Piano Meccanico

di Martin Di Lucia

“A causa del modo in cui le macchine cambiano il mondo, gli uomini non hanno altra scelta: diventare essi stessi macchine o affidarsi alla tutela di esse”.

Nel 1952, a pochi anni dalla pubblicazione di ‘1984’ di George Orwell, Kurt Vonnegut esordisce con un romanzo che tratteggia i confini inquietanti di una distopia solo superficialmente mascherata da realtà ideale.

In un futuro non troppo lontano, dopo una guerra che ha messo a ferro e fuoco gli Stati Uniti, la nazione vive nel benessere grazie all’impiego su vasta scala della meccanizzazione. Le macchine hanno sostituito l’uomo in ogni lavoro manuale e la società si è divisa in due: da un lato un pugno di tecnici e manager, detentori delle competenze per far funzionare le macchine, ascesi ai vertici della piramide sociale avendo imparato a produrre senza le maestranze chiamate alle armi durante la guerra; dall’altro tutti coloro il cui basso quoziente intellettivo li condannerebbe, per l’appunto, al lavoro manuale, che in questa nuova realtà post bellica non esiste più. Soltanto una minoranza assoluta della popolazione ha accesso agli studi universitari che formano la schiera di tecnici e burocrati che governano il paese e gestiscono le macchine; agli altri non resta che l’esercito o il Corpo di bonifica e ricostruzione, i cui membri vengono chiamati Relitti e Puzzoni.

Paul Proteus è un tecnocrate giovane e promettente, direttore dello Stabilimento produttivo di Ilium ed è destinato a diventare un leader in questa società che ha posto al proprio centro le macchine. Proteus, sotto le costanti pressioni della sua ambiziosa moglie e oppresso dalla formalità di complicati rituali pubblici e dagli sgambetti di colleghi invidiosi, comincia a provare un forte senso di fastidio, di noia e nausea. Infatti più si avvicina al ruolo cui è destinato, più nella sua mente si insinuano dubbi su ciò che la società è diventata. Paul è attratto da ciò che si trova al di là del fiume, a Homestead, dove vivono i derelitti della società, coloro i quali non hanno più spazio in un sistema sempre più blindato e automatizzato, la cui vita è determinata sulla base di test attitudinali dai risultati univoci, immutabili ed irrevocabili. Le macchine ormai controllano ogni aspetto della vita, gestiscono ogni occupazione domestica, per lasciare ai cittadini il tempo di vivere, ma che di fatto occupano lo scorrere insensato di giornate sempre uguali, in uno stato di malinconica insensatezza.

Per mettere in rilievo le incongruenze e le profonde stonature del nuovo mondo, Vonnegut introduce una visione esterna, quella dello scià di Bratpuhr, in visita diplomatica. Mentre lo accompagna a visitare le meraviglie tecnologiche e le attrazioni “turistiche” del paese, il dottor Halyard cerca di spiegargli pratiche e abitudini della vita locale, magnificandone i vantaggi; ma il sovrano persiano, a sorpresa, coglie immediatamente la vera sostanza di questa nuova società: EPICAC-14, il computer che governa gli Stati Uniti, non è altro che un falso dio e la democrazia non è che un idolo sventolato in faccia all’uomo medio per tenerlo obbediente e sottomesso. Persino i flussi dei consumi e degli acquisti vengono gestiti da EPICAC sulla base della massima razionalità ed efficienza.

Spinto alla riflessione dal suo vecchio amico Ed Finnerty, uomo geniale e controcorrente, che ha deciso di ribellarsi alle regole, Paul si rende improvvisamente conto di ciò che gli manca. Ma le maglie del sistema sono talmente strette che sembra impossibile uscirne, se non sacrificando tutto ciò che si è e si ha. Se per un anticonformista come Ed Finnerty è accettabile farlo, per Paul l’incapacità di compiere una scelta estrema da un lato e il desiderio di voler salvare alcuni aspetti della sua vecchia esistenza dall’altro, gli rendono inaccessibili entrambe le cose.

