La seconda guerra mondiale a Bagnoli Irpino nei ricordi di Tommaso Aulisa
In occasione dell’ottantesimo anniversario della Liberazione dell’Italia dal Nazifascismo pubblichiamo un estratto del libro: “Cinquant’anni fa la guerra in casa nostra” scritto dal compianto Tommaso Aulisa per celebrare i cinquant’anni dell’armistizio.
Un opuscolo che racconta aneddoti e vicende accadute nel nostro paese e che lo videro protagonista insieme ad altri bagnolesi nel salvataggio di un gruppo di paracadutisti americani atterrati per sbaglio sui monti del Laceno, “Di modo che ciò che viene ricordato non è frutto di fantasia, né vuole avere sapore di parte, ma cronaca di un’ autentica realtà storica, vissuta non soltanto da me ma da tanti altri coetanei ancora viventi, che i cittadini di Bagnoli e soprattutto le giovani generazioni hanno il diritto di sapere e il dovere di tramandare a quelle che verranno”.
Ricordare per non dimenticare il sacrificio di coloro che si sono battuti in nome della libertà.
“Cinquant’anni fa la guerra in casa nostra”
Le giornate calde, quelle che videro la guerra passare anche per i nostri paesi, con danni a fabbricati e morti fra la popolazione civile, giunsero dopo l’8 settembre. Lo sbarco alleato sui lidi salernitani scatenò una guerra cruenta; migliaia erano i morti d’ambo le parti per la conquista talvolta di pochi metri di costa, come evidenziano ancora oggi i morti seppelliti nel cimitero militare sorto fra Bellizzi e Pontecagnano…
Le forze germaniche erano rapidamente affluite sull’area salernitana dalla Puglia e dalle coste adriatiche in genere. Oltre a transitare attraverso la Valle del Sele, affluivano pure attraverso quella del Calore. Di modo che
anche queste terre, sulle quali assenti erano stati fino ad allora gli eserciti italiani e germanici, se si eccettuano i campi militari estivi e le Grandi Manovre del 1935, divennero in breve teatro di guerra.
Il mattino di una domenica – si era già nella seconda quindicina di settembre – avemmo la sorpresa di notare che gran parte degli alberi di quercia della località Tagliabosco sul confine fra Montella e Nusco erano coperti da bianchi lenzuoli. Comprendemmo che durante la notte erano stati paracadutati militari americani e, nonostante il pericolo d’essere sorpresi e passati per le armi dai tedeschi presenti nei paraggi e nei pressi del vicino Convento di S. Francesco a Folloni, con un coetaneo – io ed Alfonso Patrone detto Piccolino, ovvero lo studente di Napoli già citato, destinato a morire l’anno dopo in un incidente d’auto – ci incamminammo verso quella località, con la speranza di trovare vivi soldati paracadutati ed aiutarli a sfuggire alla cattura dei tedeschi.
E l’impresa fu davvero felice. Infatti, molti di quei soldati la scamparono grazie alla natura intensamente cespugliata della zona. Ma se quei cespugli costituivano per i paracadutisti facile nascondiglio, difficile era per noi rintracciarli. Girovagando da un sentiero all’altro, scorgemmo sul terreno polveroso per la lunga siccità in corso, orme di scarpe gommate e striscette di carta che odoravano di caramelle. Seguendole, trovammo i primi tre nella località Lacrone del comune di Bagnoli Irpino. All’ombra di un grosso castagno erano seduti per terra a dorso nudo, mentre sparsi avanti i loro piedi v’erano mitra, gli indumenti e delle bombe a mano. Appena ci videro ci fissarono intensamente senza muoversi. Il mio compagno abbozzò un sorriso, e giacché presso il suo istituto aveva come lingua straniera proprio l’inglese, fece capire ch’eravamo amici. Si alzarono di scatto, ci corsero vicino e ci abbracciarono. Poi tirarono fuori un “vademecum” e attraverso frasi già tradotte colloquiammo. D’altra parte il mio amico riusciva a tradurre qualche parola ma non a capire quel che dicevano
Li accompagnammo ai piedi della montagna e riuscimmo a far loro capire che scendevamo a valle per rintracciarne altri. Intanto altri compagni ci avevano seguito nell’impresa. Con questi compagni continuammo le ricerche ed al termine della giornata ben 48 furono i paracadutisti rintracciati, appartenenti al 509° Battaglione della Va Armata Americana, che accompagnammo sulla cima del monte Piscacco. I giorni successivi si unirono al gruppo due soldati irlandesi fuggiti da un campo di prigionia installato nei pressi di Pontecagnano, nonché un pilota inglese che in seguito ad una avaria era riuscito ad atterrare sul Laceno.
Tornando ai paracadutisti americani, apprendemmo da essi di essere stati paracadutati da queste parti solo per un fatale errore di rotta. Dovevano essere catapultati sulla piana di Volturara a meno di cinque chilometri in linea d’aria, e di lì avrebbero dovuto raggiungere le alture del monte Terminio per scendere alle sorgenti del Serino e proteggere da eventuali sabotaggi tedeschi la captazione di quelle acque, che erano le sole ad alimentare Napoli in quegli anni.
Offrimmo loro di fare da guida per raggiungere le sorgenti del Serino, nonostante fosse assai rischioso per la presenza ovunque di forze germaniche. Ma ci lasciarono capire la inopportunità di tale iniziativa, essendo anche andate perdute gran parte delle armi e delle munizioni necessarie all’azione. Ci chiesero, invece, di far loro da guide per tentare di ricongiungersi alle truppe sulla costiera salernitana.
