Stigmata mundi (2025), l’opera di Maria Rachele Branca
terracotta, vetro, resina epossidica con pigmento rosso cadmio, legno di recupero 42x34x18 cm
In Stigmata mundi, Maria Rachele Branca fonde la spiritualità francescana con un’urgenza etica e politica, celebrando la figura del Santo di Assisi come emissario di Pace: una pace intesa non solo come assenza di conflitti, ma come forma di armonia che riesce a fiorire persino in mezzo alle difficoltà e alle tribolazioni. L’opera, infatti, esorta ad annullare la distanza temporale tra l’universalità del messaggio evangelico del Cantico delle creature e le atrocità che insanguinano la Palestina.
Il cantico risale con ogni probabilità al 1224, lo stesso anno in cui San Francesco ricevette le stigmate durante il ritiro mistico sul monte della Verna. Questo suggestivo parallelismo temporale si riflette simbolicamente nella scelta del titolo latino Stigmata mundi, che significa letteralmente “le stigmate dle mondo”. Un titolo che si fa grido silenzioso, ma eloquente, contro l’indifferenza di un mondo che porta impresse su di sé le tracce di un’incessante passione: non più come segno portentoso, ma come metafora delle lacerazioni del nostro tempo.
Così, l’opera assume la forma di una preghiera laica che invita a una riflessione profonda sulla responsabilità collettiva di fronte alla sofferenza umana. E proprio la materia dell’opera si fa linguaggio espressivo nel dialogo tra la modellazione della nuda terracotta e il rosso dell’ampolla, che genera una tensione visiva nell’uso del vetro che, proprio in virtù della sua trasparenza, idealmente contiene — senza nasconderlo — il sangue degli innocenti palestinesi, come quello delle vittime di ogni conflitto attualmente in corso. Un sangue qui custodito come monito, affinché quell’orrore non venga dimenticato, né nuovamente perpetrato.
Testo Rossella Della Vecchia
LA GALLERIA



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