Uomo del mio tempo

(Salvatore Quasimodo, 1947)

“Uomo del mio tempo” è una poesia del 1947 di Salvatore Quasimodo, poeta siciliano premio Nobel per la letteratura ormai quasi dimenticato da tutti. Mi è venuta in mente quando ho visto il video degli immigrati in catene che Trump ha fatto portare fuori dagli Stati Uniti. Gli americani sono lo stesso popolo che, fino a un paio di secoli fa, andavano a prendere i propri schiavi in Africa e li mettevano in catene per portarseli a casa. Insomma gli schiavi, per gli americani, sia che vengano portati in America sia che vengano portati fuori dall’America, sempre in catene devono stare! Poi ho letto che 3 cittadini statunitensi su 4 condividono quello spettacolo. Insomma, l’umanità oggi è proprio quella descritta da Quasimodo.

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Uomo del mio tempo

Sei ancora quello della pietra e della fionda,

uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,

con le ali maligne, le meridiane di morte,

– t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,

alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,

con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,

senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,

come sempre, come uccisero i padri, come uccisero

gli animali che ti videro per la prima volta.

E questo sangue odora come nel giorno

quando il fratello disse all’altro fratello:

“Andiamo ai campi”. E quell’eco fredda, tenace,

è giunta fino a te, dentro la tua giornata.

Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue

salite dalla terra, dimenticate i padri:

le loro tombe affondano nella cenere,

gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.

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Pensando poi alla indifferenza con la quale assistiamo a tutte le tragedie del nostro mondo, credo di perdere ogni giorno di più la voglia di parlarne. E’ la stessa sensazione che Quasimodo mise in un’altra poesia dello stesso periodo:

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Alle fronde dei salici

E come potevamo noi cantare

con il piede straniero sopra il cuore,

fra i morti abbandonati nelle piazze

sull’erba dura di ghiaccio, al lamento

d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero

della madre che andava incontro al figlio

crocifisso sul palo del telegrafo?

Alle fronde dei salici, per voto,

anche le nostre cetre erano appese,

oscillavano lievi al triste vento.

Luciano Arciuolo

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