Vecchia e stanca, ma sempre da difendere: viva la Repubblica
Riccardo Di Blasi - www.orticalab.it
Ne ha avuti di nemici la Repubblica. Dal ’46 in poi, da quando è nata grazie al voto degli italiani, in tanti hanno provato a sovvertirla, eliminarla, distruggerla, modificarne la natura democratica. Ci hanno provato monarchici delusi, fascisti nostalgici, compagni in armi, terroristi rossi e neri, strateghi della tensione e golpisti, mafiosi, massoni e leghisti secessionisti. Eppure, 79 anni dopo, la Repubblica è viva e lotta insieme a noi. Anche se, c’è da dire, non è che se la passi così bene. La conferma arriva dall’ultimo rapporto dell’Eurispes. Nel 2024 la fiducia degli italiani verso le istituzioni è ulteriormente crollata. Si salva solo il Presidente della Repubblica. Per il resto, vanno a picco parlamento, partiti, sindacati, magistratura, governo, regioni, pubblica amministrazione, sistema sanitario.
C’è, dunque, uno scetticismo diffuso nei confronti delle diverse articolazioni dello Stato. Ne è manifestazione evidente l’astensionismo che si riscontra ad ogni tornata elettorale. Che si tratti di amministrative, politiche o di referendum, sempre meno italiani si recano alle urne. Più in generale, sempre meno cittadini partecipano alla vita civile e democratica.
Oggi la Repubblica non è più in pericolo per via di entità che tramano nell’ombra, ideologie sovversive, opposti estremismi, organizzazioni criminali. Oggi il pericolo viene dalla disaffezione, disillusione e sfiducia che gran parte dei cittadini nutre nei confronti del sistema che regge l’Italia dal ’46. Si tratta di sentimenti che si alimentano e trovano giustificazione nell’incapacità che hanno gli stati democratici di rispondere in modo veloce ed efficiente alle domande sempre più complesse e disomogenee che arrivano dalla società.
Il punto di rottura è da far risalire, probabilmente, a Tangentopoli, che ha mandato in soffitta quei partiti che la Repubblica l’avevano costruita e che ne avevano assicurato, pur tra mille difficoltà, la tenuta. Da allora è stato tutto un susseguirsi di movimenti più o meno populisti, fino ad oggi, fino ad arrivare al punto che a governare il Paese c’è una Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, erede di un movimento estraneo a quel gruppo di forze che 79 anni fa diede vita al patto repubblicano. Ciò non significa che Meloni sia un nemico della Repubblica. Di certo, però, non ne è nemmeno una strenua sostenitrice. Lo dimostrano i progetti di riforma che vanno sotto il nome di premierato e autonomia differenziata. Lo dimostra il continuo riferirsi al Paese non come alla “Repubblica”, bensì come alla “Nazione”, entità che evoca altre stagioni della storia patria.
Il punto è che oggi, nella società, la Repubblica non è più un valore. O comunque, lo è meno di un tempo. Sempre più trova terreno fertile la fascinazione per forme di governo autoritarie o semi autoritarie, ritenute più efficienti, meno farraginose, più in grado di dare risposte immediate ai cittadini. Sempre più si fa strada l’idea del leaderismo, dell’uomo forte che cambia il corso della storia. Oppure, del ritorno a istituzioni condannate e superate dalla storia, come il borbonico Regno delle Due Sicilie, evocato nel Mezzogiorno d’Italia come risposta all’eterna questione meridionale.
A ormai quasi 80 anni dalla fine della fascismo e della monarchia, la Repubblica si trova ad affrontare forse il suo momento più difficile. Ogni sistema di governo si regge su una serie di valori fondanti, principi che non possono essere messi in discussione, unanimemente condivisi. La crisi della Repubblica e figlia della crisi della democrazia. Sovranismi e populismi (di destra come di sinistra) sono l’epifenomeno di una crisi che attraversa tutto l’Occidente. Come uscire dall’angolo e ridare slancio alla democrazia rappresentativa è probabilmente il quesito del secolo. La soluzione passa attraverso la presa di coscienza del rischio che si corre. Se la società liberal-democratica non è il migliore dei sistemi possibili, è comunque il migliore di quelli sperimentati fino ad ora.
La Repubblica italiana oggi appare vecchia e stanca, provata dalla modernità, da una società individualista atomizzata dalla tecnologia. Per chiunque abbia a cuore libertà, diritti, progresso ed uguaglianza, resta però un baluardo da difendere. Se la conoscenza salva il mondo, la prima cosa da fare per salvare la Repubblica è quella di riscoprire come è nata, di riscoprire l’impegno e il sacrificio di chi, all’indomani della guerra, lottò per un’Italia unita, libera, democratica. Lo racconta Aldo Cazzullo in una memorabile puntata di Una giornata particolare dedicata proprio al 2 giugno. Viva la Repubblica.
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