo dichiara 80.000 euro l’anno, paga solo il 15% di tasse (altro che mancia elettorale).

Per finanziare questa riduzione di tasse al professionista, il governo Meloni ha tagliato il reddito di Cittadinanza e gli aumenti già programmati delle pensioni (praticamente un Robin Hood alla rovescia, che ruba ai poveri per dare ai ricchi), oltre ad avere aumentato il prezzo della benzina, che ovviamente è come un’altra tassa, soprattutto per chi guadagna poco.

Il problema è che, se un lavoratore dipendente guadagna 80.000 euro l’anno, paga il 43% di tasse: praticamente il triplo. Non solo: se un supplente ogni giorno va da Bagnoli a Napoli per poco più di mille euro al mese, in due anni mette fuori uso la macchina ma non ha diritto a detrarne il costo, a differenza delle partite IVA.

Io credo che su tutta questa questione debba mettere il naso la Corte Costituzionale, perché la puzza di illegalità si sente anche da lontano.

Luciano Arciuolo

(da Fuori dalla Rete Natale 2022, anno XVI, n. 5)

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