Durante quei sei o sette giorni che li tenemmo in montagna li rifocillammo alla men peggio, raccogliendo viveri e frutta che ci caricavamo sulle spalle e portavamo fin su la montagna. Tutti erano felici di dare qualcosa, e nella
più assoluta segretezza; portavamo loro pane di segala che ci fornivano soprattutto le famiglie di pastori, del lardo, qualche salsiccia e soprattutto pere, fichi, albicocche.
Durante le prime ore del mattino ci incamminammo per il territorio di Acerno puntando su Salerno, dopo avere attraversato tutto quello di Bagnoli, dal Piscacco a Colle delle Radiche, evitando percorsi scoperti per il pericolo d’essere avvistati da aerei. Ciò nonostante solo per una fatalità non ci scontrammo con dei tedeschi. Infatti, come apprendemmo al ritorno, mentre attraversavamo il valico dello stretto dell’Acernese essi ci seguivano con le camionette a meno di un paio di centinaia di metri senza sapere della nostra presenza. Poi dovettero arrestarsi perché il sentiero non consentiva più il transito degli automezzi. Erano intenti a rintracciare una ferrovia, non più esistente ma riportata sulle loro carte militari.
Trattavasi, infatti, della ferrovia a scartamento ridotto installata verso il 1910 dalla industria boschiva del tempo e serviva al trasporto del materiale legnoso dalla località Cupone alla contrada S. Maria di Laceno, ove veniva ricaricato sulla teleferica per lo scalo ferroviario di Bagnoli.
Solo qualche giorno prima un aereo si era schiantato nei pressi dell’Acellica ed uno era riuscito ad atterrare sul Laceno, il cui pilota era stato accompagnato frettolosamente al gruppo dei paracadutisti, come è stato già detto. Particolare curioso: di quell’aereo solo qualche giorno dopo non v’era più traccia, perché fu letteralmente smontato dai contadini di Bagnoli che in quei giorni erano intenti alla raccolta delle patate.
Accettammo, ed all’alba del giorno successivo ci mettemmo in cammino, dopo avere affidato ad un pastore un soldato che si era fratturata una gamba durante l’atterraggio. Restò per alcuni giorni nascosto in una pagliaia, mentre il professore Rodolfo Cione gli faceva segretamente pervenire a mezzo del pastore che lo custodiva (Rocco Gatta), i medicinali necessari.
Dopo avere attraversato il territorio del comune di Acerno, puntammo su Olevano sul Tusciano, ma dovemmo tornare indietro per la presenza di tedeschi. E risalimmo per quei dirupi peggiori del nostro Caliendo raggiungendo il Polveracchio.
Vi giungemmo al calare del sole e grande fu la nostra sorpresa nel vedere da quei 1790 metri di altitudine, quanti ne conta la montagna, che l’intero golfo di Salerno, dalla costa fino a perdita d’occhio, era letteralmente coperto da naviglio di ogni grandezza. Migliaia di cannoni sparavano trasformando quel mare in una sterminata pianura luminosa, mentre una fascia di fuoco si intravedeva dietro l’orizzonte per via del sole già calato. Era uno spettacolo fantasmagorico ed irripetibile che ci godemmo fino a quando un proiettile di grosso calibro non raggiunse la montagna, e la fece tremare fino alla cima, costringendoci a scappare e sistemarci sulla parte retrostante. E per tutta la notte, accovacciati a gruppi di sei o sette sulle piazzuole di carbonaie, sentimmo il sibilo dei proiettili che ci passavano sopra.
Il giorno successivo, dopo avere attraversato la montagna senza incontrare anima viva e solo nel tardo pomeriggio un pastore che ci avvertiva che il mattino di quel giorno il comune di Campagna era ancora in mano tedesca, raggiungemmo il paese, lasciato dai germanici solo qualche ora prima. Proseguimmo su camionette prima per Paestum e poi per Salerno ancora spopolata, dopo esserci fatto tutti un bagno in un torrentello.
In quei pochi giorni che fummo ospiti degli americani il menù fu davvero a sorpresa perché, non conoscendo la lingua americana, riscaldavamo le scatolette e solo quando venivano aperte avevamo la sorpresa del contenuto. Dormimmo sulla paglia in un sotterraneo di una specie di castello nei pressi di Paestum, ma fummo svegliati in piena notte dal rosicchio dei topi che, avendo annusato lo scatolame che ci portavamo appresso, lo avevano assalito e si apprestavano a bucarlo con i loro denti aguzzi.
Il Comando militare volle ricompensarci, nonostante il nostro reiterato diniego, con un biglietto da mille lire, quelli grandi quanto una pagina di quaderno, che nel nostro comune era ancora l’equivalente di due stipendi del maestro elementare. Quando, però, ritornammo in paese bastava per comprare poche stecche di sigarette. Ma fummo anche in grande preoccupazione per avere appreso da una loro radio portatile, che trasmetteva in lingua italiana, che le truppe americane, dopo avere espugnato Bagnoli, avevano anche occupato la “roccaforte di Nusco.
“Ci avevano dato sigarette di tutte le marche, sacchettini di tabacco di vari tipi e pacchetti di cartine, ma per quel maledetto aroma di cioccolato o vaniglia non riuscivamo a trovarne una che fosse di nostro gusto tanto che, avendo scorto lungo la strada per Montecorvino una piantagione di tabacco, facemmo fermare la camionetta che ci riportava a Bagnoli e ne facemmo una buona raccolta. Finiva così la breve passeggiata ed anche il pericolo d’essere presi dai tedeschi e passati per le armi sul posto, come annunciava un bando fatto affiggere in tutti i comuni.
Tommaso Aulisa – “Cinquant’anni fa la guerra in casa nostra”
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