“Vuole un consiglio da un uomo vecchio e stanco? Non tenga i piedi in due staffe, uno nel lavoro e l’altro nei sogni. Se ne vada o si rassegni a questa vita, altrimenti il destino la spaccherà in due prima che lei abbia deciso.”

Diventa quindi per Paul uno sbocco quasi inevitabile l’avvicinamento alla Società della Camicia Stregata, un gruppo di cospiratori idealisti e anti-macchine che sogna la rivoluzione e vuole restituire il mondo alla gente. Quello che nessuno realizza, mentre il piano della rivolta viene orchestrato nei minimi particolari, è che la rivoluzione si può innescare ma non si può controllare, finendo per ritorcersi proprio contro i rivoluzionari stessi, come Paul alla fine dovrà amaramente constatare. I cittadini infatti si sollevano e si gettano contro quello che credono il loro nemico: la civiltà delle macchine. Ben presto, tuttavia, si accorgeranno che l’obiettivo in fondo era quello sbagliato: la civiltà ha bisogno delle macchine e i ribelli, incapaci di cavarsela senza il loro aiuto, si vedranno costretti a ricostruirle.

Vonnegut descrive una realtà in cui non c’è alcuna speranza di progresso individuale, in cui la Religione non dà più risposte e in cui vige una gerarchia che usa le macchine come unità di misura dell’uomo.

Quella di Vonnegut non è solo una denuncia contro la società tecnologica, di cui l’America era, ed è, la principale artefice, ma anche contro una certa massificazione della vita che annienta l’individualità dell’uomo. Paul Proteus, il protagonista del romanzo, matura poco a poco la consapevolezza che affidare alle macchine il lavoro che per secoli l’uomo ha compiuto con le proprie mani e con il proprio intelletto è una strada sbagliata. Ma non solo. Quella che si è realizzata nel nome della liberazione dell’uomo dalle fatiche del lavoro e dagli affanni della vita è finita col divenire una vera e propria dittatura. Non sono quindi le macchine il bersaglio da colpire, ma i burocrati-tecnocrati che di esse si sono serviti per dominare gli altri uomini.

Nonostante sia un’opera prima, Piano meccanico regge bene la lettura del presente, grazie soprattutto ad una trama lineare e al memorabile ritratto sia del protagonista che dei personaggi secondari. La lenta maturazione del dottor Paul Proteus e il ripudio della propria identità di manager è motivata da una inquietudine di fondo che Vonnegut sembra associare a una parte dell’America che non ha mai amato e accettato il ruolo di pacificatore del mondo, ruolo che gli Stati Uniti si sono attribuiti a partire dalla Seconda Guerra Mondiale.

Alla vicenda del protagonista, Vonnegut infatti alterna la visita del sovrano di un paese orientale che, davanti alla tecnologica società americana, contrappone la propria visione del mondo, fondata su valori umani, con una dura critica ad un certo modello economico fondato sul capitalismo.

Le note biografiche dell’autore ci dicono che a 21 anni, nel 1943, si arruolò nell’esercito americano, nel 1944 sua madre morì suicida e lui venne catturato in Germania. Negli Stati Uniti ricevette una medaglia per le ferite subite in guerra. Lo scrittore lavorò anche come pubblicitario alla General Eletric e affermò che Piano Meccanico era scaturito proprio dalla volontà di raccontare una realtà in cui le macchine erano le protagoniste assolute.

La sua narrativa quindi non può e non riesce a prescindere da un certo pessimismo di fondo, filtrato attraverso la lente della satira; un pessimismo che nasce dalla consapevolezza che il sistema dei poteri forti, così come quello delle macchine, non può essere combattuto, in prima istanza, da chi quel sistema ha contribuito a costruirlo e a renderlo un’efficiente macchina da guerra.

Martin Di Lucia

(da Fuori dalla Rete, Maggio 2021, anno XV, n. 2)

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